volontè78
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sabato 11 aprile 2020
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moderno psico ritratto di un lutto
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Uno stile molto personale che non è assimilabile da tutti,per ritrarre un lutto terribile,angosciante.
Nulla potrà essere come prima,e il cinema giapponese,ce lo fa capire con questa opera,apparentemente discontinua,ma che rende perfettamente la psicologia dei personaggi,con una tecnica efficace.
Angosciante la cinicità con cui viene visualizzata,il disagio adolescenziale moderno.
Senza fronzoli,le confessioni rendono l'idea,di come la mente umana sia capace o meno di elaborare una perdita.
Fragilità di anime allo sbando.
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celia
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giovedì 29 agosto 2019
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una lama affilata
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Magistrale. Uno dei migliori visti quest'anno - e pure i trailer degli altri film della Far East mi ispirano non poco - che non esito già ora a definire un capolavoro.
Come asserito da Schilling nell'intervista presente negli extra, Nakashima ha costruito per il suo film una "pelle" visivamente impattante, di stampo pubblicitario (la sua professione), che come le mute dei serpenti riveste di tasselli iridescenti una storia nera, infetta e marcescente di vendetta; nella quale agiscono personaggi spiazzati e spiazzanti.
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noia1
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domenica 27 novembre 2016
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il dolore puro
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Un’insegnante si chiude in classe con i propri alunni affermando che sua figlia è stata uccisa e che il colpevole è uno di loro.
Un film che prosegue per flashback fino alla prossima svolta mostrando prima le conseguenze e poi i motivi. Una telecamera spietata che mostra chiaramente le cose come vuole siano mostrate in modo tanto raffinato, tanto delicato e pacato, che l’anima degli eventi viene addosso nel modo più diretto ed intenso possibile.
La vicenda è quella che è punto e basta, non c’è comprensione o età che tengano rispetto alla propria personale sete di vendetta, chiunque può fare ciò che non ci si aspetta e a chiunque il destino può giocare la prossima beffa, chiunque sulla scacchiera può essere la prossima vittima o carnefice.
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Un’insegnante si chiude in classe con i propri alunni affermando che sua figlia è stata uccisa e che il colpevole è uno di loro.
Un film che prosegue per flashback fino alla prossima svolta mostrando prima le conseguenze e poi i motivi. Una telecamera spietata che mostra chiaramente le cose come vuole siano mostrate in modo tanto raffinato, tanto delicato e pacato, che l’anima degli eventi viene addosso nel modo più diretto ed intenso possibile.
La vicenda è quella che è punto e basta, non c’è comprensione o età che tengano rispetto alla propria personale sete di vendetta, chiunque può fare ciò che non ci si aspetta e a chiunque il destino può giocare la prossima beffa, chiunque sulla scacchiera può essere la prossima vittima o carnefice.
Un film che dimostra la propria apatia proprio nel dare sempre l’ultima speranza, i sentimenti umani sono riconosciuti è vero, peccato non siano però malgrado tutto rispettati ed anzi addirittura scherniti.
Le cose sono mostrate così come vanno mostrate, non è la crudeltà o la dolcezza a tradire il regista ma il solo e semplice gusto estremo per la scena, non è il regista che dà allo spettatore per smuoverlo, lo spettatore i propri scossoni li avrà proprio perché gli eventi lo spingeranno ad andare incontro con la testa e col cuore a sensazioni forti proprio perché scomode, troppo pesanti e crudeli.
Il dolore troppo forte che acceca ed isola le persone, azioni dalle conseguenze imperdonabili, cicatrici impossibili da rimarginare. La vendetta più pura per quanto crudele fino all’insensatezza col solo alibi di non avere altro motivo per cui vivere. Tutti hanno ragione in un infinito duello dove vince solo il più forte davanti al disfacimento del moralismo rispetto a qualsiasi muro alzato in suo favore.
Sensazioni forti perché pure nella bellezza del tutt’uno, insopportabili forse quando espresse in sequenze dove la trama esplode in una miscela acuta, che fa male.
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laurence316
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martedì 6 settembre 2016
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le confessioni di quattro menti pericolose
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Scritto e diretto da un regista famoso per i suoi film pop e coloratissimi (vedi Kamikaze Girls), Confessions è un film agghiacciante e allucinante, un film diametralmente opposto ai precedenti diretti dallo stesso autore: procede a colpi di ralenti (fin troppo ostentati, talvolta), inquadrature geometriche e vertiginose e colori desaturati.
