figliounico
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mercoledì 27 marzo 2024
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thriller denuncia
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Costruito come un thriller, L’altra verità ne ha tutte le caratteristiche e non mancano suspense, azione e mistero da risolvere nel finale, ma è la firma di Ken Loach a rendere un normale action movie un film di denuncia politica e sociale che prende di mira le potenti compagnie private militari e i crimini da loro commessi, spesso impunemente grazie a complicità prezzolate nelle istituzioni, e quando mai, nelle martoriate terre dell’Iraq. Stigmatizzato lo sfruttamento cinico del caos per fare soldi sulla pelle della povera gente, trattata come le bestie al macello, Loach si concentra sulla crisi di coscienza del protagonista, interpretato efficacemente dal poco noto Mark Womack, con un esito non del tutto prevedibile della sua drammatica vicenda personale.
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angelo umana
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mercoledì 24 dicembre 2014
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le rogole d'ingaggio
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Liverpool 2007. Ken Loach non fa sconti, non edulcora o soavizza le vicende che racconta, le lascia drammatiche se lo sono, sempre graffianti, di impegno e funzione sociale. Qui si tratta dei contractors della guerra in Iraq, i mercenari, quelli le cui regole d’ingaggio comportavano uno stipendio da 10000 sterline al mese esentasse. Con questo attrattivo Fergus aveva convinto Frankie a prendere questo “lavoro”: grandi amici fin da bambini , condividevano tutto, dalle gite in battello per marinare la scuola alla ragazza di Frankie, Rachel, che diventerà di Fergus una volta che il primo, un 1° settembre, viene ucciso laggiù.
La sua morte è avvenuta nella Route Irish (titolo originale) che porta da Baghdad alla zona verde, a 2 km.
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Liverpool 2007. Ken Loach non fa sconti, non edulcora o soavizza le vicende che racconta, le lascia drammatiche se lo sono, sempre graffianti, di impegno e funzione sociale. Qui si tratta dei contractors della guerra in Iraq, i mercenari, quelli le cui regole d’ingaggio comportavano uno stipendio da 10000 sterline al mese esentasse. Con questo attrattivo Fergus aveva convinto Frankie a prendere questo “lavoro”: grandi amici fin da bambini , condividevano tutto, dalle gite in battello per marinare la scuola alla ragazza di Frankie, Rachel, che diventerà di Fergus una volta che il primo, un 1° settembre, viene ucciso laggiù.
La sua morte è avvenuta nella Route Irish (titolo originale) che porta da Baghdad alla zona verde, a 2 km. dall’aeroporto, la più pericolosa del mondo. Lì Frankie era stato mandato altre volte, almeno tre, senza nessuno da prelevare. Fergus scopre che è stata un’esecuzione quella del suo amico, fatta dai suoi stessi colleghi: si opponeva alle angherie e violenze che i suoi commilitoni, novelli cow-boys, praticavano sulle persone del luogo che, è detto nel film, se non erano di Al-Qaeda lo diventavano subito dopo. La regola interna di questi contractors era Niente sangue niente peccato, così tutto diventava praticabile o giustificato. Le società che contrattavano i mercenari avevano grosse collaborazioni coi governi, si sarebbero accaparrate anche le opere di ricostruzione. Si occupavano però delle esequie dei caduti e delle omelie agli eroi dimenticati del nostro tempo.
Dopo tutte le sue private indagini Fergus è preso in una spirale di violenza, cerca di farsi giustizia da sé, fino a un punto di non ritorno: vorrebbe tornare a essere un pezzetto dell’uomo di prima ma – scrive in un messaggio a Rachel - è meglio abbattere un cane rabbioso prima che morda qualcun altro.
