gumbus
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domenica 24 aprile 2011
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eccellente
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Se "Somewhwere" della Coppola è leggero costruito sui vuoti, sulle assenze, sullo smarrimento, sulla separazione e lascia malinconici e pensosi ma sospesi, questo film è fatto di pieni, di presenze, di ritrovamenti e incontri. E lascia saturi, stanchi, sfiniti, per separaci da questo Greenberg, ossessivo e pedante e ansiogeno, Herzoggiano quanto non basta mai, ma alla sua "nuova vita". Opera così realista e perfetta che i protagonisti sono due, anzi tre. Stupendamente ideato e realizzato, doppiato superbamente, con due, tre battute definitive, è un capolavoro di Ben Stiller. Se ce ne fosse bisogno il tempo lo premierà.
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Se "Somewhwere" della Coppola è leggero costruito sui vuoti, sulle assenze, sullo smarrimento, sulla separazione e lascia malinconici e pensosi ma sospesi, questo film è fatto di pieni, di presenze, di ritrovamenti e incontri. E lascia saturi, stanchi, sfiniti, per separaci da questo Greenberg, ossessivo e pedante e ansiogeno, Herzoggiano quanto non basta mai, ma alla sua "nuova vita". Opera così realista e perfetta che i protagonisti sono due, anzi tre. Stupendamente ideato e realizzato, doppiato superbamente, con due, tre battute definitive, è un capolavoro di Ben Stiller. Se ce ne fosse bisogno il tempo lo premierà.
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metacritic
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mercoledì 13 aprile 2011
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tempi che furono...
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rivisitazione di un passato nostalgico per un quarantenne rimasto indenne al continuo mutamento dentro il quale ognuno di noi, volente o nolente, si trova immerso. Tentativo di riconciliazione con gli amici dei tempi della scuola e costante ricerca di uno sbocco pubblico attraverso le lettere di protesta concepite dopo ogni piccolo evento che la vita gli riserva. Intolleranza/estraneità nei confronti di certe abitudini e modi di fare dei ventenni odierni, indecisione costante, altalenante e ondivaga nei rapporti interpersonali. Espiazione finale delle proprie colpe. Chi può sapere in anticipo come andranno le cose in futuro? Non un film "hollywoodiano" ma piuttosto un film d'autore con personaggi che, raggiunti i quarant'anni non sono finiti sulla cresta dell'onda quanto piuttosto ripensano a ciò che poteva essere, senza proporre troppe idee x il futuro prossimo: Bryan nel film ripete "sto cercando di non fare niente".
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rivisitazione di un passato nostalgico per un quarantenne rimasto indenne al continuo mutamento dentro il quale ognuno di noi, volente o nolente, si trova immerso. Tentativo di riconciliazione con gli amici dei tempi della scuola e costante ricerca di uno sbocco pubblico attraverso le lettere di protesta concepite dopo ogni piccolo evento che la vita gli riserva. Intolleranza/estraneità nei confronti di certe abitudini e modi di fare dei ventenni odierni, indecisione costante, altalenante e ondivaga nei rapporti interpersonali. Espiazione finale delle proprie colpe. Chi può sapere in anticipo come andranno le cose in futuro? Non un film "hollywoodiano" ma piuttosto un film d'autore con personaggi che, raggiunti i quarant'anni non sono finiti sulla cresta dell'onda quanto piuttosto ripensano a ciò che poteva essere, senza proporre troppe idee x il futuro prossimo: Bryan nel film ripete "sto cercando di non fare niente". "Vietato ai minori di 35" ; )
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laulilla
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giovedì 14 aprile 2011
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un amabile velleitario
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Dopo vent'anni di New York, l'ormai ultra quarantenne Roger Greenberg torna a Los Angeles, la sua città, sistemandosi provvisoriamente in casa del fratello che è partito con la famiglia per una vacanza in Vietnam. Il ritorno è l'occasione per rivedere vecchi amici, vecchi amori e per fare, anche, un bilancio della propria esistenza. Dell'antica (e sempre viva in lui) passione per la musica poco è rimasto nell'ambiente che Grenberg aveva frequentato: troppo diversi sono gli interessi di chi ha messo su casa, si è fatto una famiglia e ha dovuto provvedere ai propri figli, come l'amico Ivan, che avrebbe dovuto diventare suo partner e collaboratore nel complesso musicale a lungo progettato, negli anni dei sogni giovanili.
