mtth
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lunedì 17 gennaio 2011
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l'approssimatezza dei numeri primi
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Può accadere - fra un equivoco e un trucco, tra tempi (inutilmente) dilatati e fastidiosi sussurri - che il gioco funzioni, e che almeno si trovi una parvenza formale di temi alti.
Il minimalismo citazionista può essere frainteso per opera autoriale.
Ma non qui, non si corre questo rischio durante o dopo la visione del film di Costanzo. Non v'è traccia della solitudine esistenziale che si vorrebbe restituire, del tormento che resta tutto da inferire. Se il libro peccava di superficialità, il film ne fa fare indigestione.
Neppure inavvertitamente sfugge di mano un guizzo che accarezzi la materia di cui è fatto l'inconscio, il lineamento di un personaggio.
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Può accadere - fra un equivoco e un trucco, tra tempi (inutilmente) dilatati e fastidiosi sussurri - che il gioco funzioni, e che almeno si trovi una parvenza formale di temi alti.
Il minimalismo citazionista può essere frainteso per opera autoriale.
Ma non qui, non si corre questo rischio durante o dopo la visione del film di Costanzo. Non v'è traccia della solitudine esistenziale che si vorrebbe restituire, del tormento che resta tutto da inferire. Se il libro peccava di superficialità, il film ne fa fare indigestione.
Neppure inavvertitamente sfugge di mano un guizzo che accarezzi la materia di cui è fatto l'inconscio, il lineamento di un personaggio. Gli strazianti destini evocati restano nel titolo, sono schiacciati da un'assenza di sostanza.
Eppure la strada percorsa dal regista è nota sin dall'inizio, tutta declinata nel linguaggio: dai primi piani tenuti all'estremo, alla voluta piattezza dei dialoghi, ad una fotografia pretenziosa quanto stereotipata. Sequenze dei ricordi che irrompono con il ritmo sbagliato come quelle camere dell'albergo invernale alla "Shining", con tanto d'orpello di cantilene infantili che sembrano un omaggio a Dario Argento e una presa diretta imbarazzante per piattezza, dalle quali non emerge nulla: né ansia, né inquietudini, né realismo.
Pellicola strabordante di citazioni dirette o indirette, da Bellocchio ad Antonioni, a mezzo dopoguerra (con curiosi esiti di abbozzi di denuncia sociale e politica che scaturiscono in un padre piccolo borghese caricaturizzato come in un cinepanettone, e la recalcitrante poetica delle colpe generazionali). Costanzo osa disseminare tracce qua e là: l'inserzione delle fotografie ( Alice diventa fotografa, i due verranno condannati all'ineluttabile che li unisce da una fotografia rubata, Mattia scoprirà ciò che è taciuto nella penombra di una camera oscura nel bagno della casa di Alice), i numeri del (bel) titolo che coprono le voci degli altri e l'incomunicabile. E fallisce nel raccontare l'adolescenza, l'infanzia e l'età adulta con personaggi che zoppicano o si tagliano per urlare la propria diversità- Un collage disarticolato che fiacca anche gli attori in una sceneggiatura velleitaria e inconcludente a struttura circolare, ellittica. Ma non chiusa, irrisolta.
Film punteggiato di rimandi a sé stesso, a panchine nel parco, piogge e nebbie onnipresenti, clown e stereotipi disarmanti.
Nella noia di chi resta in attesa, si assiste anche al cattivo gusto di buttare nel piatto l'anoressia come ultima spiaggia del "male di vivere".
Film involuto, sconsigliabile ma senza effetti collaterali.
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erixon
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lunedì 5 marzo 2012
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terribile
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Il romanzo è un caso letterario pompato da premi comprati e pubblicità gratuita, essendo edito da Mondadori. La massa purtroppo ne parla come un capolavoro. Buchi e incongruenze, principalmente irrealtà. Qualità che non sono certo adducibili al neo-realismo. E, se già il libro presenta scarsezza di realtà, nonostante il tentativo dell'Autore diinquadrare le concrete difficoltà di un "disadattato" nell'interfacciarsi col mondo sociale, il film rende ancora più metafisica ergo impossibile la consecutio della trama con silenzi infiniti, flashback malamente intrecciati, scelte di casting errate (eclatante la diversità tra l'Alice adulta, Alba Rohrwacher, e l'Alice bambina, Martina Albano).
