Noi credevamo

Dopo aver visto il film "Noi credevamo" che (tralicci elettrici e pilastri in cemento armato a parte, ma, forse, sono stati messi lì apposta, per suscitare inutili critiche o sottolineare in modo molto elegante il vantaggio che il sud di allora aveva rispetto al nord), ha comunque il grande merito di aver iniziato a trattare, e con che coraggio, temi così scottanti, che - non dimenichiamolo - riguardano la nostra Unità di Patria, vorrei tuttavia chiedere se quanti hanno collaborato alla realizzazione dell'opera abbiano mai sentito parlare di un certo Giacinto Albini (1821-1884). Questo perchè, durante la visione del film, più che l'assenza del Cavour e di Garibaldi, ho notato la sua, di assenza, avendo egli contribuito fortemente - e con azioni concrete, consegnando, ad esempio, e giusto per essere precisi, al Garibaldi ben 23 mila soldati borbonici. Ciò avvenne il 6 settembre del 1860, nei pressi di Auletta (SA), dove l'Eroe dei due Mondi era giunto in carrozza, dopo aver attraversato indenne tutta la Calabria e usufruito di un passaggio, in barca, da Maratea a Salerno, per evitare i pericolosi monti Lucani, senza sparare quindi un solo colpo, nè subire ferite. Il giorno dopo, cioè "il 7 settembre del 1860, Garibaldi entra trionfalmente a Napoli". Fra virgolette, quanto riportato dalla storiografia ufficiale. In appena 19 giorni, dunque, tanti sono bastati a Garibaldi per andare da Melito di Porto Salvo (RC) a Napoli, il Regno delle due Sicilie si è volatilizzato. I 23.000 prigionieri borbonici, e relativi armamenti, bagagli, quadrupedi..., vennero invece catturati sull'Appennino Calabro-Lucano dai combattenti meridionali, appoggiati anche dalle popolazioni locali, anch'esse insorte al grido di VIVA L'ITALIA, grazie a Giacinto Albini. I suddetti "prigionieri", erano appostati nei punti più strategici, intenzionati a fermare la rapida avanzata dei Mille, cosa peraltro facilissima, quand'anche li avessero presi semplicemente a sberle... - l'Albini, si diceva, ha contribuito fortemente a dare all'Italia ciò che le mancava (cioè un ricco, forte e popoloso Regno, quello delle due Sicilie, appunto) affinchè potesse finalmente sedersi al tavolo delle trattative, quello dove sedevano i grandi d'Europa. Perdurando purtroppo tali carenze, o assenze, la Verità storica continuerà a rimanere nascosta, in molti continueranno a credere che l'Unità d'Italia sia stata una sciagura per il nord, quando ormai sappiamo che è avvenuto esattamente il contrario, e i tipi come Bossi, magari strumentalmente, solo per acchiappar voti, continueranno a sparlare dei propri fratelli meridionali, ai quali, DA SUBITO, è stato tolto ogni merito unitario, per far del sud una semplice colonia. Spero non sia così nel romanzo originario. Altrimenti addio Verità! In ogni modo, il lavoro di Mario Martone, può considerarsi già UN BUON INIZIO, per iniziare timidamente a raccontarci la verità, ora riservata solo a pochissimi appassionati di storia patrìa. M.G. Scaccuto m.scaccuto@teletu.it