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Dopo vent'anni di New York, l'ormai ultra quarantenne Roger Greenberg torna a Los Angeles, la sua città, sistemandosi provvisoriamente in casa del fratello che è partito con la famiglia per una vacanza in Vietnam. Il ritorno è l'occasione per rivedere vecchi amici, vecchi amori e per fare, anche, un bilancio della propria esistenza. Dell'antica (e sempre viva in lui) passione per la musica poco è rimasto nell'ambiente che Grenberg aveva frequentato: troppo diversi sono gli interessi di chi ha messo su casa, si è fatto una famiglia e ha dovuto provvedere ai propri figli, come l'amico Ivan, che avrebbe dovuto diventare suo partner e collaboratore nel complesso musicale a lungo progettato, negli anni dei sogni giovanili. Ivan è adesso un uomo che ha conosciuto i compromessi nel lavoro, nella vita sentimentale, nel matrimonio. Beth, sua moglie, un tempo amata da Roger Greenberg, è una donna matura, quasi spenta, che sente il peso dei figli e del difficile rapporto col marito. Roger ha visto polverizzarsi gli ideali e i sogni giovanili e ne è rimasto travolto: si è male adattato alla realtà; ha progettato senza realizzare; si è innamorato senza costruire, si è isolato dal mondo, ne ha avuto paura e si trova, ora, impossibilitato a decidere. Nell'eterno conflitto fra principio del piacere e principio di realtà, Roger ha scelto il primo e continuerebbe a farlo, nonostante le cure ricevute a New York in una clinica per malattie nervose. Purtroppo, però, anche a Los Angeles continua a manifestare il suo carattere velleitario poiché, quasi con disappunto, è riuscito a crearsi nuovi legami che impediscono il pieno realizzarsi dei suoi progetti: Florence, ad esempio, la bella assistente della famiglia del fratello, dalla quale è fortemente attratto e dalla quale vorrebbe, però, fuggire, partendo per l'Australia (ma senza soldi e, soprattutto, senza l'inseparabile burro di cacao per le labbra!). Si sente legato anche dall'affetto per il cane Mahler, che gli è stato affidato, che si è ammalato, che ora sta amorevolmente curando, e per il quale sta, forse, per terminare la cuccia che ha iniziato, mettendo alla prova la sua millantata abilità di falegname. Il ritratto di Greenberg è l'interessante rappresentazione delle nevrosi di un uomo che non si è integrato nel mondo di oggi, che è interessato esclusivamente a produrre, a fare i soldi, al successo volgare: le cure non lo hanno guarito, perciò egli è rimasto quel fanciullone fragile, un po' svitato, ingenuo, che lo rende simpatico a chi, come lui, non si adegua e non sa però tradurre il proprio disagio in progetto davvero alternativo, limitandosi a scrivere una serie interminabile di sterili lettere di protesta. Il regista realizza questo bel ritratto di personaggio fuori dagli schemi con intelligente e indulgente ironia, con simpatia quasi amorevole, facendone scaturire una spiazzante comicità. Non stupisce che alcuni spettatori, forse i più giovani, lo trovino irritante, perché i suoi tic, le sue incertezze, le sue velleità,le sue paure ne fanno l'esatto contrario di quell'uomo sicuro di sé e determinato che viene continuamente proposto come esemplare. Bellissima interpretazione di Ben Stiller, perfetto nei panni, non facili da indossare, di un così complesso personaggio.
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gianleo67
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martedì 5 agosto 2014
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comicità 'yiddish' in trasferta californiana
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In occasione del viaggio in Vietnam del fratello e della sua famiglia, il nevrotico e puntiglioso Roger va ad abitare per qualche tempo nella casa di quest'ultimo, ritornado dopo molti anni, da New York dove vive nella nativa Los Angeles. Qui incontra vecchi amici e antiche fiamme, ma soprattutto l'emotiva e impacciata governante del fratello, una ragazza che sogna di fare la cantante e che fatica a trovare un suo equilibrio professionale e sentimentale. L'incontro-scontro tra i due provocherà qualche malinteso ed una stralunata vicinanza emotiva.
