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Baciami Ancora: dieci anni dopo...

Muccino e tutto il cast per la presentazione a Roma.
di Marianna Cappi

Ritornano i quarantenni squinternati di Muccino
Claudio Santamaria (49 anni) 22 luglio 1974, Roma (Italia) - Cancro. Interpreta Paolo nel film di Gabriele Muccino Baciami ancora.

martedì 26 gennaio 2010 - News

Ritornano i quarantenni squinternati di Muccino
Carlo, Giulia, Marco, Paolo, Adriano, Alberto, Livia e Veronica hanno dieci anni in più. Ce li ha anche Gabriele Muccino, che in mezzo ha visto Hollywood e le peripezie della vita, la propria e quella degli amici. Nell'idea di riprendere con Baciami ancora -come Bergman o Arcand o Solondz- i fili delle storie inaugurate da L'ultimo bacio, si affaccia ancora l'ambizione, la sana ambizione dell'ex ragazzo prodigio, che per il resto evita di scivolare sul personale e manda avanti i suoi attori. Sono loro ad animare la conferenza stampa, facendo gruppo e testimoniandogli fedeltà e gratitudine.
Il film uscirà in sala il 29 gennaio in più di 600 copie, alcune delle quali per la prima volta sottotitolate per i non udenti. "Ci sono persone che non riescono mai a vedere un film italiano al cinema, sono costrette ad aspettare l'uscita in dvd o il passaggio tv –spiega il produttore Domenico Procacci- sarebbe bello che le sale si attrezzassero d'ora in poi con dei display appositi, se c'è qualche non udente in sala; ci vorrà del tempo, ma speriamo che questo impegno vada avanti." Per ora, hanno aderito l'Apollo di Milano, il Modernissimo di Napoli, l'Astra di Padova, il Piccolo di Bari e il Politecnico Fandango di Roma.

Il film racconta di un gruppo di quarantenni squinternati. È un gruppo particolarmente sfortunato o rappresenta uno spaccato reale?
Muccino: Non voglio che si pensi che questo è un film sui quarantenni come non volevo che all'epoca dell'Ultimo bacio si pensasse che facevo un film sui trentenni: non mi posso mettere in cattedra, la mia è una visione limitata. Ma quel che vedo è una generazione in cui il rapporto di coppia è più nevrotizzato e complesso di anni fa, alle donne si chiede moltissimo e gli uomini vivono un profondo disorientamento e hanno bisogno di parlare tra loro per cercare di capire le loro donne.

Nel suo film i bambini sono testimoni muti, vittime che ci guardano?
Muccino: La responsabilità di chi siamo e cosa tramandiamo ai nostri figli è una responsabilità grande, i collassi famigliari fanno dei bambini degli adulti con dei problemi quasi certi. È un fenomeno nuovo, mai come ora ci sono in Italia tanti figli di coppie separate o divorziate e cosa ne sarà dei bambini di oggi quando saranno adulti non lo possiamo sapere, non ancora.

I problemi si risolvono rifugiandosi nel modello famigliare?
Muccino: Non c'è nulla di convenzionale nelle famiglie proposte dal mio film. Il ritorno di Carlo da Giulia è quello che più ricorda un ritorno alla formula tradizionale ma è comunque un'avventura nuova; la scelta di Favino è una scelta molto coraggiosa e compone una famiglia del tutto eroica e lo stesso si può dire del personaggio di Pasotti; e c'è infine chi non sceglie questo percorso, sceglie di non vestire l'abito che la società vorrebbe mettergli addosso. Perché no? Possiamo scegliere di essere nomadi, single, soli, dongiovanni: è quello che fa Marco Cocci.
C'è anche chi non ce la fa. Il personaggio di Santamaria, Paolo, lo avevamo lasciato in fuga da se stesso e lo troviamo peggiorato. Vuole che ci si prenda cura di lui ma non riesce a farlo per primo. Le donne in questo film, invece, sono più sagge e riflessive; hanno maggiore accesso degli uomini al senso della vita, anche se ognuna con le sue caratteristiche, naturalmente.

L'Adriano di Pasotti si può ritenere un perdente su tutta la linea?
Pasotti: No. A me questo personaggio fa una grandissima tenerezza. Allarga la braccia, ammette i suoi errori e dice "Vita, dammi una seconda possibilità", dopo di che ha anche un grande scatto di coraggio.

Come nasce l'idea della vicenda di Marco/Favino? Fantasia o realtà?
Muccino: Mi sembrava un tema importante da toccare. Credo che non ci sia niente di più terribile che voler vivere fino a 35 anni senza figli e poi pretendere di averne dopo i 35 e rovinarsi come coppia perché non ce la si fa. Però la scienza offre tante possibilità e ci sono anche storie come quella che racconto, che è una storia vera, che mi ha colpito molto ma che vi prego di non svelare anzitempo. Favino: Quello che mi è piaciuto è che un personaggio come questo possa fare un salto mortale come quello che fa. Non te lo aspetteresti mai, ma Gabriele ha saputo trarre da questo ruolo un percorso ardito e credibilissimo. Marco un uomo che non riesce a capire quale sia il problema della sua coppia, ma poi impara a guardarsi dentro, anche fisicamente, letteralmente.

