emanuelemarchetto
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sabato 18 novembre 2017
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“viva la repubblica!” - “viva il circo!”
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Dopo un attentato a Madrid, ai danni dell'ammiraglio Carrero Blanco (avvenuto realmente il 20 dicembre 1973), la televisione di regime da la notizia e uno dei testimoni racconta: “Ho visto un furgoncino dei gelati guidato da un pagliaccio.
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Dopo un attentato a Madrid, ai danni dell'ammiraglio Carrero Blanco (avvenuto realmente il 20 dicembre 1973), la televisione di regime da la notizia e uno dei testimoni racconta: “Ho visto un furgoncino dei gelati guidato da un pagliaccio... o un prete”. Questa battuta è essenziale per capire la poetica di un autore troppo spesso criticato con superficialità da molta critica, probabilmente per il suo modo goliardico di affrontare tematiche anche importanti o sociali. Stiamo parlando ovviamente di Álex de la Iglesia, un pazzo scoperto da un altro pazzo, ovvero Pedro Almodovar, che nel lontano 1993 gli diede fiducia producendo il suo primo film: Azione mutante (Acción mutante). Fin dagli esordi, questo regista dimostrò l'invidiabile capacità di utilizzare il genere e mescolarlo sapientemente con la satira pungente, talvolta grossolana, talvolta sottilissima, ma sempre diretta e spregiudicata.
Ecco, in questo film la satira va a braccetto con il melodramma, ironico certo, ma che lentamente cresce fino a diventare straziante, esattamente come nella vecchia canzone interpretata da Miguel Rafael Martos Sánchez, in arte Raphael, Balada triste de trompeta (versione spagnola de La ballata della tromba del1961 di Nini Rosso -esatto, è una canzone italiana-) e da cui il film prende il titolo originale.
Ballata dell'odio e dell'amore è dunque molto più serio del solito, questo perché affronta un argomento estremamente impegnativo: il franchismo.
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emanuelemarchetto
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sabato 18 marzo 2017
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un capolavoro mancato!
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Il regista spagnolo ambienta gran parte dell'azione nel 1973, due anni prima della morte di Francisco Franco e della fine del franchismo. Álex de la Iglesia all'epoca aveva solo 8 anni, ma dice di ricordare benissimo la confusione e la follia data da un regime ormai in declino. Decide dunque di raccontarla col suo solito mix di satira e grottesco, ma questa volta il tono è estremamente più tragico delle sue pellicole precedenti.
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Il regista spagnolo ambienta gran parte dell'azione nel 1973, due anni prima della morte di Francisco Franco e della fine del franchismo. Álex de la Iglesia all'epoca aveva solo 8 anni, ma dice di ricordare benissimo la confusione e la follia data da un regime ormai in declino. Decide dunque di raccontarla col suo solito mix di satira e grottesco, ma questa volta il tono è estremamente più tragico delle sue pellicole precedenti.
Il film segue la storia di due pagliacci, in guerra per amore di una trapezista: il pagliaccio felice è un prepotente ubriacone, il pagliaccio triste invece è all'apparenza timido e riservato, ma cova dentro di se il seme della follia. Da ragazzino infatti, vide il padre arruolato a forza dalle milizie repubblicane, e successivamente imprigionato dai franchisti. Oltre al dramma familiare, la confusione ideologica porterà il personaggio alla pazzia.
Il film ha tutto il necessario per diventare un capolavoro: tuttavia il regista non riesce a restituire il pathos che, si intuisce, certe scene avrebbero dovuto avere. Questo penalizza un film che comunque risulta sincero, folle, iconoclasta e diretto alla perfezione. Merita più di una visione perché i temi in gioco sono molti ed è costellato di riferimenti storici e culturari non sempre facili da cogliere.