E’ un film cupo e violento (sicuramente memore della lezione del coreano Chan-wook Park), un thriller angoscioso e inquietante, che non mancherà di far riflettere gli spettatori.
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Scritto e diretto da un regista famoso per i suoi film pop e coloratissimi (vedi Kamikaze Girls), Confessions è un film agghiacciante e allucinante, un film diametralmente opposto ai precedenti diretti dallo stesso autore: procede a colpi di ralenti (fin troppo ostentati, talvolta), inquadrature geometriche e vertiginose e colori desaturati.
E’ un film cupo e violento (sicuramente memore della lezione del coreano Chan-wook Park), un thriller angoscioso e inquietante, che non mancherà di far riflettere gli spettatori. Molteplici sono, infatti, i temi affrontati: dall’incapacità di comunicazione tra due generazioni (sia tra studenti e professori che tra genitori e figli), all’analisi lucida e spietata del mondo degli adolescenti, guastato da smanie di protagonismo e da fenomeni di bullismo (che, comunque, sono frutto dell’inattenzione degli educatori), alla questione della difficoltà dei legami familiari o, meglio in questo caso, della loro assenza, alle problematiche legate alla scuola, una istituzione in sfacelo, che incita alla competizione e al carrierismo più spietati, di fatto restituendo un’immagine desolante della società nipponica odierna (tema, questo, affrontato da molto cinema giapponese contemporaneo), ma forse anche di quella occidentale.
Confessions è tutto questo e molto altro ancora: un thriller ricco di colpi di scena (fin dallo scioccante prologo), visivamente eccezionale (anche se spesso estetizzante), un film dallo sviluppo narrativo interessante e incalzante, anche se piuttosto lontano dalla consuetudini della cinematografia occidentale. Buone la colonna sonora (che passa con disinvoltura da Bach ai Radiohead) e le interpretazioni degli attori. Terribile e spiazzante, ma visivamente notevole (con reminiscenze del Memento di Nolan), il finale. Grande successo di pubblico in patria, da noi arriva solo a tre anni di distanza, grazie alla Tucker Film.
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nerazzurro
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mercoledì 29 luglio 2015
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un thriller riuscitissimo
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Confessions e un drammatico viaggio sulle note della vendetta e della follia. Un thriller che tiene incollati allo schermo. Da vedere
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mydearasia
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mercoledì 13 maggio 2015
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disturbante
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la vendetta ha tante sfaccettature, ha i suoi tempi, ha le sue vittime. In questo film di Nakashima c'è un pò di tutto e, alla fine, non capisci chi sia la vittima e chi il carnefice. Unica vittima certa è la povera bambina innocente che, come spesso accade, paga da sola, figura incolpevole e soprattutto inerme, le follie della mente umana.
Ma stavolta la vendetta è servita su un piatto diverso che tende prima ad erodere la mente e le sicurezze degli assassini, per poi colpire senza pietà con la stessa moneta.
Anche alla base delle dichiarazioni del regista, questo film punta il dito soprattutto sul bullismo nelle scuole giapponesi che sembra essere una piaga moderna.
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priscylla17
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domenica 26 ottobre 2014
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un masterpiece asiatico fuori dagli schemi
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Nakashima ci regala un'opera di grande bellezza estetica che si scrolla di dosso i consueti canoni della regia asiatica. Forte della sceneggiatura tratta dall'omonimo romanzo di Kanae Minato, il regista - dopo il visionario e pop "Memories of Matsuoko" - ci racconta una storia che si insinua nella psiche di personaggi devastati dalla società attuale giapponese. I topos sono sempre gli stessi che accompagnano l'horror made in Japan, il disfacimento della famiglia e la mancanza del valore affettivo tra i membri di un nucleo familiare, i rapporti sociali contrastati dall'ego personale degli adolescenti odierni. Nakashima ci racconta questa storia con un montaggio dinamico e con virtuosismo di movimenti di camera che lasciano increduli coloro che sono abituati alla staticità asiatica e al piano fisso in campo totale, spesso abusato dai registi giapponesi, sceglie di variare di continuo la fotografia desaturandola e saturandola secondo un climax narrativo interno alla storia, congela i personaggi narranti come in un fermo immagine attorno a cui lo spazio circostante si muove in rallenti di grande fascino visivo, oppure spiazza lo spettatore con jump-cut.