Da un soggetto scritto a quattro mani con la moglie e produttrice Jennifer Jason Leigh, Noah Baumbach sceneggia e dirige questa singolare commedia sulle nevrosi e le insicurezze di una generazione di quarantenni alle prese con un primo bilancio sui propri fallimenti professionali e umani che ben si attaglia allo sguardo spiritato e attonito da 'addetto ai lavori' di Ben Stiller ed alla bionda esuberanza di una sgraziata e soave Greta Gerwig.
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In occasione del viaggio in Vietnam del fratello e della sua famiglia, il nevrotico e puntiglioso Roger va ad abitare per qualche tempo nella casa di quest'ultimo, ritornado dopo molti anni, da New York dove vive nella nativa Los Angeles. Qui incontra vecchi amici e antiche fiamme, ma soprattutto l'emotiva e impacciata governante del fratello, una ragazza che sogna di fare la cantante e che fatica a trovare un suo equilibrio professionale e sentimentale. L'incontro-scontro tra i due provocherà qualche malinteso ed una stralunata vicinanza emotiva.
Da un soggetto scritto a quattro mani con la moglie e produttrice Jennifer Jason Leigh, Noah Baumbach sceneggia e dirige questa singolare commedia sulle nevrosi e le insicurezze di una generazione di quarantenni alle prese con un primo bilancio sui propri fallimenti professionali e umani che ben si attaglia allo sguardo spiritato e attonito da 'addetto ai lavori' di Ben Stiller ed alla bionda esuberanza di una sgraziata e soave Greta Gerwig. Calcando a più riprese sul tasto di questa inadeguatezza generazionale (il confronto con la giovane governante a cui chiedono ancora la patente per bere, quello con la mandria di adolescenti che affollano la casa nel party finale, le patetiche recriminazioni sull'occasione della vita malamente sprecata per un'intemperanza caratteriale) e mirando ad inscenare il pignolo rituale di una permanete recriminazione da 'utente bistrattato', Baumbach affila le armi un pò spuntate di quella comicità yiddish in trasferta californiana che si affretta prontamente a smentire ('...in realtà sono ebreo solo per metà') e vorrebbe far emergere, dall'apparente casualità di un incontro tra solitudini complementari, il senso di una vicenda che spesso si spegne nel silenzio di una battuta mal riuscita, tra comprimari dalla sicura presenza scenica (sorprendente la Gerwig) e personaggi secondari un pò troppo defilati (bravo Ifans). Più riuscito sul piano della recitazione che su quello della scittura e dell'originalità di battute e situazioni, è una commedia interessante che rischia però di lasciare il tempo che trova. Bella la colonna sonora con la nostalgica 'It Never Rains In Southern' di Albert Hammond a far da sfondo musicale e contrappunto tematico al 'viaggio della speranza' di questo quarantenne depresso nella città degli Angeli. Presentato in anteprima alla 60a edizione del Festival di Berlino del 2010.
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great steven
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martedì 25 settembre 2012
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buona regia, ma la trama è scialba e povera d'idee
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LO STRAVAGANTE MONDO DI GREENBERG (USA, 2011)
Diretto da NOAH BAUMBACH. Interpretato da BEN STILLER, RHYS IFANS, JENNIFER JASON LEIGH, GRETA GERWIG, MERRITT WEVER, CHRIS MESSINA, BRIE LERSON, JUNO TEMPLE.
Los Angeles: la famiglia Greenberg parte alla volta del Vietnam per passarvi le vacanze, e lascia la casa in mano a Florence, una sorta di domestica non ufficiale che coltiva il sogno di diventare cantante. Ben presto entra nella sua vita il fratello del capofamiglia Philip Greenberg: il quarantenne Roger. Tipo bizzarro, piuttosto apatico e confuso, esce da una degenza psichiatrica e s'è trasferito a Los Angeles da New York con l'intenzione di rimanervi sei settimane, nelle quali è intenzionato a non far nulla – salvo qualche riparazione, grazie alle sue doti da falegname – con l'obiettivo di rimettere ordine alle sue idee.
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LO STRAVAGANTE MONDO DI GREENBERG (USA, 2011)
Diretto da NOAH BAUMBACH. Interpretato da BEN STILLER, RHYS IFANS, JENNIFER JASON LEIGH, GRETA GERWIG, MERRITT WEVER, CHRIS MESSINA, BRIE LERSON, JUNO TEMPLE.