Pioggia di premi in patria e a Venezia: Leone d'Argento; premio speciale per la regia a Álex de la Iglesia; premio Osella – Migliore sceneggiatura a Álex de la Iglesia; premio Arca Cinema Giovani a Álex de la Iglesia
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killbillvol2
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domenica 7 luglio 2013
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balada triste de trompeta
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Film grottesco oltre ogni dire, violento, a tratti divertente, crudele e soprattutto pessimista all'ennesima potenza. L'ultimo film di Iglesia, osannato da Quentin Tarantino alla Mostra del Cinema di Venezia, è un horror sotto le vesti di love story malata (molto peggio di Vertigo) che racchiude tutta la sua distorta essenza in una sequenza: uno dei due protagonisti/antagonisti, distrutto dalla vita, dall'amore e dalla crudeltà degli uomini è ridotto ad animale da riporto e quando qualcuno cerca di aiutarlo lui, invece di accettare la sua mano, gliela morde. Niente ci salva nella vita, neanche l'amore, anzi, è proprio essi che ci porta alla follia e alla crudeltà.
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Film grottesco oltre ogni dire, violento, a tratti divertente, crudele e soprattutto pessimista all'ennesima potenza. L'ultimo film di Iglesia, osannato da Quentin Tarantino alla Mostra del Cinema di Venezia, è un horror sotto le vesti di love story malata (molto peggio di Vertigo) che racchiude tutta la sua distorta essenza in una sequenza: uno dei due protagonisti/antagonisti, distrutto dalla vita, dall'amore e dalla crudeltà degli uomini è ridotto ad animale da riporto e quando qualcuno cerca di aiutarlo lui, invece di accettare la sua mano, gliela morde. Niente ci salva nella vita, neanche l'amore, anzi, è proprio essi che ci porta alla follia e alla crudeltà. Il film si apre con una grande sequenza nella quale il pagliaccio padre del protagonista, fa strage di ribelli con un machete. Poi il film diventa autoreferenziale e si ha l'impressione che conti solo la messa in scena, la sontuosità delle inquadrature, invece che la trama, fino al finale, dove sembra che il regista sia proprio sadico coi suoi personaggi (SPOILER era proprio necessario far morire il motociclista). La regia sontuosa e frenetica allo stesso tempo è funzionale al racconto, e non c'è niente da eccepire a riguardio, tranne un uso forse esagerato del digitale. Ma nonostante tutto è un film che non si dimentica, e il regista non fa altro che porre allo spettatore due semplici scelte : o ami il mio film o lo odi. Dimostra l'ingiustizia e la tristezza della vita, non a caso i protagonisti sono due pagliacci opposti: uno felice e l'altro triste. E nella seconda metà il pagliaccio triste diventa quello felice, sfigurandosi il viso, mentre quello felice rimane tale solamente fuori, ma triste dentro non riuscendo più a far ridere i bambini e non riuscendo a dare uno scopo alla sua vita, tranne che distruggere il sogno d'amore dell'altro. E quando ho visto che l'oggetto dell'amore è vittima delle sue passate cattiverie e della sua passata superficialità nei confronti dei due contendenti sono rimasto come se avessi ricevuto un gran pugno in pancia...e non ho proprio amato questo film sopravvalutato.
VOTO REALE: 2 e mezzo.
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pensierocivile
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martedì 19 febbraio 2013
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non ci sono buoni nella spagna franchista
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Non ci sono buoni nella Spagna franchista, non è buona la Milizia che arruola un pagliaccio nel bel mezzo di uno spettacolo con i bambini e lo arma di machete, e tantomeno i nazionalisti, un circo di varia e inumana crudeltà; non è buono lo Stato che ubriaca di finta libertà la popolazione e tantomeno i terroristi "senza un padrone riconoscibile"; non è buono il pagliaccio felice, alcolizzato e violento e tantomeno il pagliaccio triste che impazzisce per amore e urla la propria follia in un mondo che ormai ha disconosciuto la civiltà in favore della pazzia più crudele, e ancor meno la donna amata dai due, causa cosciente del susseguirsi di tragedie. Chiaro che, in tale caos, si possa respirare un soffio di Fellini solo nell'ambiente misero del circo, poi è la mano greve, pesante di De la Iglesia, a menare le danze, con tutto quel che ne consegue.