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Nakashima ci regala un'opera di grande bellezza estetica che si scrolla di dosso i consueti canoni della regia asiatica. Forte della sceneggiatura tratta dall'omonimo romanzo di Kanae Minato, il regista - dopo il visionario e pop "Memories of Matsuoko" - ci racconta una storia che si insinua nella psiche di personaggi devastati dalla società attuale giapponese. I topos sono sempre gli stessi che accompagnano l'horror made in Japan, il disfacimento della famiglia e la mancanza del valore affettivo tra i membri di un nucleo familiare, i rapporti sociali contrastati dall'ego personale degli adolescenti odierni. Nakashima ci racconta questa storia con un montaggio dinamico e con virtuosismo di movimenti di camera che lasciano increduli coloro che sono abituati alla staticità asiatica e al piano fisso in campo totale, spesso abusato dai registi giapponesi, sceglie di variare di continuo la fotografia desaturandola e saturandola secondo un climax narrativo interno alla storia, congela i personaggi narranti come in un fermo immagine attorno a cui lo spazio circostante si muove in rallenti di grande fascino visivo, oppure spiazza lo spettatore con jump-cut. Suggestiva la scelta delle soundtrack in lingua inglese che rendono la pellicola ancor più sui generis e che si armonizzano alla sensibilità del contenuto delle scene. L'intreccio narrativo ricorda quello di un anime giapponese, con lunghi monologhi che mostrano in colpi di scena l'evolversi della vicenda secondo i diversi punti di vista dei personaggi. Accusato di essere stato troppo estetizzante ed enfatico nella regia, si è invece affrancato dal solito cliché asiatico che, seppur affascinante, spesso stanca e annoia gli occhi degli spettatori occidentali e lo ha fatto con un stile e una classe impeccabili.
Priscilla Piazza
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stefanocapasso
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mercoledì 21 maggio 2014
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dove nasce il dolore
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Moriguchi insegnante in una classe di adolescenti svagati, medita un piano di vendetta contro due di loro che le hanno ucciso la piccola figlia. Usando il pretesto di un possibile contagio da sangue infetto di Hiv fa vivere ai due autori un periodo terribile.
Attraverso il tema della vendetta e della malattia infettiva viene indagato il motivo che spinge a comportamenti atroci. La rabbia e il dolore che provengono dalle ferite dell’infanzia legate alle mancanze di amore possono produrre effetti devastanti. E puntualmente ognuno trova una vittima piu debole su cui esercitare la sua vendetta
Film prolisso nella sostanza e nel contenuto, e disinformativo nel caso delle modalità di trasmissione dell’Hiv.
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Moriguchi insegnante in una classe di adolescenti svagati, medita un piano di vendetta contro due di loro che le hanno ucciso la piccola figlia. Usando il pretesto di un possibile contagio da sangue infetto di Hiv fa vivere ai due autori un periodo terribile.
Attraverso il tema della vendetta e della malattia infettiva viene indagato il motivo che spinge a comportamenti atroci. La rabbia e il dolore che provengono dalle ferite dell’infanzia legate alle mancanze di amore possono produrre effetti devastanti. E puntualmente ognuno trova una vittima piu debole su cui esercitare la sua vendetta
Film prolisso nella sostanza e nel contenuto, e disinformativo nel caso delle modalità di trasmissione dell’Hiv.
Tanto materiale espresso manca il punto fondamentale di emozionare.
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mikitr
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venerdì 18 aprile 2014
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la potenza visiva del cinema e la psiche umana
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Una classe, una maestra, degli alunni distratti dai loro messaggini sul cellulare, come ogni giorno, persi nella loro esistenza al limite dell'inutilità. Ma oggi l'insegnante ha da dire una cosa seria: sua figlia è stata uccisa, benchè la polizia abba archiviato il caso come "incidente" e gli assassini sono all'interno proprio di questa classe: sgomento - ma non troppo - fra questi ragazzini di terza media. La vicenda non deve essere presa come reale, nonostante parta da premesse - il vuoto esistenziale contemporaneo - fin troppo reali. Il racconto della maestra procede per piccoli passi, mandando sullo schermo una sequenza di immagini forti e visivamente potenti, che già presagiscono le immagini di quella che è la seconda parte del film: il meglio, insomma deve ancora venire.