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Il romanzo è un caso letterario pompato da premi comprati e pubblicità gratuita, essendo edito da Mondadori. La massa purtroppo ne parla come un capolavoro. Buchi e incongruenze, principalmente irrealtà. Qualità che non sono certo adducibili al neo-realismo. E, se già il libro presenta scarsezza di realtà, nonostante il tentativo dell'Autore diinquadrare le concrete difficoltà di un "disadattato" nell'interfacciarsi col mondo sociale, il film rende ancora più metafisica ergo impossibile la consecutio della trama con silenzi infiniti, flashback malamente intrecciati, scelte di casting errate (eclatante la diversità tra l'Alice adulta, Alba Rohrwacher, e l'Alice bambina, Martina Albano). Sia presa diretta che le musiche sono l'ancora di salvezza per il pathos del film. Il montaggio è ovviamente sovrano. Trovo inoltre offensiva l'idea stessa del romanzo perché mostra due disadattati senza prospettare evoluzione, senza offrire speranza, se non il matrimonio di Alice con un dottore, una trovata pessima peraltro inespressa nel film. Se fosse stato ambientato nell'800 forse avrebbe retto. Un film assolutamente vuoto e colmo di vuoti. Mi spiace per la regia, il direttore di fotografia e tutti coloro che hanno perso tempo, con grandi sforzi, nel tentare di rendere interessante una storia inesistente.
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popsa1111
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lunedì 13 settembre 2010
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pessimo film
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Il film tenta disperatamente di dare colore a un romanzo che seppur diventato un bestseller risultava scialbo, banale, un'incolore impresa commerciale progettata a tavolino sfruttando i mali della società contemporanea. Saverio Costanzo non vi è riuscito.Il film risulta lento, la narrazione procede attraverso una sequenza di flashback e flashforwards caotica irrazionale e priva di ritmo al punto da risultare irritante. La scrittura è lacunosa e mancano passaggi importanti per la sua comprensione al punto tale da non riuscire, nonostante la drammaticità della storia raccontata, a emozionare per nulla. Nel complesso un pessimo film, sicuramente da non andare a vedere.
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great steven
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venerdì 5 settembre 2014
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trasposizione labile, mancante di nerbo ed energia
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LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI (IT, 2010) diretto da SAVERIO COSTANZO. Interpretato da ALBA ROHRWACHER – LUCA MARINELLI – ISABELLA ROSSELLINI – ROBERTO SBARATTO – MAURIZIO DONADONI – FILIPPO TIMI § Scritto dal regista con Paolo Giordano, autore del fortunato romanzo, e spinto da un produttore lungimirante che ne aveva comprato i diritti prima che diventasse un best-seller, è il 3° film di Costanzo, e il 1° su commissione, frutto di un’operazione difficile e ambiziosa: farne qualcosa di nuovo e diverso. Costanzo ne ha fatto “un horror sentimentale sulla famiglia” (parole sue) e la sua impossibile emancipazione, citando Bava, Argento e Kubrick (con occhiate a Polanski e Bellocchio) e circondandosi di collaboratori affidabili o di moda tra cui il poliedrico, quasi schizofrenico, musicista californiano Mike Patton, ma anche i Goblin nelle sequenze iniziali.
