carloalberto
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giovedì 11 marzo 2021
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libera la fantasia
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Viaggio nel mondo degli spiriti visionario ed onirico con irruzione del fantastico nella presupposta realtà conclamata dalla scienza sperimentale, divenuta oramai pura metafisica, ostinata nel rinnegare la presenza immanente dei morti nel nostro mondo, reso vividamente nell’incrociarsi di universi paralleli, nel passato che ritorna a cena dalle ceneri in forma di scimmia e con le sembianze di scimmia antropomorfa attraversa i confini temporali, per essere cacciata alla stregua di una bestia rara in un futuro ottuso che perseguita i sogni imprigionandoli. Liberazione estrema e parossistica dell’inconscio poetico del regista senza limiti razionali nell’esaltazione della pura emotività che lega il figlio alla madre senza le discutibili barriere della materialità temporale.
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Viaggio nel mondo degli spiriti visionario ed onirico con irruzione del fantastico nella presupposta realtà conclamata dalla scienza sperimentale, divenuta oramai pura metafisica, ostinata nel rinnegare la presenza immanente dei morti nel nostro mondo, reso vividamente nell’incrociarsi di universi paralleli, nel passato che ritorna a cena dalle ceneri in forma di scimmia e con le sembianze di scimmia antropomorfa attraversa i confini temporali, per essere cacciata alla stregua di una bestia rara in un futuro ottuso che perseguita i sogni imprigionandoli. Liberazione estrema e parossistica dell’inconscio poetico del regista senza limiti razionali nell’esaltazione della pura emotività che lega il figlio alla madre senza le discutibili barriere della materialità temporale.
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paride86
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mercoledì 20 luglio 2011
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decisamente rarefatto e soporifero
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Una sceneggiatura inesistente e dialoghi sulla quotidianità per un film che alterna riprese a camera fissa con scorci da documentario a scene pseudo-oniriche, prive, tra l'altro, di una consistente forza visionaria.
Un polpettone indigeribile, al di là dei possibili significati e delle metafore che propone.
La vittoria di "The tree of life", proprio a Cannes, un anno dopo quella di "Lo zio Boonme...", dimostra che i film introspettivi non sono tutti uguali e ci insegna la differenza tra un capolavoro e una pasticca di Valium, quale è questo film thailandese.
Leggo addirittura di paragoni con maestri come Antonioni...inverecondi!!
Solo una giuria in stato di ubriachezza può aver assegnato un premio come la Palma D'Oro a "Lo zio Boonme.
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Una sceneggiatura inesistente e dialoghi sulla quotidianità per un film che alterna riprese a camera fissa con scorci da documentario a scene pseudo-oniriche, prive, tra l'altro, di una consistente forza visionaria.
Un polpettone indigeribile, al di là dei possibili significati e delle metafore che propone.
La vittoria di "The tree of life", proprio a Cannes, un anno dopo quella di "Lo zio Boonme...", dimostra che i film introspettivi non sono tutti uguali e ci insegna la differenza tra un capolavoro e una pasticca di Valium, quale è questo film thailandese.
Leggo addirittura di paragoni con maestri come Antonioni...inverecondi!!
Solo una giuria in stato di ubriachezza può aver assegnato un premio come la Palma D'Oro a "Lo zio Boonme...", visti e considerati anche gli altri film in concorso.
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ipno74
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domenica 20 marzo 2011
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un film troppo lento
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Il film è veramente lento.
Troppo lento e con pessimi attori.
Se non fosse per la sceneggiatura originale e la splendida location questo film non sarebbe neanche arrivato a noi.
Preparatevi quindi ad affrontare questo viaggio insieme a Boonmee e a i suoi parenti vivi e defunti, che lo accompagneranno nel tragitto dei ricordi fino ad arrivare alla sua conclusione.
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tommaso82
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giovedì 10 marzo 2011
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ma forse.....
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ma ci siamo dimenticati di scrivere che questo film ha vinto solamente la Palma D'Oro a Cannes?
forse che ha scritto la recensione nella scheda stava vedendo un altro film....Film stupendo,mistico una vera pace
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hatecraft
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martedì 15 febbraio 2011
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dalla tailandia una fantom piece d'autore
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etereo eppure assume tutte le forme e una possibili, noioso oltre l'immaginabile eppure assente immobile e erompente di una forza panteistica che sale da basso e avvolge come la bruma la pellicola dall'inizio agreste al finale urbano, il tempo schiacciato dallo spazio e viceversa, inutile spossante eppure mistico e penetrante,
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reservoir dogs
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giovedì 16 dicembre 2010
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realismo e misticismo in simbiosi
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Un bufalo in fuga dal cappio che lo lega è l'occasione per introdurci un ecosistema dove piante, uomini, animali e spiriti sono in piena sintonia.
