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Il volo: il primo 3D italiano diretto da Wenders

Il film è prodotto dalla regione Calabria e non sarà facile vederlo.
di Gabriele Niola

Un mediometraggio per promuovere la Calabria
Wim Wenders (Ernst Wilhelm Wenders) (78 anni) 14 agosto 1945, Düsseldorf (Germania) - Leone. Regista del film Il volo.

lunedì 22 marzo 2010 - Making Of

Un mediometraggio per promuovere la Calabria
Esiste il primo film in 3D italiano e non stupirà apprendere che si tratta di un prodotto decisamente fuori dai canoni. E' un mediometraggio di 32 minuti girato da Wim Wenders e prodotto dalla Regione Calabria in cui recitano Luca Zingaretti e Ben Gazzara doppiato da Giancarlo Giannini, la cui destinazione (vista la tecnologia e la durata) è per il momento ignota. Troppo corto per andare al cinema da solo, troppo lungo per accompagnare i lungometraggi e troppo in 3D per andare in televisione Il volo (questo il nome del film) di sicuro girerà i festival ma poi non è chiaro che fine farà e come potrà assolvere la sua funzione primaria: promuovere la Calabria.
La strana storia di come si sia arrivati ad un simile prodotto è un perfetto ibrido tra gli strani percorsi mentali di Wim Wenders, l'originalità del modo di procedere italiano e il caso. Il regista tedesco, cui era stato commissionato un corto promozionale, ha infatti cambiato più volte idea sul progetto a causa dell'incontro con degli immigrati in terra calabra. La fortuita casualità ha fatto sì che optasse per puntare la macchina da presa su di loro e sulla loro storia facendogli alla fine anche decidere di girare in tre dimensioni, spinto dalla possibilità offerta da Lilliwood, azienda nostrana specializzata in stereografia: "Ad oggi il 3D è utilizzato come strumento amplificatore della fantasia, ci porta in mondi lontani e ci fa viaggiare" è il parere del regista "Ma io sono sicuro però che da qui a pochi anni sarà molto usato dai documentaristi per come è in grado di creare una nuova porta verso la realtà".
E il risultato, curioso a dirsi vista la tradizione tecnologica del nostro cinema, è di primo livello, un tassello interessante nel più grande percorso di maturazione del cinema tridimensionale.

Strane storie per strani film
Non è un caso che Wenders abbia voluto prendere parte a questo progetto calabrese: "Vedo me stesso come parte della vecchia tradizione tedesca, un po demodé, caratterizzata da una nostalgia verso il sud" dichiara il regista "Come nei diari di Goethe lì tutto è rimasto uguale, solo i mezzi di trasporto sono cambiati. Per uno come me non c'è nemmeno bisogno di chiederselo, è semplicemente ovvio, è chiaro che amo questo paese, ne sento il calore, non solo nel tempo, ma anche negli occhi".
Eppure la storia inizialmente doveva essere un'altra, tanto che Il volo ne porta ancora i segni. Il mediometraggio di Wenders infatti inizia con la sua voce narrante e illustra la vita a Badolato, cittadina calabra semiabbandonata per l'emigrazione, in cui vive un solo bambino il quale fa la spola tra la polizia (Luca Zingaretti) e l'ufficio del sindaco (Ben Gazzara doppiato da Giancarlo Giannini) consegnando all'uno i messaggi dell'altro. Mentre sindaco e polizia litigano sulla questione dell'accoglienza (il primo attira gli immigrati il secondo non sa dove sistemarli) e il bambino trova nei giovani rom dei possibili compagni di giochi la storia si interrompe, compare Wim Wenders in sala di montaggio davanti ad un monitor con le immagini del film che stiamo vedendo e comincia un secondo racconto.
Sempre con la voce fuoricampo del regista tedesco (che parla con la medesima cadenza austera e severa che abbiamo imparato a conoscere nei documentari del suo collega Werner Herzog), si racconta la vera storia del making di Il volo e di come Wenders sia stato avvicinato dai bambini rom che interpretavano gli immigrati rimanendone affascinato. "Noi facciamo 3 ore di pullman per venire a girare qui ora però devi venire tu da noi se no non sei un uomo serio" questa frase realmente pronunciata da uno dei giovani non-attori sarebbe stata la molla che ha fatto capire a Wenders che occorreva puntare l'obiettivo su di loro e sulla loro incredibile storia.
I bambini come molti altri immigrati infatti vivono in una cittadina una volta abbandonata trasformata dal proprio sindaco in una città d'accoglienza. Gli immigrati prendono il posto lasciato dagli emigrati e il nucleo cittadino ricomincia a vivere con una seconda generazione di popolazione. Questo modello di tolleranza ed accoglienza sbocciato in un villaggio fuori dal tempo come solo i posti della Calabria sanno essere, ha folgorato Wenders che ha chiesto allora di allungare la produzione e farla diventare qualcos'altro.

Il 3D secondo Wenders
Ci troviamo in un tempo della nostra cultura filmica, ma anche della vita quotidiana, in cui siamo siamo circondati sempre di più dal fantastico. Andiamo a vedere un film e diamo per scontato che sia fantasia, e il 3D non fa altro che incrementare questa tendenza" queste parole apparentemente di sfiducia verso il cinema tridimensionale vengono proprio da Wim Wenders, il regista però ha una visione più complessa di così "Quando ho visto affermarsi questa tecnologia ho provato senso di euforia perché non solo porta verso mondi remoti ma porta anche 3 dimensioni ad una realtà che fino ad ora ne ha viste unicamente 2".
La terza dimensione di Il volo si chiama Lilliwood, società tutta italiana specializzata nella stereografia. Al film di Wenders quelli di Lilliwood hanno dato non solo l'attrezzatura ma anche una nuova figura professionale ovvero il direttore della stereografia, la persona presente sul set che, in accordo con il direttore della fotografia, opera la videocamera stereoscopica e fa in modo che ogni inquadratura sia perfettamente tridimensionale. E' un lavoro di taratura che si fa ad occhio ma non per questo è poco preciso. Come l'accordatura di uno strumento si fa ad orecchio, così la taratura stereoscopica viene compiuta di volta in volta in modo che nessun elemento "faccia difetto".
In Il volo c'è più di un momento in cui il tridimensionale è protagonista, momenti cioè in cui determinate inquadrature hanno senso e creano senso grazie alle possibilità stereoscopiche. Ed è in questo più che nella trama che si vede la mano di un regista non solo abile nel manipolare il linguaggio delle immagini ma anche da sempre interessato all'immagine digitale (fu uno dei primi a sperimentare con videocamere digitali quando queste erano oggetti mai visti prima). Le idee di Wenders e il modo in cui sfrutta la profondità per un racconto che non ha nulla di finto e tutto di vero sono forse il contributo più interessante che Il volo può dare al linguaggio del cinema. Se qualcuno riuscirà mai a vederlo.

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