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LA SOLITUDINE DEI NUMERI PRIMI (IT, 2010) diretto da SAVERIO COSTANZO. Interpretato da ALBA ROHRWACHER – LUCA MARINELLI – ISABELLA ROSSELLINI – ROBERTO SBARATTO – MAURIZIO DONADONI – FILIPPO TIMI § Scritto dal regista con Paolo Giordano, autore del fortunato romanzo, e spinto da un produttore lungimirante che ne aveva comprato i diritti prima che diventasse un best-seller, è il 3° film di Costanzo, e il 1° su commissione, frutto di un’operazione difficile e ambiziosa: farne qualcosa di nuovo e diverso. Costanzo ne ha fatto “un horror sentimentale sulla famiglia” (parole sue) e la sua impossibile emancipazione, citando Bava, Argento e Kubrick (con occhiate a Polanski e Bellocchio) e circondandosi di collaboratori affidabili o di moda tra cui il poliedrico, quasi schizofrenico, musicista californiano Mike Patton, ma anche i Goblin nelle sequenze iniziali. Del romanzo ha ingarbugliato i fili, alternando le vicende dei due protagonisti e i tre livelli temporali (bambini, adolescenti, adulti), cercando al montaggio (Francesca Calvelli) di far emergerne i temi latenti delle vite (quasi) parallele di Alice e Mattia, sconvolti nell’infanzia da dolorosi eventi. S’incontrano, si sfiorano, forse si amano nell’incertezza, ma si trovano sempre nel posto sbagliato al momento sbagliato. Cercando di riconciliarsi col passato: l’uno con l’altra? Finale aperto. Messo in immagini, purtroppo, il film perde la sua magica sensibilità e il suo plasticismo figurativo e romanzesco, toccando talvolta il ridicolo involontario e mettendosi sulla falsariga di imitare le vicende sulla carta con una pappagallesca recitazione che non prende le frasi parola per parola ma le trasfigura in dialoghi poveri e blandi. Inoltre, molte scene vengono scipitamente eliminate, e alcuni aspetti che nel libro sono fondamentali sullo schermo non trovano la corretta e giusta applicazione audiovisiva: per fare qualche esempio, l’anoressia di Alice, l’autolesionismo di Mattia, il matrimonio della ragazza col medico Fabio, la sorella autistica e ritardata del protagonista maschile e la sua successiva dispersione, le nozze della compagna di scuola Viola Bai, l’azzoppamento di Alice durante le sciate in alta montagna, l’insegnamento di matematica all’estero, il primo contatto sessuale di Mattia con un’amica di un collega professore, il viaggio in automobile quando entrambi sono nuovamente in Italia e il loro ultimo, increscioso incontro (in realtà mostrato nel film, ma in una maniera debole e poco espressiva, che non rende tutta la drammatica sofferenza che dal romanzo fuoriesce e trapela con un’autentica forza della natura che sembra zampillare con energia inesauribile). Presentato in concorso al 67° Festival cinematografico di Venezia e distribuito nelle sale a partire dal 10 settembre 2010. Complessivamente, incassò quasi tre milioni e mezzo di euro. Distribuito da Medusa. La fotografia di Fabio Cianchetti carezza amorevolmente le immagini, senza trascurare un’ingenuità rappresentativa che però ben combacia col tono melodrammatico, inserendosi non alla perfezione ma agevolmente con il quadro triste e melanconico che traspare dalla messa in scena del libro, in ogni caso decisamente migliore del film (come quasi sempre accade) per maggiore ricchezza di particolari e superiore potenza evocativa di emozioni e sensazioni umane. La scenografia di Antonello Geleng e Marina Pinzuti Ansolini è un punto a favore della pellicola, che alza di una spanna la media medio-bassa in cui quest’opera ristagna per scarsa creatività e fedeltà non troppo vicina al testo scritto (e una fedeltà maggiore non sarebbe guastata, ad essere sinceri, e un ingarbugliamento meno confuso e spezzettato avrebbe giovato alquanto). Non male i costumi di Antonella Cannarozzi: sobri, decorativi, zelanti e adeguati. In conclusione, non un film che resterà nella storia del cinema italiano, ma sicuramente un timido tentativo di tradurre cinematograficamente discorrendo un’opera prima eccezionale, vincitrice del Premio Strega e del Premio Campiello contestualmente, che dedica pagine intense e vitali all’esistenza quasi interamente combinata di due esseri umani sensibili, capaci di amare e di odiare, auto-commiseranti eppure forti e decisi quanto basta, che sono costretti a rimanere lontani vicendevolmente come i numeri primi, incredibilmente vicini ma inesorabilmente distanti, per via dell’impossibilità di incontrarsi e riempirsi in modo reciproco per colmare i vuoti di serenità e felicità che un destino troppo arcigno e beffardo ha riservato per loro con tanta crudeltà e animosità.