Los Angeles: la famiglia Greenberg parte alla volta del Vietnam per passarvi le vacanze, e lascia la casa in mano a Florence, una sorta di domestica non ufficiale che coltiva il sogno di diventare cantante. Ben presto entra nella sua vita il fratello del capofamiglia Philip Greenberg: il quarantenne Roger. Tipo bizzarro, piuttosto apatico e confuso, esce da una degenza psichiatrica e s'è trasferito a Los Angeles da New York con l'intenzione di rimanervi sei settimane, nelle quali è intenzionato a non far nulla – salvo qualche riparazione, grazie alle sue doti da falegname – con l'obiettivo di rimettere ordine alle sue idee. Roger cerca di costruire un rapporto affettivo e sessuale con Florence, ma sulle prime viene respinto; nel frattempo riprende i contatti con l'amico di vecchia data Ivan, riparatore di computer, col quale formava da giovane una rock band. In effetti Roger farà poco e lo farà maluccio, ma troverà un piccolo successo nell'amore che Florence finalmente gli concede. 40° film di Stiller, diretto dal regista-sceneggiatore Baumbach (1969): delude abbastanza perché non succede davvero nulla di avvincente o interessante nella trama, quasi completamente priva delle solite, esilaranti gag a cui ci prepariamo quando vediamo Stiller in scena, e anche lui in questo film è molto diverso dai suoi abituali personaggi: calmo, concentrato, intimidito, tenuto a briglia stretta. La sua interpretazione tocca corde psicologiche e dà al film una caratterizzazione non poco drammatica, costringendo lo spettatore a vederlo più che altro per seguire il suo percorso di sviluppo e modificazione interiore. Accanto a una storia piatta e un po' noiosa vi sono però una bella fotografia (Harris Savides) e una regia attenta e sicura. Numerose povertà nelle sceneggiatura, e in generale un senso d'amaro in bocca che sopraggiunge alla fine della proiezione perché ci si aspettava di più, nel senso che c'era la materia per creare qualcosa di più "catturante" e divertente. Candidato all'Orso d'Oro e a quattro Independent Spirit Awards.
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smartfede
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venerdì 15 aprile 2011
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roba già vista e trovate banali
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L'unica sorpresa è il Ben Stiller che non ti aspetti, capace di mostrare il volto buffo del sofferente psichico. Tutto il resto è un cliché già visto: un disadattato che esce dall'ospedale psichiatrico per ritrovare qualcosa di se stesso e della sua storia, rabbia repressa e sentimenti impossibili da manifestare. Viaggiare da un posto all'altro degli States per evitare un vero viaggio interiore. Che novità! Il regista cerca di usare uno stile minimalista per descrivere una condizione forse troppo banale per essere raccontata, cercando di rendere il prodotto "alternativo", ma il risultato è un film piatto, senza sviluppi nè emozioni. Il tentativo di incrociare generazioni a confronto resta patetico e dalla dialettica tesi-antitesi non scaturisce alcuna sintesi.
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L'unica sorpresa è il Ben Stiller che non ti aspetti, capace di mostrare il volto buffo del sofferente psichico. Tutto il resto è un cliché già visto: un disadattato che esce dall'ospedale psichiatrico per ritrovare qualcosa di se stesso e della sua storia, rabbia repressa e sentimenti impossibili da manifestare. Viaggiare da un posto all'altro degli States per evitare un vero viaggio interiore. Che novità! Il regista cerca di usare uno stile minimalista per descrivere una condizione forse troppo banale per essere raccontata, cercando di rendere il prodotto "alternativo", ma il risultato è un film piatto, senza sviluppi nè emozioni. Il tentativo di incrociare generazioni a confronto resta patetico e dalla dialettica tesi-antitesi non scaturisce alcuna sintesi. Il finale poi è un vero colpo di "anti-genio": il protagonista che vuole fuggire ancora ma c'è il solito amore sospeso che gli ricorda che esiste una realtà impossibile da scrollarsi di dosso. Uno scarno tentativo di scimmiottare Woody Allen, lontano però purtroppo ancora molti anni luce.
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(di hollyver07)
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