In una casa dispersa nella natura assieme alla cognata Jen e il nipote Tong, Boonmee, agricoltore e apicoltore, malato d'insufficenza renale si prepara al lungo percorso che lo porterà infine alla morte.
Durante questo "viaggio", che l'uomo affronta con assoluta naturalezza e dignità riceverà a tavola lo spirito della moglie morta molto prima e il figlio scomparso trasformatosi in uomo-scimmia per il rapporto carnale che ha avuto con la Natura.
Il percorso imporrà allo zio di analizzare il proprio operato e propri errori quali l'assassinio involontario di alcune micro-creature(insetti)e quello cosciente di alcuni uomini(comunisti in guerra).
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Un bufalo in fuga dal cappio che lo lega è l'occasione per introdurci un ecosistema dove piante, uomini, animali e spiriti sono in piena sintonia.
In una casa dispersa nella natura assieme alla cognata Jen e il nipote Tong, Boonmee, agricoltore e apicoltore, malato d'insufficenza renale si prepara al lungo percorso che lo porterà infine alla morte.
Durante questo "viaggio", che l'uomo affronta con assoluta naturalezza e dignità riceverà a tavola lo spirito della moglie morta molto prima e il figlio scomparso trasformatosi in uomo-scimmia per il rapporto carnale che ha avuto con la Natura.
Il percorso imporrà allo zio di analizzare il proprio operato e propri errori quali l'assassinio involontario di alcune micro-creature(insetti)e quello cosciente di alcuni uomini(comunisti in guerra).
La cinepresa quasi immobile si immerge in quel luogo "incantato" costringendo il fruitore a cadere in quella fiaba che è anche cronaca di una redenzione e morte.
Ritiratosi in una caverna-utero dove era già stato in una delle sue vite precedenti, Boonmee avrà l'assistenza dalla moglie per facilitare il passaggio da una vita all'altra.
Viaggio in un Thailandia dove il realismo e il misticismo sono entrati pienamente in simbiosi, dove il credo Buddista della reincarnazione fa si che gli spiriti tornino sulla Terra sotto altre forme, dove presente, passato e futuro si chiudono in un unico cerchio che li unisce e li confonde, dove prende vita la fiaba di un pesce gatto innamoratosi di una principessa sfigurata.
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pepito1948
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lunedì 22 novembre 2010
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la vita, la morte, la reincarnazione
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Ho aspettato prima di dire qualcosa su un film lontano dai nostri schemi e difficile sia per impatto sia per comprensione dei contenuti e dei riferimenti culturali.
Sul piano formale, la rivoluzione del regista è evidente: il ritorno agli albori del cinema con macchina da presa fissa, prima che qualcuno inventasse il binario con carrello mobile, è peraltro in linea con il ritorno alle origini, alla nascita che è uno dei temi del film. Le uniche sequenze sussultorie in cui è usata la macchina a mano sono quelle girate nella grotta-utero, nella cui immobile rocciosità si svolge il viaggio fisico e mentale del protagonista morente; ed è infatti il momento di massima dinamicità di una storia che si svolge per il resto intorno ad un tavolo o in ambienti domestici.
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Ho aspettato prima di dire qualcosa su un film lontano dai nostri schemi e difficile sia per impatto sia per comprensione dei contenuti e dei riferimenti culturali.
Sul piano formale, la rivoluzione del regista è evidente: il ritorno agli albori del cinema con macchina da presa fissa, prima che qualcuno inventasse il binario con carrello mobile, è peraltro in linea con il ritorno alle origini, alla nascita che è uno dei temi del film. Le uniche sequenze sussultorie in cui è usata la macchina a mano sono quelle girate nella grotta-utero, nella cui immobile rocciosità si svolge il viaggio fisico e mentale del protagonista morente; ed è infatti il momento di massima dinamicità di una storia che si svolge per il resto intorno ad un tavolo o in ambienti domestici. Inutile sottolineare come al regista non importi minimamente avvalersi di alcuna tecnologia avanzata; gli unici riferimenti alla modernità sono dentro il film, rappresentati da oggetti "globalizzati" come i cellulari, i televisori, le discoteche.
Per il resto, l'incipit, un po' misterioso a primo acchitto, credo inquadri sinteticamente il tessuto filosofico del film. Confessiamolo, il bisonte che nella bruma serale si libera da una corda e corre tra i fruscii della boscaglia finchè un uomo non lo vincola a sè smuove qualcosa di indefinito che solo in seguito è possibile mettere a fuoco; si delinea così il grande tema della relazione, in chiave di reincarnazione, tra uomini, animali (il bisonte è già sede di un'anima trasmigrata?) e piante, in un contesto bucolico di intercomunicazione marcato dall'armonia naturale di una colonna sonora che accompagna tutto il film dall'inizio alla fine. Come dire: questo è il teatro della narrazione, e qui si innesta la storia che segue.