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stefano capasso
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lunedì 6 aprile 2015
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arrendersi al dolore
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Alice e Mattia hanno avuto un infanzia difficile, segnata in primo modo dall'impossibilità di vivere i loro anni come avrebbero avuto diritto di fare. Si incontrano nell'adolescenza, frequentano lo stesso liceo, e di li cominceranno una relazione fatta di piccoli avvicinamenti e grandi lontananze. Il loro è un lungo travaglio che li porterà finalmente in età matura ad arrendersi l'un l'altro.
Saverio Costanzo dirige un film dalle tinte forti, sono di grande impatto la colonna sonora e la fotografia, che creano una forte sensazione di dentro fuori.
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Alice e Mattia hanno avuto un infanzia difficile, segnata in primo modo dall'impossibilità di vivere i loro anni come avrebbero avuto diritto di fare. Si incontrano nell'adolescenza, frequentano lo stesso liceo, e di li cominceranno una relazione fatta di piccoli avvicinamenti e grandi lontananze. Il loro è un lungo travaglio che li porterà finalmente in età matura ad arrendersi l'un l'altro.
Saverio Costanzo dirige un film dalle tinte forti, sono di grande impatto la colonna sonora e la fotografia, che creano una forte sensazione di dentro fuori. Come la modalità dei due protagonisti, molto ben interpretati, che vivono le loro vite in una inevitabile e dolorosa solitudine, che solo a tratti riescono a trasformare in una vita di relazione.
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viola96
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sabato 24 settembre 2011
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indecifrabile.
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Il cinema italiano di qualità è destinato,in un modo o nell'altro,a farsi da parte,minacciato dal crescente dominio delle commediole che incassano tanto e che non si ritraggono quasi mai.Il poco cinema Italiano che non sia prevalentemente commerciale è sotto ostaggio della politica(specialmente della Sinistra),dell'ecumenismo in genere,dell'assordante e liberatoria auto-proclamazione di classe elevata.Tratto da un romanzo discretamente riuscito di Paolo Giordano,"La solitudine dei numeri primi" è un'attenta contemplazione sul significato del dolore e sulla dolorosità della cura.Costanzo,che ha un tocco vagamente neo-realista e che si auto-importa nel buio e triste caos amniotico della vicenda,non riesce nell'impresa di trasportare sul grande schermo un romanzo di puro stampo sociale senza quindi incappare nel patetismo delle figure.
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Il cinema italiano di qualità è destinato,in un modo o nell'altro,a farsi da parte,minacciato dal crescente dominio delle commediole che incassano tanto e che non si ritraggono quasi mai.Il poco cinema Italiano che non sia prevalentemente commerciale è sotto ostaggio della politica(specialmente della Sinistra),dell'ecumenismo in genere,dell'assordante e liberatoria auto-proclamazione di classe elevata.Tratto da un romanzo discretamente riuscito di Paolo Giordano,"La solitudine dei numeri primi" è un'attenta contemplazione sul significato del dolore e sulla dolorosità della cura.Costanzo,che ha un tocco vagamente neo-realista e che si auto-importa nel buio e triste caos amniotico della vicenda,non riesce nell'impresa di trasportare sul grande schermo un romanzo di puro stampo sociale senza quindi incappare nel patetismo delle figure.Alba Rochwaller e Luca Marinelli,si prestano a questo gioco al massacro che prevede più vittime e meno complici del solito.La storia narra di Alice,triste anoressica zoppa,che risulta un personaggio troppo vicino al patetismo e alla pietà civile,per auto-commeserarsi(ci) e di Mattia,auto lesionista colpevole di aver involontariamente provocato la morte della sorellina affetta da autismo.Le loro vite si incroceranno.Entrambe le figure dei due protagonisti,lontane dalla rappresentazione schematica del romanzo,rappresentano due singoli individui con difetti e pregi e problemi,che uniti a coppia,cercano di superarli.E invece li raddoppiano.Non è un capolavoro "La solitudine dei numeri primi":Nella sua tempestiva audacia si dimentica di considerare punti importanti nella vicenda e cerca di autocontrollarsi,diventando il più casto possibile.Inoltre,l'idea di svolgere il film in periodi storici discostanti,che nel romanzo era riuscita benissimo,stavolta perde di lucidità e non permette spunti ben più importanti di quelli semplicistici.Come al solito,il