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lucalip
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venerdì 7 marzo 2014
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la vendetta obnubila la mente
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Bel film. Dopo la morte del suo amico di infanzia in Iraq un contractor inizia ad indagare e scopre che i responsabili della morte siedono nella stanze del potere. A quel punto la soluzione è la vendetta. Vendetta che distruggerà la vita del responsabile e i suoi affetti. Due i temi da sviscerare:
1) l'amicizia fra i due protagonisti, bellissima, che porta prima Frankye in Iraq per solidarietà con l'amico dove troverà la morte e poi Fergus a rischiare la vita per indagare sull'assassinio
2) la vendetta a tutti i costi, cieca, che distrugge la vita di Fergus e il suo affetto per Rachel
Rimane l'impressione che la morte dei responsabili non cambi le cose e che il potere continuerà a trionfare.
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Bel film. Dopo la morte del suo amico di infanzia in Iraq un contractor inizia ad indagare e scopre che i responsabili della morte siedono nella stanze del potere. A quel punto la soluzione è la vendetta. Vendetta che distruggerà la vita del responsabile e i suoi affetti. Due i temi da sviscerare:
1) l'amicizia fra i due protagonisti, bellissima, che porta prima Frankye in Iraq per solidarietà con l'amico dove troverà la morte e poi Fergus a rischiare la vita per indagare sull'assassinio
2) la vendetta a tutti i costi, cieca, che distrugge la vita di Fergus e il suo affetto per Rachel
Rimane l'impressione che la morte dei responsabili non cambi le cose e che il potere continuerà a trionfare. Cambieranno i protagonisti ma i risultati resteranno i medesimi
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alessandro di fiore
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giovedì 23 agosto 2012
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un pacifista integrale
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In tanti modi può essere realizzato un film di denuncia contro la guerra. Uno dei modi più efficaci è quello di abbandonare la contrapposizione tra categorie: bianchi contro neri, o iracheni contro americani, o buoni contro cattivi. Il conflitto vero infatti non è sul campo di battaglia, ma è dentro le nostre coscienze. Le quali sono complicate e contraddittorie perché tra l’aspirazione al bene e la tentazione al male contengono una pluralità di sfumature, tante quante sono contenute tra li bianco e il nero. E allora, se si condivide il primato della coscienza, e della sua complessità, non può mai accogliersi la forzosa semplificazione di visioni manichee in qualunque teatro di guerra.
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In tanti modi può essere realizzato un film di denuncia contro la guerra. Uno dei modi più efficaci è quello di abbandonare la contrapposizione tra categorie: bianchi contro neri, o iracheni contro americani, o buoni contro cattivi. Il conflitto vero infatti non è sul campo di battaglia, ma è dentro le nostre coscienze. Le quali sono complicate e contraddittorie perché tra l’aspirazione al bene e la tentazione al male contengono una pluralità di sfumature, tante quante sono contenute tra li bianco e il nero. E allora, se si condivide il primato della coscienza, e della sua complessità, non può mai accogliersi la forzosa semplificazione di visioni manichee in qualunque teatro di guerra. Questa volta è l’Iraq, ma potrebbe essere ogni altro angolo del pianeta. A comprendere sulla propria pelle ciò che non è ovvio solo in tempo di guerra, cioè la preminenza della persona sulla categoria, è un mercenario, nel corso della sua personale indagine rivolta a scoprire le reali dinamiche che hanno condotto alla morte il proprio amico del cuore. Le vicende personali in tempo di guerra possono trasformare con assoluta disinvoltura l’amico in nemico e viceversa. Il che rende l’esito del proprio percorso psicologico del tutto autonomo rispetto all’esito di un combattimento: i vincitori in guerra si leggono solo sui libri di storia, perché la coscienza di ciascuno, vincitore o vinto che sia, ne esce sempre sconfitta e lacerata. La potenza del messaggio pacifista sta proprio qui, nel fatto che la guerra costituisce l’annuncio della sconfitta della persona prima ancora che il campo di battaglia dia il proprio responso. “L’altra verità” di Ken Loach costituisce la visione antimanichea applicata alla guerra, che ne “In questo mondo libero” era applicata all’universo del precariato. Ben vengano film come questo, che con stile impeccabile e in assenza di truculenze tarantiniane ci rende partecipi dello sdegno verso ogni forma di conflitto armato.
