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Dragon Trainer: come lo salvammo

Intervista ad Alessandro Carloni, talento italiano in forza alla Dreamworks.
di Gabriele Niola

Dall'Italia agli studi della Dreamworks

martedì 30 marzo 2010 - Making Of

Dall'Italia agli studi della Dreamworks
La fuga delle matite. Parlando con qualsiasi studio di animazione computerizzata o casa di effetti speciali (il cui lavoro non è troppo diverso) americani si scopre che sono pieni di italiani. Non italoamericani ma proprio italiani andati a lavorare all'estero. Nel nostro sistema cinema però si continua a produrre pochissima animazione e di stampo estremamente tradizionale.
A confermarci la tendenza (e spiegare il perché) è Alessandro Carloni, head of story di Dragon Trainer, e già in forza alla Dreamworks dai tempi di Shark Tale. Per il film diretto da Sanders e DeBlois (il duo che alla Disney aveva dato vita a Lilo e Stitch) Alessandro ha svolto il fondamentale ruolo di scrittura e poi storyboarding, come a dire sceneggiatura e in parte regia e montaggio: "Dopo due anni di produzione la dirigenza si è accorta che non stava venendo il film che voleva, così hanno cambiando team creativo chiamando me e Chris Sanders il quale, visto il poco tempo a disposizione, ha chiesto l'aiuto dell'amico Dean DeBlois. Mentre loro si occupavano delle prime parti del film, quelle più dialogate, io pensavo al terzo atto e alle parti d'azione".
Un sistema e un ciclo produttivo che in Italia non esistono: "non c'è una mentalità industriale" dice Carloni raccontando come sia arrivato ad essere convocato alla Dreamworks, anche se sotto sotto sogna di tornare in Europa o ancora meglio nel suo paese per realizzare un progetto ambizioso.

In tre (più uno) per salvare un film
Entrato quasi per caso durante la lavorazione di Shark Tale, poi chiamato a fare l'animatore capo per La gang del bosco e il supervisore all'animazione per Kung Fu Panda, Alessandro Carloni è diventato l'uomo della provvidenza per la Dreamworks, capace non solo di salvare un film che stava prendendo una brutta piega ma anche di farlo diventare uno dei campioni dello studio d'animazione diretto da Katzenberg.
Prendere un film che sta prendendo una piega non gradita alla dirigenza e rimetterlo sui binari corretti contemporaneamente cercando di infondere un afflato di emotività personale nell'opera, una sfida non da poco che secondo Alessandro e per la sua parte ha necessitato principalmente della risoluzione di 3 problemi.
Innanzitutto come sconfiggere il mostro alla fine del film: "Nel libro Hiccup e Sdentato gli entravano nella bocca bloccando lo sbocco del fuoco ma il tono così cartoonesco stonava con il taglio che avevamo dato al film, volevamo qualcosa di più drammatico. Così abbiamo deciso che visto che sdentato è un bomber, un drago potente che ha vissuto la mutilazione della coda poteva mutilarla a sua volta al drago gigante. Da qui abbiamo deciso di fare una sequenza lunga e molto confusa, una lotta aerea vera con un crescendo drammatico".
Il secondo problema era come mostrare la nascita dell'amicizia tra il ragazzo e il drago? "Visto che la struttura del film già è complicata volevamo riuscire in soli 5 minuti (e senza dialogo) a rendere lo sbocciare del loro rapporto. L'idea era che lo danneggiasse, se lo facesse amico, gli rifacesse la coda, con lui imparasse a volare e capisse come applicare le cose che scopre nell'arena per diventare popolare. Alla fine dunque ci siamo concessi una scena sola per spiegare come da nemici fossero diventati amici, quella del disegno per terra".
Terzo problema di sceneggiatura, come mostrare la fase di apprendimento del volo a due? "Avevamo 53 idee su come riuscire a mostrare la cosa. Una ad una le abbiamo scartate, unite e modificate per arrivare alla scena com'è ora".
Oltre a Carloni, Sanders e DeBlois però c'era anche un quarto componente fondamentale nella ristrutturazione di Dragon Trainer: Roger Deakins. Il direttore della fotografia dei film dei fratelli Coen, già visual consultant per Wall-E, qui è stato impiegato anche più a fondo come un vero e proprio direttore della fotografia: "È strano definirlo direttore della fotografia perché nell'animazione non c'è una videocamera o luce vera" ricorda Carloni "lui lavorava attraverso di noi, mi diceva le idee che aveva o le cose che voleva fare e io le mettevo effettivamente in pratica. Poi commentava le nostre prove e lavorava sull'intensità, la posizione e la qualità delle luci dando le sue indicazioni nei dipartimenti adeguati. Un po' come solitamente fanno i registi con i direttori della fotografia nei film dal vero. È riuscito a dare un tono e un look uniforme a tutto il film, in più è arrivato a delle idee cui nessun altro sarebbe potuto giungere. È suo il merito se in molte scene (come quelle dell'allenamento nell'arena) appaiono scure e bagnate, come se avesse appena piovuto".

Alla corte degli americani
Come si fa dall'Italia ad arrivare ad Hollywood grazie all'animazione? Per Alessandro Carloni è molto semplice: "Chiunque faccia cinema in maniera professionale alla fine arriva ad Hollywood perché è il centro culturale dell'industria". In realtà la fortuna ha giocato un ruolo fondamentale anche nella storia della scalata di Carloni all'America: "Stavo studiando Lettere e Filosofia in Italia e guadagnavo facendo illustrazioni ma la mia passione era soprattutto scrivere storie, facevo piccoli racconti che pubblicavo su giornaletti. E' stato unendo le due cose che è venuta fuori da sola l'animazione. A 17 anni ho avuto un piccolo lavoro in Germania da lì poi sono andato in Svizzera, Francia, Inghilterra e in giro per l'Europa".
A 22 anni poi Carloni rientra in Italia per fare un corto animato, il video di una canzone di Adriano Celentano e Mina: "Ne facevo la regia, era il primo lavoro grosso che mi ha consentito poi di arrivare al cinema con la supervisione di Help I'm a fish in Danimarca, niente in confronto a quello che faccio adesso ma all'epoca mi sembrava un passo avanti gigante".
Infine l'ultima spallata che la fortuna ha dato all'opportunità è stata quando il cortometraggio ad ambientazione sottomarina a cui aveva lavorato è stato visionato in Dreamworks proprio durante le fasi di pre-produzione di Shark Tale.
Eppure il sogno di Alessandro Carloni rimane di riuscire a tornare in Europa o ancora meglio in Italia "Vorrei portare qui il lavoro e il senso della struttura produttiva hollywoodiana. Perché ce ne sarebbe di aiuto da portare a livello produttivo! Avere sia la creatività che le scelte produttive italiane sarebbe fantastico".

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