Quello che colpisce e si discosta dal cinema occidentale è la serenità con cui il protagonista si prepara alla morte, o meglio all'inizio di una nuova vita, attraverso una cena, un'"ultima cena", a cui manca qualsiasi tono di solennità, di ritualità e di afflizione, ed a cui presenziano, autoinvitandosi, gli spiriti dei propri cari, dove vivi e morti conversano su un piano paritario ed i secondi sono per una volta assimilati ai vivi anche nella loro essenza corporea. Non c'è un Cristo che dirige il rito e cerca di consolare i propri apostoli, ma un povero cristo malato che dialoga in piena cordialità di vita e di morte con ospiti del tutto particolari. I fantasmi non suscitano inquietudine, mistero e paura, non sono eterei (e quindi rappresentati in sovraimpressione o solamente percepiti attraverso segni) ma in certo senso sono vivi come i vivi e come tali si comportano, interagiscono ed accompagnano il congiunto verso l'imminente (tra)passo.Visionarietà, magia, fiaba, mito si fondono in un tutt'uno in piena armonia con la quotidianità (le medicazioni descritte con meticolosa cura), il realismo dei riferimenti politici (I tragici scontri e le ribellioni represse nel sangue della Thailandia sono in qualche modo proiettate nel futuro nel sogno raccontato dal protagonista: per inciso la regione in cui è ambientata la storia è stata in passato teatro di violenti scontri), e forse non è un caso che il film sia stato premiato a Cannes dalla giuria presieduta da un visionario come Tim Burton.
Il racconto della linea della vita -passato, presente e futuro- viene realizzato mediante il viaggio nella grotta-utero, attraverso luci (compreso un firmamento stellato in qualche modo riprodotto sulle rocce) ed ombre, di cui tutte le vite sono costellate: un viaggio di ritorno alla nascita che finisce con la morte (e forse con una nuova nascita).
"Voi sopravvalutate il paradiso", dice lo spettro della moglie: dopo la morte, se non c'è reincarnazione, non c'è nulla. Questa considerazione richiama ricordi scolastici, ed in particolare il viaggio di Ulisse nell'Ade, in cui le anime evocate si aggirano impalpabili nel vuoto senza sentimenti di gioia e di appagamento, dove non esiste alcun sistema premiante.
La fine è tutta di libera interpretazione; il nipote fattosi bonzo si spoglia della veste sacerdotale e dopo una doccia liberatoria indossa jeans e maglietta per recarsi in discoteca con la zia, mentre le loro immagini siedono staticamente davanti al televisore acceso. Uno sdoppiamento per significare la contraddizione tra tradizione e modernità? Tra Oriente ed Occidente?
In conclusione un'opera fortemente suggestiva, che rompe con il linguaggio stereotipato cui siamo abituati dal cinema occidentale attraverso la semplicità della narrazione e la freschezza delle immagini sempre sostenute dalla presenza dei suoni rassicuranti della natura.
Tutto bello e coinvolgente, a parte il doppiaggio, che non rende giustizia della presunta genuinità dell'originale.
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renato volpone
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giovedì 4 novembre 2010
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molto bello
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Il film è veramente molto bello....particolare....Bellissimi i paesaggi e la storia è coinvolgente. E' un film molto lento nel quale le emozioni crescono dolcemente. Ci sono momenti di smarrimento, masi parla della crescita dello spirito e del cammino verso la morte e quindi alcune divagazioni sono ammesse. E' l'opposione di un monto antico con le sue storie e i suoi fantasmi ad un mondo moderno dove si perde la poesia del raccogliemento Non per tutti
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gagnasco
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venerdì 29 ottobre 2010
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una vita tante vite
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Lo zio Bonmee è un imprenditore tailandese che ricava di che vivere dalle sue api e dai suoi tamarindi. Da tempo si trova a dover sostenere cicli di dialisi quando un sole infuocato in mezzo alle fronde gli annuncia il tramonto della sua vita. In questo momento vengono ad assisterlo dei parenti dalla città:la cognata e il nipote...ma non sono i soli perchè la notte vomita al suo fianco l'amorevole fantasma della moglie morta venti anni prima e il figlio disperso sotto le sembianze di una creatura affamata che popola la foresta. Boonmee accompagnato da questi quattro compagni raggiunge delle caverne in cui aspettare il momento che lo consegnerà all'incertezza dell'esistenza spirituale ripartita tra un paradiso sopravvalutato e un vagare nell'oscurità guidato dalle voci dei cari.