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alessandro di fiore
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giovedì 23 agosto 2012
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un pacifista integrale
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In tanti modi può essere realizzato un film di denuncia contro la guerra. Uno dei modi più efficaci è quello di abbandonare la contrapposizione tra categorie: bianchi contro neri, o iracheni contro americani, o buoni contro cattivi. Il conflitto vero infatti non è sul campo di battaglia, ma è dentro le nostre coscienze. Le quali sono complicate e contraddittorie perché tra l’aspirazione al bene e la tentazione al male contengono una pluralità di sfumature, tante quante sono contenute tra li bianco e il nero. E allora, se si condivide il primato della coscienza, e della sua complessità, non può mai accogliersi la forzosa semplificazione di visioni manichee in qualunque teatro di guerra.
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In tanti modi può essere realizzato un film di denuncia contro la guerra. Uno dei modi più efficaci è quello di abbandonare la contrapposizione tra categorie: bianchi contro neri, o iracheni contro americani, o buoni contro cattivi. Il conflitto vero infatti non è sul campo di battaglia, ma è dentro le nostre coscienze. Le quali sono complicate e contraddittorie perché tra l’aspirazione al bene e la tentazione al male contengono una pluralità di sfumature, tante quante sono contenute tra li bianco e il nero. E allora, se si condivide il primato della coscienza, e della sua complessità, non può mai accogliersi la forzosa semplificazione di visioni manichee in qualunque teatro di guerra. Questa volta è l’Iraq, ma potrebbe essere ogni altro angolo del pianeta. A comprendere sulla propria pelle ciò che non è ovvio solo in tempo di guerra, cioè la preminenza della persona sulla categoria, è un mercenario, nel corso della sua personale indagine rivolta a scoprire le reali dinamiche che hanno condotto alla morte il proprio amico del cuore. Le vicende personali in tempo di guerra possono trasformare con assoluta disinvoltura l’amico in nemico e viceversa. Il che rende l’esito del proprio percorso psicologico del tutto autonomo rispetto all’esito di un combattimento: i vincitori in guerra si leggono solo sui libri di storia, perché la coscienza di ciascuno, vincitore o vinto che sia, ne esce sempre sconfitta e lacerata. La potenza del messaggio pacifista sta proprio qui, nel fatto che la guerra costituisce l’annuncio della sconfitta della persona prima ancora che il campo di battaglia dia il proprio responso. “L’altra verità” di Ken Loach costituisce la visione antimanichea applicata alla guerra, che ne “In questo mondo libero” era applicata all’universo del precariato. Ben vengano film come questo, che con stile impeccabile e in assenza di truculenze tarantiniane ci rende partecipi dello sdegno verso ogni forma di conflitto armato.
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gagnasco
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martedì 2 agosto 2011
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il soldato e la morale
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“chi potrebbe mai sopportare i malanni e le frustate dei tempi, l’oppressione dei tiranni, le contumelie dell’orgoglio, pungoli d’amor sprezzato e remore di legge, indifferenza dall’alto e derisione degli indegni sul merito paziente, chi lo potrebbe mai se uno può darsi quietanza col filo di un pugnale?”
Fergus non ha dubbi al riguardo e il suo pugnale è ben affilato e deciso a dare quietanza a lui e alla memoria dell’amico tornato a casa in una bara con il corpo sfregiato e incompleto ridotto ai tanti brandelli di una verità manipolata e stravolta.
Fergus (Mark Womack) si trova nella sua città natale, Liverpool, col passaporto sospeso grazie agli strascichi giudiziari di una rissa che lo tengono lontano dalle richieste di aiuto dell’amico Frankie (John Bishop), attualmente mercenario in Iraq per un’agenzia paramilitare.