La parola agli attori, quelli che tornano sullo stesso personaggio e quelli che si affacciano per la prima volta:
Puccini: Sono grata a Gabriele per la sua straordinaria abilità nel dirigere gli attori. Il mio era un ruolo che prevedeva spesso delle emozioni portate all'estremo e in questi casi è facile metterci dentro troppo, ma Gabriele sa riportarti alla misura. Prima di fare il provino ho visto L'ultimo bacio una quindicina di volte, perché volevo che il personaggio interpretato dalla Mezzogiorno mi entrasse dentro ma non volevo poi dovermi preoccupare troppo del confronto, volevo trovare la mia strada nel ruolo.
Bruni Tedeschi: Mi pareva di entrare in una festa già cominciata, mi sentivo un po' marziana in un gruppo tanto affiatato, ma erano tanti anni che desideravo lavorare con Muccino e per me, per accettare un film, la prima cosa è la voglia di lavorare con un regista di cui mi interessa la visione del mondo e dell'essere umano. In secondo luogo, mi piaceva questa donna maltrattata che vuole però conservarsi allegra. E poi mi è piaciuto molto l'incontro con Giorgio (Pasotti), che è il solo attore con cui ho lavorato nel film.
Cocci: Il mio personaggio non subisce un gran cambiamento ma trova comunque il coraggio di partire, di prendere una decisione forte. Ho molti amici che hanno fatto la scelta di lasciare tutto e andare in Brasile o altrove e ora si sono fatti una vita molto diversa molto lontano e stanno bene, si sanno accontentare come non riuscivano a fare qui.
Muccino: La verità è che il mondo è pieno di Marco Cocci. Andate in Thailandia, nello Sri Lanka e vedrete quanti italiani ci sono che vivono così. Siamo il popolo più "marco cocci" del mondo.
Pasotti: è stato meraviglioso ritrovarsi insieme dopo dieci anni, ritrovarsi professionalmente ma anche umanamente cresciuti, dopo aver scoperto la maternità o la paternità. Ho trovato un Gabriele più maturo, meno desideroso di esporre il proprio talento e più pronto a mettersi esclusivamente al servizio di una storia, persino più incline a fidarsi dell'attore come di una persona con cui costruire una scena.
Puccini: Gabriele ti sfinisce: è un regista che chiede tantissimo agli attori, che ti "sgama" subito se sei finto, se l'emozione che trasmetti non è vera, ma per un attore è un'esperienza importantissima, ti porta a osare, a saltare nel vuoto e il risultato poi è bello e interessante. La mia Giulia è più morbida del personaggio de L'ultimo bacio, più disposta ad ammettere i propri errori.

È ancora valido il metodo Muccino di fare urlare gli attori prima di una scena?
Muccino: Dipende, a volte devono urlare, a volte li devi picchiare, a volte devi parlare loro sottovoce. Ho un istinto e cerco di seguirlo.
Puccini: A me ha fatto fare le flessioni prima di una scena, perché dovevo arrivare con il fiatone.
Accorsi: A volte un piccolo schiaffo fa anche bene. Magari arrivi sul set con delle sovrastrutture e un piccolo shock ti riporta dentro, perché il corpo reagisce e per un attore il corpo è importante. Io sono affezionato al mio Carlo, è uno che non abbassa mai le braccia, che continua a correre, anche se su un tapis roulant.
Impacciatore: L'ultimo bacio mi ha cambiato la vita, perché è stato il mio primo film per il cinema. Finalmente avevo trovato un regista con cui lavorare e...se n'è andato in America. Ho pensato che fosse tutto già finito. Invece è tornato. A quel punto ero io che temevo di leggere il copione: Livia era un personaggio molto scomodo nel primo film, cosa che mi ha creato non pochi problemi nella vita, perché in Italia non si distingue mai abbastanza tra l'attore e il personaggio, ma Gabriele ha scritto invece una nuova Livia bellissima e complessa, presa tra una famiglia monca e la sindrome dell' "io ti salverò" nei confronti di un uomo senza speranza. Andavo sul set con un'emozione pronta ma tutte le volte mi sorprendevo di quel che succedeva là: questa Livia, da qualche parte, in questi dieci anni, evidentemente mi aveva posseduto.
Favino: Quando ci siamo trovati tutti insieme a cena prima di cominciare a lavorare, ho visto che quei dieci anni ce li avevamo addosso e chi vedrà il film dopo aver visto L'ultimo bacio all'epoca dell'uscita in sala, sentirà lo stesso. Mi sembra una bella cosa, un sentimento caldo, affettuoso.
Santamaria: Il mio personaggio più che un'evoluzione subisce un'involuzione: ha cercato un sogno fuori da se stesso, non l'ha trovato, è tornato e non solo non sa più sognare ma non sa nemmeno più gestirsi e si affida a questa donna perché lo salvi. Riaprire dei personaggi che credevamo finiti è stato bello e poi lavorare con un gruppo così, dove da parte di ognuno arriva sempre sul set una proposta alta, è una cosa bellissima; vorrei fare almeno un film all'anno con questo gruppo. Per quel che riguarda il lavoro con Gabriele, poi, devo dire che con lui ho sempre l'impressione di lavorare a teatro, perché cerca la continuità della scena, il percorso completo, e questo è prova di una grande attenzione per gli attori. E poi con lui non ti puoi nascondere, non ti puoi appoggiare su cose già sperimentate, ti domanda sempre di sudare, di andare a casa sentendo che hai dato tutto quello che potevi dare. E io mi sento così solo quando faccio teatro, appunto.
Piazza: Il mio personaggio vuole un figlio talmente disperatamente da andarlo cercare con la prima persona che gli dà un sorriso, una luce, una mano. Fa un errore grande ma trova un riparo. Lavorare con un gruppo di persone piene di talento ma mai concentrate su se stesse, che guardavano al risultato da ottenere come alla cosa più importante, è stato bello, non accade sempre.
Giannini: Ammetto che è stato rischioso interpretare un attore, per giunta "cane", senza esporsi a scivolamenti extracinematografici imbarazzanti, però in fondo il mio è un bel personaggio, che nega il pregiudizio sull'attore come un essere sterile sentimentalmente; è un uomo che ama e continua ad amare nonostante le controindicazioni.

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