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La città verrà distrutta all’alba, ieri e oggi

Da Romero a Eisner, film diversi per tempi diversi.
di Rudy Salvagnini

Una sfiducia nel potere costituito
Timothy Olyphant (Timothy David Olyphant) (55 anni) 20 maggio 1968, Honolulu (Hawaii - USA) - Toro. Interpreta David Dutton nel film di Breck Eisner La città verrà distrutta all'alba.

mercoledì 14 aprile 2010 - Approfondimenti

Una sfiducia nel potere costituito
Quella del remake hollywoodiano è diventata un’industria nell’industria, prolifica e a sé stante, riciclatrice di idee più o meno buone. Da un lato ci sono i remake di film stranieri per americanizzare storie già rese solitamente molto bene nei paesi di origine, dall’altro c’è la cannibalizzazione delle opere americane del passato. Si è cominciato rifacendo successi commerciali o capolavori indiscussi, si è arrivati a rifare anche film oscuri, almeno quanto a visibilità da parte del pubblico. E si tratta forse dei remake più interessanti, perché danno una seconda possibilità commerciale a idee passate inosservate in prima battuta.
Tra questi, spicca La città verrà distrutta all’alba di Breck Eisner che ha riesumato e “replicato” l’omonimo vecchio film di Romero che solo i (peraltro molti) fans del regista di La notte dei morti viventi ormai ricordavano. Film indipendente a bassissimo budget, quello di Romero coniugava fantahorror e impegno politico in un affresco disordinato e violento di una società al collasso per l’incapacità di governare le proprie malsane creazioni e di mantenere un rapporto umano tra istituzioni e cittadini.
In una certa misura, la tematica resta la stessa anche nel remake, che esprime una decisa sfiducia nei confronti del senso morale del potere costituito, ma il modo in cui questo concetto viene espresso ci dice molto sulla differenza tra il 1973 (l’anno di uscita del film di Romero) e il 2010.
La città verrà distrutta all’alba versione Romero è un film più veemente ed eversivo perché quelli erano gli anni d’oro dell’horror sociopolitico ed erano anche gli anni della cosiddetta nuova Hollywood, allora già al tramonto ma ancora vivace, con i suoi film anticonvenzionali e spesso amari. Con la sua carica sanguigna, il film di Romero scardinava il volto “pulito” (ma non per questo meno inquietante) e a tratti asettico del fanta-virologico rappresentato da film come Andromeda di Robert Wise e La notte del furore, prima regia cinematografica del grande attore George C. Scott, o anche, su toni più bondiani, Il germe di Satana di John Sturges da Alistair MacLean. Oppure ancora, in tempi più recenti, Virus con Dustin Hoffman, che adatta al filone i canoni del disaster movie.
Romero lascia invece in secondo piano il virus in sé per concentrarsi sulle meccaniche che la sua improvvida fuoriuscita determina e sulle responsabilità istituzionali nella creazione e gestione dell’emergenza. Ma Romero vuole darci le due facce della medaglia, mettendo in scena anche il dramma e i dubbi del capo della missione governativa, un militare, mentre il remake si concentra sui superstiti e lascia nell’ombra il potere che quindi vede rafforzato il suo ruolo simbolico come oppressore senza volto e sentimenti: si perde qualcosa nella dialettica, guadagnando però in efficacia iconica.

Dalla denuncia al complotto
Un aspetto che infatti emerge prepotentemente nel remake è quello della distanza tra il potere e la gente comune, mentre nella pellicola romeriana di entrambi si vuole mostrare il volto umano, quantomeno il fatto che anche il potere - o gli emissari periferici del potere - è composto da uomini: boia e condannati sono entrambi vittime delle circostanze e dei ruoli che devono ricoprire. Nel remake tutto resta su un piano più semplice, più metaforico: una metafora, però, che proprio perché spogliata di complessità risulta depotenziata nella sua carica contestatrice.
In questo senso, il remake più che al cinema di denuncia sembra appartenere al più generico cinema del complotto che percorre gli schermi ormai da diversi decenni. La cosa non riguarda solo il cinema: qualunque cosa accada, c’è sempre qualcuno che ha una dietrologia da spiegare, dando la colpa alla Cia, al governo o agli alieni per ogni disastro o misfatto. E c’è sempre qualcuno pronto a credergli o a sospettare che ci sia del vero. Questa dietrologia nasce in epoca moderna quando ci si rende conto che i Governi o le loro emanazioni non dicono sempre la verità e, da Kenedy al Watergate e oltre, ha fatto molti proseliti soprattutto negli Stati Uniti. Da allora, il potere, anche al cinema, agisce spesso con modi obliqui e moventi misteriosi, contrari ai cittadini. Un riflesso di ciò si ha anche nel nuovo La città verrà distrutta all’alba, con lo sceriffo che - in quanto autorità locale - vorrebbe sapere cosa sta succedendo, ma non riceve alcuna risposta. L’unico momento in cui il volto del potere si sbreccia è quando a uno dei soldati viene tolta la maschera protettiva. Ridotto a uomo, il soldato si comporterà da tale mantenendo la parola data, quasi come se, una volta umanizzato e confrontatosi con altri esseri umani, non riesca più a vederli come meri bersagli e a riprendere in pieno il suo ruolo omicida.
Pur essendo da sempre un ammiratore di La città verrà distrutta all’alba di Romero, non lo sono al punto da non vederne le manchevolezze, che testimoniano di un autore che sa cosa vuole ottenere, ma non sa più come ottenerlo. La carica virulenta della contrapposizione con il potere emerge in pieno, ma il film non ha la stessa chiarezza narrativa e la forza espositiva di La notte dei morti viventi con cui Romero pochi anni prima aveva esordito col botto. La ricerca immediata di altre strade ne aveva dimostrato la versatilità, ma il fallimento soprattutto commerciale di quelle strade - la commedia sentimentale There’s Always Vanilla e il para-horror La stagione della strega - lo aveva messo in difficoltà: La città verrà distrutta all’alba sembra un classico run for cover, un ritorno a un terreno già battuto molto bene. Ma il film, benché valido, è diseguale e non ottiene l’esito commerciale sperato, aprendo una nuova e profonda crisi da cui Romero - dopo anni di documentari - saprà riemergere con umiltà e bravura.

Eroi per caso in una vita sconvolta
Il remake è un bel film, compatto e sicuro, diretto con buon piglio. La parabola narrativa è più omogenea ed equilibrata, l’intrattenimento più solido e professionale. Tutto questo mantenendo almeno in parte il significato dell’originale, che nella sua sostanza traspare ancora con forza: la nostra vita quotidiana può essere sconvolta da un momento all’altra da cause che non possiamo governare né comprendere; per il potere costituito, la necessità di prendere decisioni gravi fa sì che queste passino sopra la testa dei cittadini sui quali avranno conseguenze e non si ha alcuna certezza che queste decisioni siano le migliori. Il senso di impotenza che anche questo nuovo film trasmette fa riflettere.
Nel film di Romero i protagonisti sono persone del tutto normali. In quello di Eisner c’è una maggiore assonanza a ruoli tipici degli “eroi per caso”, come lo sceriffo e il vice (nel film di Romero erano dei pompieri) o il dottore (dottoressa, in questo caso). Il risultato è una maggiore omogeneizzazione al “genere” e la ricreazione di un clima da tranquilla cittadina che ricorda da vicino - anche nel tema del cambiamento disumanizzante - quello di L'invasione degli ultracorpi, il superclassico della paranoia diretto da Don Siegel.
In definitiva, due film - quelli di Romero ed Eisner - fortunatamente diversi e ugualmente validi e interessanti.

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