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“chi potrebbe mai sopportare i malanni e le frustate dei tempi, l’oppressione dei tiranni, le contumelie dell’orgoglio, pungoli d’amor sprezzato e remore di legge, indifferenza dall’alto e derisione degli indegni sul merito paziente, chi lo potrebbe mai se uno può darsi quietanza col filo di un pugnale?”
Fergus non ha dubbi al riguardo e il suo pugnale è ben affilato e deciso a dare quietanza a lui e alla memoria dell’amico tornato a casa in una bara con il corpo sfregiato e incompleto ridotto ai tanti brandelli di una verità manipolata e stravolta.
Fergus (Mark Womack) si trova nella sua città natale, Liverpool, col passaporto sospeso grazie agli strascichi giudiziari di una rissa che lo tengono lontano dalle richieste di aiuto dell’amico Frankie (John Bishop), attualmente mercenario in Iraq per un’agenzia paramilitare.
Fergus, abbandonato dalla madre in tenera età, è cresciuto con Frankie e la sua famiglia, è cresciuto con la rabbia di un lupo ferito affezionandosi solo all’amico con cui ha sempre condiviso tutto e in primis la voglia di andare via dalla grigia mediocrità cui Liverpool li avrebbe condannati.
L’arrivo delle spoglie di Frankie getta Fergus nell’angoscia di aver perso uno dei suoi pochi legami col vivere sociale e le tante ombre sulla dinamica della sua morte saranno l’occasione per soffermarsi su come ruoli imposti da eventi e manipolatori di eventi rendano gli uomini al pari di una marionetta che non ha tempo ne opportunità di dare un senso morale alle proprie azioni. Il drammatico percorso di Fergus lo porterà a vedere come ogni pedina nel sistema sia uguale all’altra. Indipendentemente dall’inclinazione soggettiva una volta accettato il teorema: “mors tua vita mea”, non fa differenza se un atto di prevaricazione su un altro uomo, seppur necessario, ha dato piacere, voltastomaco o l’indifferenza di aver seguito un protocollo.
In questo viaggio/indagine sarà accompagnato dalla moglie dell’amico, Rachel (Andrea Lowe), che, conoscendo una personalità del proprio compagno incarnata in Fergus, scoprirà qualcosa di nuovo sulla persona che aveva accanto. Frankie era sia il compagno affettuoso e innamorato che il militare dedito al dovere, deciso a compiere gli ordini e amante dell’avventura oltre che di altre donne. Questo senza mancare di sincerità perché la personalità stessa, in una sorta di selezione naturale, evolve nella forma più adatta ad ogni situazione.
Ken Loach ha portato i suoi personaggi fuori dal contesto industriale di Liverpool ma anche dall’altra parte del mondo sono ancora burattini in mano a un interesse che prevarica il libero arbitrio stesso.
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giorgio47
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venerdì 27 maggio 2011
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in queste guerre non esistono gli eroi
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Qual’è l’altra verità? La guerra! Semplice, senza sbavature è questa l’altra verità. In Iraq si combatte una guerra e tutti gli uomini che la combattono, sono soldati di mestiere, mercenari o come quelli del film contractors, ma sono tutti uguali, abbrutiti e spesso esaltati, amanti della violenza e tutt’altro che eroi. Questa è la guerra e se qualcuno, per motivi economici, ci capita senza avere queste caratteristiche si trova in un mondo che non riesce a capire e controllare ed allora crea dei problemi. Se il denaro abbondante che gli viene corrisposto non riesce a placare la sua coscienza, diventa un problema. Ed allora i problemi vengono eliminati come avviene a Frankie, l’amico di Fergus.