confronto con il romanzo è impetuoso:Dove il libro di Giordano ampliava più gli aspetti metafisici e surreali della vicenda,Costanzo permette alla sua macchina di presa non di ricrearsi negli archivi della memoria e nei meandri della mente dei protagonisti,ma bensì di gurdarli con sguardo attento e consolatorio,verso un mondo nuovo che appare impossibile.A parte qualche netta differenza con il romanzo,si dimostra un adattamento affidabile e preciso,che ricostruisce sullo schermo ciò che nel romanzo veniva solo accennato.Notiamo un progressivo aumento di colore e mescolanza di atmosfere:Mentre si parte dal liceo,in cui i due si incontrano e iniziano a condividere i loro problemi,si finisce in un luogo che sembra magico,in cui i problemi non esistono,o meglio passano in secondo piano.Comunque,il film tocca tasti importanti:Il senso di colpa per la morte di un caro,l'anoressia,il disagio sociale,l'auto-fustigazione.Soprattutto quest'ultimo tratto è reso splendidamente nel film:Mattia si punisce non perchè pensa di aver provocato la morte della sorella,ma bensì perchè lui sa che avrebbe potuto aiutarla e non lo ha fatto.C'è tanta,ma tanta,ma tanta carne al fuoco,che rischia di bruciare inesorabilmente e di ridursi in cenere e in poltiglia.Ottime le interpretazioni dei protagonisti,le musiche interessanti,i vari riferimenti all'infanzia,ma può risultare dannosa la sovra esposizioni a cambiamenti temporali e l'assordante tempestività dell'azione."La solitudine dei numeri primi" è un lento e solenne harakiri umano,che non coglie ciò che c'era da cogliere e non si fa apprezzare.Insomma,alla fine,si resta con l'amaro in bocca.
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[+] buona recensione ma la politica che c'entra?
(di alessandro vanin)
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ultimoboyscout
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mercoledì 29 agosto 2012
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numeri speciali, sospettosi e solitari.
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Gli anni dell'infanzia sono stati particolarmente difficili per Alice e Mattia, ed entrambi ne sono rimasti segnati, nell'animo e nella mente. L'incontro delle loro solitudini, però, potrebbe aprire uno spiraglio di felicità. Saverio Costanzo porta sullo schermo il best-seller di Paolo Giordano: affrontare un romanzo di successo non è mai facile, Costanzo lo fa con incredibile sensibilità e intelligenza, ma il risultato è scadente. Lo reinterpreta, evitando di mettere le pagine in immagini, da uno stile pop nel raccontare le storie di queste due anime afflitte e tormentate, non riuscendo a dare loro il giusto spessore, forse anche a causa di attori non in stato di grazia.
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Gli anni dell'infanzia sono stati particolarmente difficili per Alice e Mattia, ed entrambi ne sono rimasti segnati, nell'animo e nella mente. L'incontro delle loro solitudini, però, potrebbe aprire uno spiraglio di felicità. Saverio Costanzo porta sullo schermo il best-seller di Paolo Giordano: affrontare un romanzo di successo non è mai facile, Costanzo lo fa con incredibile sensibilità e intelligenza, ma il risultato è scadente. Lo reinterpreta, evitando di mettere le pagine in immagini, da uno stile pop nel raccontare le storie di queste due anime afflitte e tormentate, non riuscendo a dare loro il giusto spessore, forse anche a causa di attori non in stato di grazia. Il film delude, col suo taglio e le sue atmosfere horrorifiche e ciò che è peggio, a tratti, riesce ad essere pure fastidioso. Il regista dopo una buona prima parte di presentazione in cui svela poco alla volta le solitudini e le menomazioni di Alice e Mattia, smarrisce la via imboccata e si perde. ne imbocca altre, ma nessuna sembra più essere quella giusta e anche la musica non aiuta, eccessiva e rimbombante. Costanzo punta all'autorialità, sprecando materiale umano col risultato di far sembrare tutto finto ed estremamente artificioso, con la confusione che regna sovrana assieme ad un lato introspettivo troppo marcato che lo rende ermetico ai più. Ma la tensione creata cede quasi subito, i segreti e i drammi dei protagonisti vengono goffamente svelati e tutto si sgonfia, trasformandosi in una dolorosissima agonia. Luca Marinelli ha per tutto il film la stessa terribile faccia, la Rossellini è l'ombra di se stessa e dovrebbe fungere da perno intellettuale ma il condizionale è d'obbligo e tutto va nella direzione del ridicolo involontario e del falso. E se il messaggio è che il mondo è crudele verso i deboli e i sensibili, Costanzo deve aver tirato un bel sospiro di sollievo visto quant'è fortunato!
