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Up: Il lavoro dietro le quinte del nuovo capolavoro animato

Non si vedono, ma ci sono grandi balzi in avanti.
di Gabriele Niola

Le innovazioni di Up

lunedì 12 ottobre 2009 - Making Of

Le innovazioni di Up
Ci sono voluti cinque anni di lavoro per Up e per quanto possa sembrare strano sono state le cose più semplici ad essere le più complicate. Chi l'avrebbe mai detto che una delle trovate tecnicamente più complesse ed innovative potesse riguardare il movimento dei palloncini? E chi avrebbe potuto prevedere che le sequenze più importanti per il 3D sarebbero state quelle in casa, dove non ci sono grandi orizzonti o una profondità da sfruttare?
La Pixar con il suo nuovo film porta sullo schermo ancora una volta innovazioni pazzesche che si risolvono in piccoli dettagli per lo spettatore, il suo approccio invisibile alla tecnologia fa sì che utilizzi tutta la conoscenza e la professionalità accumulata per trovare soluzioni a problemi che non sembrano centrali a chi guarda ma che sono fondamentali per chi realizza. Un lavoro dietro le quinte che contribuisce alla grandezza delle storie raccontate da Lasseter e soci.
Sia che si tratti di un 3D nato per fomentare il sentimentalismo avventuroso del cartone, sia che si tratti di soluzioni "newtoniane" per dare vita vera a migliaia di palloncini l'idea che guida sempre la Pixar è di risolvere ogni problema con la tecnologia e non di utilizzarla a tutti i costi.

Palloncini newtoniani
Si parla delle migliaia e migliaia di palloncini colorati che il protagonista utilizza per sollevare in aria la sua casa, quelli che sono diventati uno dei marchi del film fin dal primo teaser trailer. Ecco quei palloncini si muovono tutti in maniera indipendente, come veri palloni, ma non solo. Facendo parte di un unico "mazzo" si influenzano anche a vicenda, poiché il movimento di uno risulta in uno spostamento dell'altro e via dicendo, in una catena di movimenti impossibili da disegnare a mano ma anche solo da concepire correttamente. Per questo la Pixar ha chiesto soccorso alla fisica.
Animarli in un blocco unico come si è sempre fatto chiaramente non era nemmeno pensabile, i palloni devono essere tutti indipendenti perché devono dare l'idea della leggerezza di un palloncino vero. La scelta della Pixar è allora ricaduta su un simulatore di fisica newtoniana, un software non necessariamente utilizzato nell'animazione ma che serviva al caso loro. Il lavoro del programma è in sostanza di applicare a un oggetto o una serie di oggetti quei principi fisici che nel mondo reale lo contraddistinguono, facendo così in modo che i suoi movimenti siano "indipendenti". Certo indipendenti fino a un certo punto perché come nel mondo reale gli elementi esterni lo condizionano e in questo caso gli elementi esterni li decidono gli animatori.
In sostanza quello che si sono trovati in mano alla Pixar era un mazzo di palloncini che non poteva essere animato tradizionalmente ma che si muoveva da solo e poteva quindi solo essere influenzato. Dunque per farli muovere da un lato non era possibile "ordinargli di farlo" come si fa con qualsiasi altro elemento di una scena ma occorreva aumentare il vento. Questo ha fatto sì tra le altre cose che accadessero eventi non previsti inizialmente. Un piccolo errore nella calibrazione dell'umidità o di altre variabili e un piccolo gruppo di palloni poteva staccarsi e volare via, cosa che infatti succede, come noteranno gli spettatori più attenti, nella scena del primo decollo.
Questo tipo di animazione si chiama "animazione procedurale" perché appunto non esiste un vero e proprio disegno ripetuto diverse volte ma una procedura applicata in automatico a seconda delle condizioni esterne. E non era nemmeno la prima volta che la Pixar vi faceva ricorso anche se di sicuro mai era stata così fondamentale ed elaborata. I più appassionati ricorderanno che allo studio di Lasseter avevano utilizzato questa tecnica anche per dare un movimento indipendente alle 300.000 e passa macchine che fanno da spettatori negli stadi di Cars.

Il 3D senza profondità
Up è il primo film della Pixar in 3D, anche se in realtà non è proprio vero. Per arrivare ad esordire ad un livello più che buono lo studio ha sperimentato moltissimo la nuova tecnologia sia realizzando Toy Story e Toy Story 2 in 3D (e presto li rivedremo nei nostri cinema) sia facendo molti test interni con sequenze da Ratatouille.
"Abbiamo lavorato inizialmente su 8 minuti di Ratatouille" spiega Josh Hollander (direttore della produzione stereoscopica) "e il risultato è stato sorprendente. Abbiamo scelto scene con sfondi profondi, montaggi rapidi ma anche lenti, lunghe carrellate orizzontali, verticali, scene buie e luminose. In questo modo abbiamo provato di tutto". Le grandi prove generali sono servite dunque a prendere una serie di decisioni di base su come approcciare la tridimensionalità, regole valide per qualsiasi film e in grado di influenzare le mille piccole decisioni particolari.
Innanzitutto niente oggetti che escono dallo schermo, per la Pixar il 3D serve ad andare in profondità e non a venire in avanti, secondo niente scene "per il 3D" perchè si tratta di uno strumento come gli altri e lo si usa quando è utile. Ecco perchè uno dei momenti in cui la tridimensionalità è maggiormente tenuta a bada è anche il più importante. All'inizio quando Carl è in casa e l'avventura vera e propria non è ancora partita la prospettiva è schiacciata, c'è poca tridimensionalità, il personaggio stesso è schiacciato dalla vita e con il morale a terra. Questo fa sì che quando poi arriva alla grande vallata, e il respiro della storia aumenta di pari passo con il suo umore, la sensazione è supportata dall'arrivo improvviso della vera grande profondità.
Per poter concepire un uso simile è stato necessario dividere tutto il film a seconda delle scene e creare una mappa del 3D, cioè un indicatore che spieghi quanto utilizzare la profondità nel corso del racconto, quando comprimerla e quando rilasciarla perchè sia in armonia con la storia.

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