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Qual’è l’altra verità? La guerra! Semplice, senza sbavature è questa l’altra verità. In Iraq si combatte una guerra e tutti gli uomini che la combattono, sono soldati di mestiere, mercenari o come quelli del film contractors, ma sono tutti uguali, abbrutiti e spesso esaltati, amanti della violenza e tutt’altro che eroi. Questa è la guerra e se qualcuno, per motivi economici, ci capita senza avere queste caratteristiche si trova in un mondo che non riesce a capire e controllare ed allora crea dei problemi. Se il denaro abbondante che gli viene corrisposto non riesce a placare la sua coscienza, diventa un problema. Ed allora i problemi vengono eliminati come avviene a Frankie, l’amico di Fergus. I soldi sono tanti e le società che si arricchiscono in questa guerra hanno manager in doppio petto e ventiquattrore come qualsiasi società. Diciamo che qui i morti su cui si specula sono alla luce del sole, senza la mediazione delle fabbriche e dei suoi incidenti sul lavoro. Il film parte dalla morte di Frankie e racconta la vendetta che porterà a termine Fergus, il quale essendo uomo di guerra, anche se appare, in quanto spinto da un forte senso dell’amicizia e lontano “dal fronte”, migliore, provocherà comunque degli “effetti collaterali” che sono gli stessi che avevano inorridito Frankie rendendolo inadatto al ruolo per cui era pagato. Fergus non è un eroe e i superman non esistono. Di fronte alla tortura anche il contractors più bieco e violento piange e confessa colpe non sue. L’unico gesto che rende umano Fergus è la sua fine. Un film in apparenza quasi spettacolare, che rasenta l’azione di un thriller, ma che in effetti è molto più duro di quello che appare ad un primo impatto.
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olgadik
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sabato 14 maggio 2011
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loach e la guerra
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In apparenza negli ultimi film Ken Loach sembrava più pacificato con il suo risentito impegno sociale e, pur non abbandonando né il cinema di realtà né una chiara posizione politica, si era dedicato più a fondo all’analisi socio-psicologica dei suoi personaggi, con una vena di ironia e poesia (vedi “Paul, Mitck e gli altri” o “Il mio amico Eric”). Oggi lo ritroviamo a parlare di guerra come crimine che si porta dietro tanti altri elementi feroci e illegali, sui quali uno come lui non può tacere. Uno di questi è l’esistenza dei cosiddetti “contractors”, i quali, al soldo di potenti privati, altro non sono che mercenari.
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In apparenza negli ultimi film Ken Loach sembrava più pacificato con il suo risentito impegno sociale e, pur non abbandonando né il cinema di realtà né una chiara posizione politica, si era dedicato più a fondo all’analisi socio-psicologica dei suoi personaggi, con una vena di ironia e poesia (vedi “Paul, Mitck e gli altri” o “Il mio amico Eric”). Oggi lo ritroviamo a parlare di guerra come crimine che si porta dietro tanti altri elementi feroci e illegali, sui quali uno come lui non può tacere. Uno di questi è l’esistenza dei cosiddetti “contractors”, i quali, al soldo di potenti privati, altro non sono che mercenari. Essi in realtà sono pagati profumatamente per compiere azioni di morte con cui i loro padroni (le varie corporation) non si sporcano le mani. Si tratta perlopiù di uomini corrotti nel profondo che, tornati nei loro paesi, spesso importano violenza, mentre si parla, da parte dei loro padroni, di democrazia da esportare per mezzo della guerra. Ma a questa tematica Loach ha voluto mescolare quella dell’amicizia e della vendetta per la morte dell’amico più caro, tema trattato quasi come un thriller, dove alla fine importa soprattutto trovare il colpevole, cosa che stravolge il senso di tutto il resto. Ci si trova perciò davanti a un mancato approfondimento del problema generale, per ripiegare su un racconto più individuale e un po’ scontato nelle modalità narrative. Non