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Non ci sono buoni nella Spagna franchista, non è buona la Milizia che arruola un pagliaccio nel bel mezzo di uno spettacolo con i bambini e lo arma di machete, e tantomeno i nazionalisti, un circo di varia e inumana crudeltà; non è buono lo Stato che ubriaca di finta libertà la popolazione e tantomeno i terroristi "senza un padrone riconoscibile"; non è buono il pagliaccio felice, alcolizzato e violento e tantomeno il pagliaccio triste che impazzisce per amore e urla la propria follia in un mondo che ormai ha disconosciuto la civiltà in favore della pazzia più crudele, e ancor meno la donna amata dai due, causa cosciente del susseguirsi di tragedie. Chiaro che, in tale caos, si possa respirare un soffio di Fellini solo nell'ambiente misero del circo, poi è la mano greve, pesante di De la Iglesia, a menare le danze, con tutto quel che ne consegue. Sono gioie e dolori: sequenze affascinanti come quella del pagliaccio che fa strage col machete o il morso "liberatorio" e sequenze che precipitano dal grottesco all'horror al fumetto (l'operazione al volto sfigurato, la trasformazione dei due protagonisti in simil Joker) che fanno smarrire al film la strada della credibilità. De la Iglesia accumula esagerazioni senza sosta e il grottesco necessario si tramuta in un fantsy gotico che dimentica lo scopo in balia dell'eccesso.
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renato volpone
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lunedì 12 novembre 2012
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la morte della bellezza
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La guerra, la Spagna di Franco, un circo, i pagliacci: questi gli elementi di una storia che diventa un incubo delirante, un'inverosimile follia, ma con degli acuti di incredibile macabra bellezza. Un film che ricorda Greenaway. Due pagliacci, quello allegro e quello triste, una donna bellissima e storie di sofferenza e morte alle spalle. Un amore violento e un amore dolcissimo si affrontano e confrontano: lei non sa, non può scegliere, ma sarà vittima sacrificale del contendere dei due opposti, opposti ma perfettamente simili. Una maschera, un viso dipinto incute sempre un certo timore, anche se fa ridere, ma un fondo di tristezza si cela sotto il cerone. Dopo questo film non riuscirete più a guardare un pagliaccio con gli occhi di prima, vedrete volti sfigurati, atroci sofferenze e dolori incalzanti.
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La guerra, la Spagna di Franco, un circo, i pagliacci: questi gli elementi di una storia che diventa un incubo delirante, un'inverosimile follia, ma con degli acuti di incredibile macabra bellezza. Un film che ricorda Greenaway. Due pagliacci, quello allegro e quello triste, una donna bellissima e storie di sofferenza e morte alle spalle. Un amore violento e un amore dolcissimo si affrontano e confrontano: lei non sa, non può scegliere, ma sarà vittima sacrificale del contendere dei due opposti, opposti ma perfettamente simili. Una maschera, un viso dipinto incute sempre un certo timore, anche se fa ridere, ma un fondo di tristezza si cela sotto il cerone. Dopo questo film non riuscirete più a guardare un pagliaccio con gli occhi di prima, vedrete volti sfigurati, atroci sofferenze e dolori incalzanti. Quale penitenza per una donna bellissima, bella anche nella morte, magnifica presenza. Bravo il regista, anche se molte sono le mancanze, ma promette grandi cose, alcune inquadrature sono davvero spettacolari: il bambino e il leone, l'attentato con l'esplosione, la morte della bellezza. Se avete un buono stomaco non perdetelo, certo, con stile, batte tutti gli horror degli ultimi tempi e così gli si perdona tutto il resto.