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Lo zio Bonmee è un imprenditore tailandese che ricava di che vivere dalle sue api e dai suoi tamarindi. Da tempo si trova a dover sostenere cicli di dialisi quando un sole infuocato in mezzo alle fronde gli annuncia il tramonto della sua vita. In questo momento vengono ad assisterlo dei parenti dalla città:la cognata e il nipote...ma non sono i soli perchè la notte vomita al suo fianco l'amorevole fantasma della moglie morta venti anni prima e il figlio disperso sotto le sembianze di una creatura affamata che popola la foresta. Boonmee accompagnato da questi quattro compagni raggiunge delle caverne in cui aspettare il momento che lo consegnerà all'incertezza dell'esistenza spirituale ripartita tra un paradiso sopravvalutato e un vagare nell'oscurità guidato dalle voci dei cari...e naturalmente c'è anche la foresta per gli spiriti. Il suo viaggio verso la morte non è raccontato in nessun modo, è visto dallo zio e a quello che gli succede intorno si accavallano immagini che il titolo suggerisce essere di vite precedenti...ma quali vite? La principessa e il pesce gatto si uniscono nell'amore, in un connubio uomo-natura proprio anche di Boonmee, che si trova accanto a dei pescetti anche quando da un apertura della caverna in cui si trova un occhio di luna gli annuncia la sua dipartita. Allora le vite precedenti potrebbero essere quelle prima che si trovasse a urinare da un tubicino: quando aveva perso un figlio, quando aveva un figlio, quando aveva un figlio e una moglie...quando aveva combattuto i comunisti (in un flash un gruppo di ragazzi giocano con una scimmia col cappio al collo). Non sappiamo niente, lo zio non pensa, possiamo vedere solo i suoi occhi calmi e sorridenti, la sua tranquillità nel vedere il passaggio alla morte come un passo ineluttabile lontano dalla sua attuale vita precedente.
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giovedì 21 ottobre 2010
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viaggio suggestivo, ma distante da noi...
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Lo zio Boonmee (Thanapat Saisaymar), uomo anziano e malato, si sente vicino alla fine dei suoi giorni e decide di traferirsi, con cognata e nipote, in una casa vicina alla giungla per curarsi in tranquillità ed aspettare la propria ora. Gli faranno visita lo spirito della moglie morta ed il figlio, scomparso molto tempo prima ed ormai trasformatisi in scimmione dagli occhi di brace.
Quello di Boonmee è un viaggio a ritroso verso origini lontane e dimenticate, un ritorno al Tutto che he nella caverna-utero, luogo di nascita e morte di vite presenti e passate, la propria rappresentazione allegorica; un viaggio che conduce lo spettatore in una dimensione atemporale e fantastica, in cui coesistono sincreticamente passato e futuro, vivi e morti, creature e spiriti, leggenda e realtà; un viaggio, ancora, dal carattere mitico e suggestivo, specialmente laddove la telecamera di Weerasethakul si addentra nel fitto di una natura misteriosa ed ancestrale o profetizza, in una sequenza che fa pensare ad un'istallazione videoartistica, un inquietante futuro militarizzato per il popolo thai.
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Lo zio Boonmee (Thanapat Saisaymar), uomo anziano e malato, si sente vicino alla fine dei suoi giorni e decide di traferirsi, con cognata e nipote, in una casa vicina alla giungla per curarsi in tranquillità ed aspettare la propria ora. Gli faranno visita lo spirito della moglie morta ed il figlio, scomparso molto tempo prima ed ormai trasformatisi in scimmione dagli occhi di brace.
Quello di Boonmee è un viaggio a ritroso verso origini lontane e dimenticate, un ritorno al Tutto che he nella caverna-utero, luogo di nascita e morte di vite presenti e passate, la propria rappresentazione allegorica; un viaggio che conduce lo spettatore in una dimensione atemporale e fantastica, in cui coesistono sincreticamente passato e futuro, vivi e morti, creature e spiriti, leggenda e realtà; un viaggio, ancora, dal carattere mitico e suggestivo, specialmente laddove la telecamera di Weerasethakul si addentra nel fitto di una natura misteriosa ed ancestrale o profetizza, in una sequenza che fa pensare ad un'istallazione videoartistica, un inquietante futuro militarizzato per il popolo thai. Non è necessario soffermarsi sull'influenza che inevitabilmente ha, su gusti e sensibilità, il retroterra culturale dello spettatore per capire quanto possa risultare distante ad un pubblico occidentale un film che guarda apertamente alla storia, alle credenze, alle tradizioni ed all'immaginario thailandese. Il che è forse il principale limite di un titolo forse adatto a chi ama i linguaggi cinematografici sperimentali e d'avanguardia (nonchè la commistione di stili e toni, dal lirico al faceto), molto meno a chi malsopporta ritmi estenuantemente lenti ed inserti narrativi visionari (quando non, come nel caso dell'episodio della principessa e del pescegatto, francamente incomprensibili). Parte del più ampio progetto multipiattaforma Primitive, è stato insignito dell'onoreficenza più alta a Cannes, da una giuria presieduta da Tim Burton.
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