siamo di fronte a un film banale o scolorito; Loach è un grande e la macchina da presa per lui non ha segreti, quindi il ritmo, la fotografia, le inquadrature semplici e raffinate, un certo malinconico simbolismo del paesaggio sul lago, le scene della tortura, forti ma non compiaciute, sono brani degni di lui. Ma nell’insieme il film non convince, poiché la parte che aspira a essere documento è già vista, con le riprese, prima e durante, di quello che il conflitto voluto da Bush e compagni in Iraq ha provocato. In quanto al personaggio principale, le sue ricerche sulla fine dell’amico danno di lui stesso un’immagine sempre peggiore, via via che si avvicina alla verità. Essa quindi non è liberatoria perché dimostra che il marcio della guerra gli è ormai passato dentro, tanto da portare al suicidio. L’uomo infatti, che nel frattempo si è innamorato della compagna dell’amico, non può più sopportare se stesso e ha coscienza dell’impossibilità di cambiare. In poche righe la trama. I fatti prendono l’avvio da Routhe Irish, la strada più pericolosa del pianeta, collocata in Iraq. Lì Frank, che l’amico Fergus ha convinto ad accettare l’incarico di contractor, pagato con ben diecimila dollari al mese, si trova ad essere testimone scomodo della strage di una famiglia locale. Perciò viene eliminato. A quel punto Fergus, tornato a Liverpool, non avrà pace fino a che non ricostruirà le vere circostanze della morte, al di là delle frasi rituali usate ufficialmente dai superiori. “Al momento sbagliato nel posto sbagliato”, ecco la formula che non spiega nulla. Cosa è successo davvero Fergus lo scoprirà, con i metodi appresi come mercenario, torturando quello che crede il colpevole. Davanti a poteri forti e subdoli che sfuggono spesso a noi per ignoranza e ad altri perché girano altrove lo sguardo, volutamente, che cosa poteva fare Ken Loach se non un film? Egli usa infatti le uniche armi che possiede, la passione politica e la cinepresa. E forse poco importa che il film non sia uno dei migliori.
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reservoir dogs
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lunedì 9 maggio 2011
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docu-dramma d
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Fergus (Womack) poco convinto delle dinamiche della morte dell'amico Frank (Bishop), morto in un esplosione nella Route Irish, una delle strade dell'Iraq tra le più pericolose al mondo, decide di indagare sul fatto con l'aiuto della vedova (Lowe).
Dopo una fugace attenzione al mondo della commedia drammatica (vedi Il mio amico Eric), che segnava la sua opera più matura, Ken Loach posa il suo sguardo documentaristico nel mondo mercenario della guerra.
Attraverso uno stile asciutto, scarno, caratteristico dei suoi film-inchiesta, il regista irlandese sposta l'attenzione dal consueto sottoproletariato inglese (Riff Raff, Paul, Mick e gli altri) ad una condizione omertosa, fatta di profitto e morte; si passa dall'Iraq al Darfur perché "In Iraq non c'è futuro".
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Fergus (Womack) poco convinto delle dinamiche della morte dell'amico Frank (Bishop), morto in un esplosione nella Route Irish, una delle strade dell'Iraq tra le più pericolose al mondo, decide di indagare sul fatto con l'aiuto della vedova (Lowe).
Dopo una fugace attenzione al mondo della commedia drammatica (vedi Il mio amico Eric), che segnava la sua opera più matura, Ken Loach posa il suo sguardo documentaristico nel mondo mercenario della guerra.
Attraverso uno stile asciutto, scarno, caratteristico dei suoi film-inchiesta, il regista irlandese sposta l'attenzione dal consueto sottoproletariato inglese (Riff Raff, Paul, Mick e gli altri) ad una condizione omertosa, fatta di profitto e morte; si passa dall'Iraq al Darfur perché "In Iraq non c'è futuro".
Il rapporto di sangue che i due "contractors" avevano sin da giovani fa si che la mancanza di consolazione faccia posto al senso di colpa sino ad arrivare ad una "forzata" vendetta e una completa simbiosi, sia nelle scelte che nelle donne.
