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Happy Family: sono affari di famiglia

Come il più recente cinema italiano mette in scena la famiglia moderna.
di Edoardo Becattini

Giochi di ruolo
Margherita Buy (62 anni) 15 gennaio 1962, Roma (Italia) - Capricorno. Interpreta Margherita nel film di Gabriele Salvatores Happy Family.

lunedì 22 marzo 2010 - Approfondimenti

Giochi di ruolo
In Francia uno dei giochi di carte più popolari è quello delle "famiglie", in cui i vari giocatori devono riuscire a mettere assieme il maggior numero di carte raffiguranti famiglie felici dalle caratteristiche peculiari. In Italia abbiamo un altro gioco: raccontare attraverso i rimescolamenti di carte dei generi cinematografici storie di famiglie ristrette o allargate, bizzarre o composte, ambientate nello spazio di poche stanze. Sfogliando gli album di famiglia e i ritratti scattati dal nuovo cinema italiano, non si ritrovano né la perfezione numerica e l'uniformità di quelle del popolare gioco di carte, né le caratteristiche idilliache portate nelle piazze dai vari "family day". Al contrario, nelle varie cornici della commedia brillante, del dramma d'autore, dell'esistenzialismo nazional-popolare, si inseriscono racconti sulle distanze sociali fra una generazione di figli dubbiosi e di padri pigri, sui contrasti fra una mentalità reazionaria e il progressismo dei sentimenti, sulle nevrosi, i rimpianti e i conflitti soffocati fra la cucina e il salotto delle mura domestiche.
A tematizzare la questione in modo squisitamente metalinguistico è l'ultimo film di Salvatores, Happy Family, in cui un inerte cinefilo decide di scrivere la sceneggiatura di un film (rigorosamente d'autore) e di concentrare il suo racconto su due famiglie dalle caratteristiche opposte. Che il cinema si interessi alla famiglia non è il punto: nell'incrocio di storie e personaggi di un solo nucleo familiare i film hanno sempre visto passare la Storia e la cultura di un'intera popolazione (come in La famiglia di Ettore Scola o ne La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana). Quel che più colpisce è che la famiglia sia diventata la "polveriera" delle tensioni del nostro cinema e di questa epoca, la rappresentazione dello spirito del tempo in termini di conflitto.

Romanzi popolari
L'inasprirsi della tendenza era intuibile. Il nuovo anno è cominciato con l'aggiornamento della grida e dei sospiri dei personaggi più intimi di Gabriele Muccino. Il regista che dieci anni fa impose una versione aggiornata della crisi dei rapporti di coppia, con Baciami ancora prolunga la crisi dei suoi protagonisti più affezionati e li inserisce in una situazione familiare dove gli scontri non si sono placati ma hanno trovato nuovi pretesti per grida e sospiri.
Se quello di Gabriele Muccino è un romanzo popolare che sfida le leggi del mondo e le forze della natura, il "manuale" di Giovanni Veronesi sui rapporti fra genitori e figli propone delle istruzioni per l'uso organizzate per episodi e dialoghi emblematici, dove il punto di partenza e di arrivo, il mittente e il destinatario del messaggio, si configurano con la "voce dell'innocenza" giovanile e lasciano emergere l'aspetto più farsesco di tradimenti, separazioni e tensioni amorose.

Ritratti fra interno e esterno
La presenza di un problema nelle modalità più popolari di rappresentazione della famiglia lascia presagire che nelle forme analitiche e chirurgiche dei rapporti familiari del "cinema d'autore" il nuovo corso preveda nuove turbe e forme degenerate di relazione. In verità, i due film italiani più recenti che si confrontano con i rapporti familiari, paiono guardare al passato, concentrandosi su famiglie al di sopra della classe media e sui problemi delle apparenze sociali. Nelle forme inedite della commedia, Ferzan Ozpetek inventa la stirpe dei Cantone, ricca famiglia salentina sottomessa alle leggi non scritte del perbenismo borghese e del machismo pugliese. Le Mine vaganti di Ozpetek impastano i valori più tradizionali con la cultura omosessuale, sospese "fuori dal tempo" fra mentalità progressista e una certa visione immobilista del mondo. In Io sono l'amore, invece, Luca Guadagnino si muove con eleganza fra le ampie stanze della magione dei Recchi, famiglia di industriali dove i modi austeri e formali soffocano la serenità d'animo e la sincerità degli affetti. Nel lungo tragitto da Lecce a Milano, troviamo un'altra famiglia borghese dagli antichi valori, ma se nei Cantone tradimenti e dissimulazioni agiscono comunque nel nome dell'amore familiare, fra i Recchi le forme del desiderio, il colore e il calore dell'amore, si trovano sempre lontane dalla famiglia, nella libertà di Londra oppure esposte al sole della costa ligure.

I panni sporchi
Risfogliando velocemente questi album appena scorsi, è certamente difficile farsi un'idea della configurazione della nuova famiglia italiana. E ancor più difficile è assimilare uno qualsiasi di questi ritratti (sia esso enfatico, caricaturale, brillante o melodrammatico) alla realtà. Eppure, è curioso vedere come questa disposizione al conflitto fra dimensione esterna e interna del nucleo familiare rifletta quelli che sono i difetti notori da sempre imputati al nostro cinema. Da una parte un cinema che guarda troppo al privato, sia come oggetto d'indagine che come sguardo troppo spesso attento solo alle mode effimere della cultura nazional-popolare. Dall'altra, un cinema che guarda al di fuori dei fuori propri confini per trovare nuove idee, che crede che per risollevare le proprie sorti basti guardare (ed emulare) l'esterno.

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