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goldy
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venerdì 10 settembre 2010
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eccessivo
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Pur essendo i rapporti famigliari e scolastici descritti con inquadrature inequivocabili che motivano l'abisso di solitudine nel quale i due ragazzi sviluppano il rispettivo percorso affettivo non si può non obiettare che tutto in questo film è improntato a un insopportabile eccesso. Anche di fronte a una dolente inadeguatezza del vivere come questa raccontata nella storia, si sente la necessità di una certa qual ironia per alleggerire uno stile insopportabilmente greve. Santo cielo! Quanti giovani che andranno a vedere il film avranno vissuto gli stessi disagi ( se si esclude l'episodio della sorellina gemella) e non per questo avranno rinuciato a lottare per una loro felicità.
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Pur essendo i rapporti famigliari e scolastici descritti con inquadrature inequivocabili che motivano l'abisso di solitudine nel quale i due ragazzi sviluppano il rispettivo percorso affettivo non si può non obiettare che tutto in questo film è improntato a un insopportabile eccesso. Anche di fronte a una dolente inadeguatezza del vivere come questa raccontata nella storia, si sente la necessità di una certa qual ironia per alleggerire uno stile insopportabilmente greve. Santo cielo! Quanti giovani che andranno a vedere il film avranno vissuto gli stessi disagi ( se si esclude l'episodio della sorellina gemella) e non per questo avranno rinuciato a lottare per una loro felicità. Qui sembra che tale aspetto di possibile riscatto sia improponibile in una logica di lettura della vita intollerabilmente egocentrica e tutta ripiegata su se stessi.
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[+] credo che ....
(di dubbiosa)
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francesco2
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domenica 17 luglio 2011
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rovinare sempre tutto..per colpa della solitudine?
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Le prime scene ci mostrano una recita di cui sono protagonisti i due giovani protagonisti, allora bambini: non sappiamo subito che si tratta di una recita, perdipiù non certamente priva -Con contorni soft- di quella dimensione "Horror" che secondo vari giudizi, non a torto pervade parzialmente il film. Non sapendo se esista o meno nel libro una situazione del genere (L'incipit vero e proprio è comunque diverso), è possibile leggerlo come un suggerimento, meno didascalico probabilmente a vedersi di quanto possa apparire in questa recensione: la vita è una recita,e più che mai lo è per dei numeri primi come Alice e Mattia, (auto?) condannatasi alla solitudine ed a un certo grado di isolamento dal mondo.
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Le prime scene ci mostrano una recita di cui sono protagonisti i due giovani protagonisti, allora bambini: non sappiamo subito che si tratta di una recita, perdipiù non certamente priva -Con contorni soft- di quella dimensione "Horror" che secondo vari giudizi, non a torto pervade parzialmente il film. Non sapendo se esista o meno nel libro una situazione del genere (L'incipit vero e proprio è comunque diverso), è possibile leggerlo come un suggerimento, meno didascalico probabilmente a vedersi di quanto possa apparire in questa recensione: la vita è una recita,e più che mai lo è per dei numeri primi come Alice e Mattia, (auto?) condannatasi alla solitudine ed a un certo grado di isolamento dal mondo.