Nel docu-dramma si alternano nella fotografia di Chris Menges, immagini "sgranate" da reportage di un passato perduto e plumbee tonalità grigio-azzurre del tormentato presente.
Giunti alla verità si prende coscienza che forse la realtà è un altra: La denuncia sociale è l'elemento che rende il regista identificabile indipendentemente dall'argomento trattato e dall'evoluzione che egli compie; il mutare restando perfettamente radicati all'originale visione del movimento Free Cinema, caratterizzato da "appassionate requisitorie contro la repressione e la violenza delle istituzioni" (Bernardi).
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(di reservoir dogs)
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sarita
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domenica 8 maggio 2011
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la guerra che genere guerra
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Fergus e Frankie, amici d’infanzia, erano contractors in Iraq: soldati con il compito di proteggere i privati (giornalisti, reporters, industriali..).
Dall’ Iraq Fergus torna solo, espulso con il pretesto di una scazzottata tra commilitoni in un bar: Frankie muore in un attentato lungo la Route Irish, la strada di Baghdad che ha fama di essere la più pericolosa del mondo.
Ma Fergus sa che l’amico era un uomo fortunato e non crede e non crederà mai al semplice concetto con cui le alte sfere militari motivano la sua morte: Frankie si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato.
In questo film Ken Loach approfondisce un concetto per lui altrettanto semplice: nessuno torna vivo da una guerra.
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Fergus e Frankie, amici d’infanzia, erano contractors in Iraq: soldati con il compito di proteggere i privati (giornalisti, reporters, industriali..).
Dall’ Iraq Fergus torna solo, espulso con il pretesto di una scazzottata tra commilitoni in un bar: Frankie muore in un attentato lungo la Route Irish, la strada di Baghdad che ha fama di essere la più pericolosa del mondo.
Ma Fergus sa che l’amico era un uomo fortunato e non crede e non crederà mai al semplice concetto con cui le alte sfere militari motivano la sua morte: Frankie si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato.
In questo film Ken Loach approfondisce un concetto per lui altrettanto semplice: nessuno torna vivo da una guerra.
Fergus ci torna senza identità, non a caso il suo passaporto gli è stato sequestrato in Iraq, abbruttitito dalle violenze commesse e viste commettere, perseguitato dai ricordi delle scene di guerra, anaffettivo e aggressivo.
Che cosa gli rimane, se non scoprire la verità sulla morte dell’amico e vendicarla con qualsiasi mezzo?
Ma il suo bisogno di vendetta non genera altro che una nuova guerra, violenza che chiama violenza, odio che chiama odio.
E’ una spirale senza via d’uscita che invece di farlo tornare un ”civile” e reintegrarlo nella società lo isola ancora di più e lo allontana irrimediabilmente anche da lei, Rachel, l’unica cosa che lui e Frankie non si sono mai divisi, la donna del suo migliore amico, amata anche da lui, probabilmente da sempre.
Nell’inquadratura simbolo di tutto il film Fergus vede Rachel attraverso il vetro smerigliato di una porta socchiusa e solo lì, dietro un vetro a segnare l’insuperabile distanza, riesce ad allungarle la mano e a far affiorare il sentimento; ma è questione di un attimo e la porta si richiude.
Il tema della guerra e dei traumi post-guerra non è certamente nuovo nel cinema, ma ciò che rende questo film meritevole di essere visto è l’intenzione: quella di risvegliare coscienze ormai intorpidite e assuefatte alle immagini di guerra sulla non scontatezza e la non ammissibilità: non è scontato che in una guerra debbano morire dei bambini, non è ammissibile l’uso della tortura, non è scontato che un uomo si svegli di notte in preda agli incubi per essere stato un soldato, non è ammissibile che per salvaguardare interessi e poteri si nasconda la verità.
Ken Loach è un idealista senza senso della realtà? Sì, e sembra fiero di esserlo.
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