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flyanto
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domenica 11 novembre 2012
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una denuncia in chiave grottesca dei mali della po
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Film in cui il regista spagnolo De la Iglesia denuncia in chiave grottesca ed allegorica il regime dittatoriale di Franco ed il periodo della guerra civile nel suo paese attraverso la figure di un pagliaccio arruolato in un circo. Se già l'ambiente triste e, appunto, grottesco del circo si dimostra per l'autore molto adatto a rappresentare la metafora di certe realtà assurde del mondo politico e della classe dirigente spagnola, l' eccesso di scene violente (alcune peraltro poco credibili) e dell'uso del grottesco e dell'irrazionale ne sottolineano la sua condanna. Ma tutta la pellicola è estremamente eccessiva, tale da risultare troppo visionaria, al pari quasi di un incubo, e tutto ciò esaspera e compromette seriamente il risultato del film stesso.
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Film in cui il regista spagnolo De la Iglesia denuncia in chiave grottesca ed allegorica il regime dittatoriale di Franco ed il periodo della guerra civile nel suo paese attraverso la figure di un pagliaccio arruolato in un circo. Se già l'ambiente triste e, appunto, grottesco del circo si dimostra per l'autore molto adatto a rappresentare la metafora di certe realtà assurde del mondo politico e della classe dirigente spagnola, l' eccesso di scene violente (alcune peraltro poco credibili) e dell'uso del grottesco e dell'irrazionale ne sottolineano la sua condanna. Ma tutta la pellicola è estremamente eccessiva, tale da risultare troppo visionaria, al pari quasi di un incubo, e tutto ciò esaspera e compromette seriamente il risultato del film stesso. Mi sembra, inoltre, che non vi sia neppure un'eccessiva originalità da parte del regista nella rappresentazione cruda di alcune scene e situazioni in quanto i richiami ad alcune pellicole di Alejandro Jodorwsky mi sembrano più che evidenti.
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(di gabrielpiazza)
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donni romani
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domenica 11 novembre 2012
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grottesco, poetico, metaforico
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Grottesco, inquietante, metaforico. E' racchiuso in questi aggettivi, e nelle atmosfere che ne scaturiscono il film di Alex De la Iglesia, Leone d'Oro per la Regia e Premio per la Miglior Sceneggiatura al Festival di Venezia 2010. Perennemente in bilico fra capolavoro e improbabile grand guignol, fra sarcastica metafora politica e disturbato melò sentimentale ci presenta una galleria di personaggi estremi, incandescenti,torbidi e sfuggenti ad ogni regola sociale. L'antefatto si svolge nel 1937, durante la guerra civile spagnola, quando due pagliacci vengono catturati dal'esercito franchista e costretti a combattere. L'immagine del clown, vestito e truccato per lo spettacolo, che uccide a colpi di macete è quanto di più grottesco si possa immaginare, e dà il tono al film , che non vuole solo narrare l'orrore della guerra, del franchismo e del clima sociale che seguì l'ascesa del Caudillo, vuole anche spiazzare nella narrazione, seguendo le vicissitudini di Javier, il figlio di uno dei due clown che, bambino triste dopo aver visto il padre catturato ed ucciso tenterà di trovare la felicità seguendo le orme del padre, diventando clown a sua volta, ma un clown triste, perchè uno col suo passato non può far ridere.