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Una classe, una maestra, degli alunni distratti dai loro messaggini sul cellulare, come ogni giorno, persi nella loro esistenza al limite dell'inutilità. Ma oggi l'insegnante ha da dire una cosa seria: sua figlia è stata uccisa, benchè la polizia abba archiviato il caso come "incidente" e gli assassini sono all'interno proprio di questa classe: sgomento - ma non troppo - fra questi ragazzini di terza media. La vicenda non deve essere presa come reale, nonostante parta da premesse - il vuoto esistenziale contemporaneo - fin troppo reali. Il racconto della maestra procede per piccoli passi, mandando sullo schermo una sequenza di immagini forti e visivamente potenti, che già presagiscono le immagini di quella che è la seconda parte del film: il meglio, insomma deve ancora venire. L'insegnante ha, col suo racconto, ideato una incredibile vendetta ai danni di questi due alunni, tutta psicologica, anche se poi si ritorcerà in fatti, crudeli e violenti, ma presentati allo spettatore quasi come ovattati, tramite flashback e sequenze quasi oniriche. Si susseguono nella narrazione le "confessioni" di alcuni dei protagonisti, la loro "versione dei fatti", tutto ciò passando sullo schermo in modo mirabile. Il film è un perfetto esempio di cinema che usa tutto il suo potenziale per esprimersi.
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gianleo67
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giovedì 10 aprile 2014
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le confessioni di una mente pericolosa
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Insegnante in una scuola media, la professoressa Moriguchi si congeda definitivamente da suoi studenti confessando che i due responsabili della morte della figlioletta, tragicamente annegata in una piscina, si nascondono tra gli alunni di quella classe e di aver messo in atto nei confronti di costoro una terribile e ferale vendetta...
Costruito come uno scanzonato e delirante mosaico di false confessioni ed ingannevoli verità ed attraversato dalla feroce ironia di un implacabile nichilismo, il film di Nakashima è uno sfrontato e forse troppo compiaciuto caleidoscopio narrativo sospeso tra onirismo ed esibità teatralità, dove le dimensioni del tragico e e dell'assurdo sembrano avviluppati e trasfigurati dalle spiazzanti folgorazioni di una irrefrenabile visionarietà.
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Insegnante in una scuola media, la professoressa Moriguchi si congeda definitivamente da suoi studenti confessando che i due responsabili della morte della figlioletta, tragicamente annegata in una piscina, si nascondono tra gli alunni di quella classe e di aver messo in atto nei confronti di costoro una terribile e ferale vendetta...
Costruito come uno scanzonato e delirante mosaico di false confessioni ed ingannevoli verità ed attraversato dalla feroce ironia di un implacabile nichilismo, il film di Nakashima è uno sfrontato e forse troppo compiaciuto caleidoscopio narrativo sospeso tra onirismo ed esibità teatralità, dove le dimensioni del tragico e e dell'assurdo sembrano avviluppati e trasfigurati dalle spiazzanti folgorazioni di una irrefrenabile visionarietà. Animando il suo cinema delle slanci e delle pulsioni autodistruttive di una generazione in bilico tra medialità e incomunicabilità, tra pregiudizio e consapevolezza, tra tenerzze pop e crudeltà sanguinaria, l'autore si sposta sul terreno minato dei rapporti generazionali (maestra-discepolo, madre-figlio) riducendone le motivazioni psicologiche al puro pretesto narrativo per un gioco al massacro che finisce per non risparmiare nessuno e suggerendo, attraverso una struttura ed un montaggio furbescamente architettati, le istanze di un relativismo etico e di una manipolatoria ambiguità del linguaggio che si risolvono in una finale resa dei conti dove tutti i fili sembrano riannodarsi e stringersi attorno al collo del colpevole protagonista, nella sorda deflagrazione di un crudele e definitivo contrappasso.
A dispetto della suggestione di una complessa struttura meta-cinematografica (lo spettatore viene proditoriamente fuorviato nel giudizio da attribure a personaggi, motivazioni ed accadimenti) e della frammentata dialettica della confessione (Kurosawa docet), il teatrino messo in scena da Nakashima rischia di apparire come un divertissement superficiale e pretestuoso in cui perfino le legittime aspettative di una vendetta sanguinaria si riducono nei mille rivoli di un incomprensibile stillicidio. Perfettamente nelle corde di un autore che ha studiato bene la lezione di una tradizione cinematografica da sempre innovativa nelle forme e spiazzante nei contenuti (complessità narrativa, predilezione per una contorta simbologia, gratuite morbosità psicologiche) il film rivela un talento debordante ma anche una certa avventatezza autoriale, finendo per produrre risultati dagli esiti controversi che, se accontentano una buona fetta del pubblico, ne scontentano una uguale e contraria. Black Dragon Audience Award 2011 al Far East Film Festival di Udine, perchè si sa, a noi italiani piace da matti il cinema giapponese!
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