Da questo punto di vista, l'inizio fa ben(ino) sperare, nonostante la sceneggiatura vista e rivista di genitori piccolo-borghesi-ottusi che, spiace dirlo, finisce paradossalmente per apparire vecchia almeno quanto i personaggi che pretende di rappresentare. Esistono però elementi innovativi rispetto al nostro, stantio cinema: la dimensione del cartone animato che non propone un lieto fine, ma che anzi porta all'estremo la dimensione non consolatoriadella finzione" vista nella sequenza d'apertura, e persino i codici linguistici, con certe scene di gruppo ove le compagne di Viola appaiono simpaticamente(?) deformate, appaiono una curiosa miscellanea Di Corsicato, della De Lillo e forse di altro: un film che sconfiggerebbe la perbenista "Igiene del cinema" canoviana , proprio perché deforma secondo codici di quel Cronenberg adorato dal codice milanese, a differenza del (Mi ripeto) del cinema nostrano che raramente, come in "Pranzo di Ferragosto" e poco altro deforma i canoni, non perché garbato ed elegante ma anzi per il motivo opposto: perché come scrive Maltese la televisione lsembra averlo ucciso, e le sue forme (In tutti isensi!) sono le stesse anodine e falsamente viscerali che ci ripropongono le nostre fiction.
La storia però comincia scricchiolare ove si vuole giocare coi flashback: se "Il cigno nero" fondeva sogni e realtà, perversione (Un pò grossolana, a volte) e realtà, paradossalmente(?) quello che non riusciva a fare la malcapitata protagonista, Costanzo qui parzialmente cade. Perché passino, parzialmente, la storia lesbica di Viola (Peraltro, dicono, inesistente nel libro) che la segnerà per sempre (A proposito di Cronenberg: è troppo associare il tatuaggio e ciò che comporta all'uomo-macchina cronenberghiano?), con delle psicologie un pò arraffazzonate ed un ricerca della trasgressione un pò fine a sé stessa, almeno quanto nel film di Afronovsky: ma è nel racconto di Michela,ì che Giordano esaurisce quella carica trash (Non kitzch, attenzione) che caratterizzava i primissimi minuti, anche con trovate caricate come il braccio mutilato(Ancora!) mostrato con fare provocatorio, e la carrellata con la musica presa in prestito dall'"Uccello delle piume di cristallo". Tutto si riduce al giallino(??) instile(??)Mazzacurati, la festa che rovina tutto stile "Gianni e le donne", il complesso di colpa che ti accompagnerà per tutta la vita.
Finale poco credibiile e didascalico: Alice, fondendo (Ancora) la finzione con la realtà, aveva creduto (Quasi sicuramente) di avere rivisto Micaela, ma quel falso allarme farà tornare da lei Mattia, riducendo ulteriormente il film ad un esempio di cinema splatter buono per una seratina televisiva, in cui si chiede un pò di provocazione spicciola che ti faccia un pò pensare e non ti annoi troppo.
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ralphscott
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mercoledì 22 settembre 2010
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il meglio all'inizio
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Inizio strepitoso. Una lunga,spaventosa sequenza,dove le maschere della recita scolastica vengono inquadrate vorticosamente; la musica che Morricone scrisse per "L'uccello dalle piume di cristallo" come protagonista sublime ed assoluto. In seguito,una sceneggiatura servile nei confronti del romanzo originale,affastella troppe dinamiche non sempre secondo logica,omettendone molte altre.. Le vicende che segnano la vita di Alice e Mattia,vengono montate solo nell'ultima parte del film,contribuendo a confondere lo spettatore. Assurda la deriva lesbo tra Alice e Viola,in luogo dell'attrazione omo tra Matteo ed il suo paffuto compagno di banco. La Rohrwacher piace o irrita.
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Inizio strepitoso. Una lunga,spaventosa sequenza,dove le maschere della recita scolastica vengono inquadrate vorticosamente; la musica che Morricone scrisse per "L'uccello dalle piume di cristallo" come protagonista sublime ed assoluto. In seguito,una sceneggiatura servile nei confronti del romanzo originale,affastella troppe dinamiche non sempre secondo logica,omettendone molte altre.. Le vicende che segnano la vita di Alice e Mattia,vengono montate solo nell'ultima parte del film,contribuendo a confondere lo spettatore. Assurda la deriva lesbo tra Alice e Viola,in luogo dell'attrazione omo tra Matteo ed il suo paffuto compagno di banco. La Rohrwacher piace o irrita. Io son del secondo partito. Tuttavia complimenti per la metamorfosi a servizio del personaggio:dimagrmento degno del personaggio,anoressico,appunto.
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