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Grottesco, inquietante, metaforico. E' racchiuso in questi aggettivi, e nelle atmosfere che ne scaturiscono il film di Alex De la Iglesia, Leone d'Oro per la Regia e Premio per la Miglior Sceneggiatura al Festival di Venezia 2010. Perennemente in bilico fra capolavoro e improbabile grand guignol, fra sarcastica metafora politica e disturbato melò sentimentale ci presenta una galleria di personaggi estremi, incandescenti,torbidi e sfuggenti ad ogni regola sociale. L'antefatto si svolge nel 1937, durante la guerra civile spagnola, quando due pagliacci vengono catturati dal'esercito franchista e costretti a combattere. L'immagine del clown, vestito e truccato per lo spettacolo, che uccide a colpi di macete è quanto di più grottesco si possa immaginare, e dà il tono al film , che non vuole solo narrare l'orrore della guerra, del franchismo e del clima sociale che seguì l'ascesa del Caudillo, vuole anche spiazzare nella narrazione, seguendo le vicissitudini di Javier, il figlio di uno dei due clown che, bambino triste dopo aver visto il padre catturato ed ucciso tenterà di trovare la felicità seguendo le orme del padre, diventando clown a sua volta, ma un clown triste, perchè uno col suo passato non può far ridere. Il circo che lo ingaggia è un campionario di personaggi strambi, ma il pagliaccio allegro, Sergio, sfiora comportamenti da sociopatico, aggredisce la sua compagna, l'acrobata Natalia, incute terrore agli altri artisti, tiranneggia il proprietario. Javier, timido, goffo e solitario, commette l'errore di innamorarsi di Natalia, dando il via ad una serie di escalation di violenza, sangue, vendette e ritorsioni, private e politiche perchè Javier avrà modo di rincontrare il generale che aveva catturato il padre, e tutto il dolore riesploderà con conseguenze devastanti. La storia d'amore a tre, con Natalia perennemente ambigua, attratta da Sergio nonostante la sua malvagità ma bisognosa del gentile Javier per sentirsi rassicurata, è fin dalle prime scene foriera di tragedie e di dolore, ma la trasformazione che compiono i due pagliacci - trasformazione anche fisica, auto inflitta quella di uno Javier ormai fuori controllo che si deturpa il viso per farlo somigliare ad una maschera tragica, provocata quella di Sergio, che verrà sfigurato da Javier come punizione per aver ancora una volta abusato di Natalia - è una metafora pesante di come un'anima corrotta dal dolore e dall'odio sia deviata per sempre, incancrenita in un sentimento folle e primitivo che nulla ha più di umano. Ci sono lunghe scene forti, disturbanti, e proprio per questo potenti e definitive, ci sono momenti poetici e lirici, malinconici oltre ogni dire - Javier che al cinema assiste all'esecuzione della canzone "Balada triste de trompeta" (titolo originale del film) - che restituiscono al clown folle la sua dolente consapevolezza, ci sono battute tristemente ironiche che ricordano come non ci sia speranza per un paese dove la pazzia dilaga, e ci sono scelte registiche di grandissima eleganza e suggestione visiva - la fascia rossa di seta con cui Natalia si esibisce che in finale, trascinata in terra, diventa metaforica scia di sangue di un paese, di un popolo, e di un individuo, segnati da un destino crudele che solo l'arte può rappresentare affidandosi a due clown, maschere per eccellenza, che per amore e per odio mettono in scena la più crudele delle recite. Film denuncia, film poetico, film talvolta eccessivo e talvolta sbilanciato, ma sempre visivamente originale e di grande impatto emotivo, con un coraggio figurativo non comune, e una scena finale in cui riso e pianto si confondono su volti che niente più hanno di umano, una scena che difficilmente si dimentica.
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(di gabrielpiazza)
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epidemic
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domenica 11 novembre 2012
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alleluia
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azz...alleluia..il film l'ho visto al cinema 2 anni fa...ce ne hanno messa i distributori italiani......
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gabbo97
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sabato 10 novembre 2012
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non consigliato
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il film in questione non lo consiglierei a nessuno perché non ha senso, parla di un pagliacccio psicopatico che vuole uccidere un altro clown psicopatico e per farlo si taglia la faccia
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kronos
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sabato 14 gennaio 2012
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schizofrenico
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Chi s'aspettasse una sorta di risposta spagnola all'Underground di Kusturica, rimarrà a bocca asciutta. Le ambizioni del regista probabilmente puntavano in quella direzione e l'incipit, ambientato durante la guerra civile spagnola, è effettivamente grandioso.
Ma il tutto dura pochi minuti, dopodichè il film non sa bene che direzione prendere: il risultato è un farraginoso accumulo di corpi, idee e provocazioni che alla lunga (ma neanche tanto) finiscono per stancare.
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