ultimoboyscout
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giovedì 27 gennaio 2011
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che scemenza!
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Mediocre è dire poco, è un film noioso e piatto, banale e stupido, dove tutto ruota intorno al solo Castellitto che tra l'altro non se la cava nemmeno male, nei panni di un omino irresponsabile e meschino, mediocre (appunto come il film...) e schiavo della famiglia e dei suoi innumerevoli vizi, primo fra tutti il gioco. A rendere il tutto pesante ci si mettono pure malinconia e scarsa allegria e senso di impotenza che si respirano per tutto il film.
[+] mi sa che non hai guardato attentamente il film
(di queen of cool)
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brueghel
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giovedì 4 febbraio 2010
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sceneggiatura carente
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Il film non mi ha estusiasmato. Buona la prova degli attori, ma la storia non regge. Sembrerebbe voler essere realistica ma è piena di assurde coincidenze, il personaggio principale non può essere plausibile il quella veste. Un buon padre di famiglia, anche se fallito non cade in situazioni tanto inverosimili, in poche parole non risulta "credibile". In oltre non mi ha divertito, per me è un film drammatico non una commedia! Non basta inserira quà e la qualce stereotipo di personaggio macchietta per meritare il titolo di "commedia all'italiana". Che dire poi della moglie tedesca? Da un po' di tempo registi italiani sembrano attratti dagli accenti del nord europa con cui vengono fatte parlare le mogli dei protagonisti, l'ho gia sentito in diversi film, non ne capisco il motivo ma la trovo una sciocchezza!
Il cinema italiano per sopravvivere ha bisogno urgente di sceneggiatori.
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Il film non mi ha estusiasmato. Buona la prova degli attori, ma la storia non regge. Sembrerebbe voler essere realistica ma è piena di assurde coincidenze, il personaggio principale non può essere plausibile il quella veste. Un buon padre di famiglia, anche se fallito non cade in situazioni tanto inverosimili, in poche parole non risulta "credibile". In oltre non mi ha divertito, per me è un film drammatico non una commedia! Non basta inserira quà e la qualce stereotipo di personaggio macchietta per meritare il titolo di "commedia all'italiana". Che dire poi della moglie tedesca? Da un po' di tempo registi italiani sembrano attratti dagli accenti del nord europa con cui vengono fatte parlare le mogli dei protagonisti, l'ho gia sentito in diversi film, non ne capisco il motivo ma la trovo una sciocchezza!
Il cinema italiano per sopravvivere ha bisogno urgente di sceneggiatori.
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gbelletti
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lunedì 28 dicembre 2009
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il ritorno alla vera commedia all'italiana
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Quando un film mi emoziona e mi appassiona trovo sempre difficoltà nel fare dei lunghi discorsi, troverei meno difficoltà nel fare l'analisi di un film brutto, ma cosa dire a questa opera prima di Terracciano che ci riporta ai vecchi splendori della commedia italiana ?
Sicuramente non si poteva scegliere interprete migliore anzi direi il migliore che oggi l'Italia può vantare, ci fa sorridere ed emozionare nello stesso tempo !!
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vipera gentile
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giovedì 1 ottobre 2009
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dramma di un giocatore e della sua famiglia.
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Un bravissimo Castellitto si muove nei bassifondi di Napoli tampinando amici e conoscenti i per procurarsi i soldi che perde regolarmente in scommesse sui cavalli e al tavolo verde. Perde il lavoro, emette assegni a vuoto, non esita a giocare e a perdere il denaro necessario per il matrimonio della figlia, mentisce spudoratamente a tutti, sacrifica insomma dignità e affetti al gioco esattamente come un drogato. In contrapposizione a questa figura, ci sono i componenti della famiglia: la moglie, lavoratrice infaticabile, giocatrice bravissima grazie al suo agire sempre ragionato, piena di risorse e mai arresa nonostante le disgrazie causate dal marito; la .figlia che gli è molto affezionata e non riesce ad arrabbiarsi con lui, il figlio anche lui giocatore così bravo da pensare di fare del gioco un lavoro.
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Un bravissimo Castellitto si muove nei bassifondi di Napoli tampinando amici e conoscenti i per procurarsi i soldi che perde regolarmente in scommesse sui cavalli e al tavolo verde. Perde il lavoro, emette assegni a vuoto, non esita a giocare e a perdere il denaro necessario per il matrimonio della figlia, mentisce spudoratamente a tutti, sacrifica insomma dignità e affetti al gioco esattamente come un drogato. In contrapposizione a questa figura, ci sono i componenti della famiglia: la moglie, lavoratrice infaticabile, giocatrice bravissima grazie al suo agire sempre ragionato, piena di risorse e mai arresa nonostante le disgrazie causate dal marito; la .figlia che gli è molto affezionata e non riesce ad arrabbiarsi con lui, il figlio anche lui giocatore così bravo da pensare di fare del gioco un lavoro. È un continuo alternarsi di rabbia, pietà e affetto fino all’inevitabile conclusione.
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ciccio capozzi
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venerdì 25 settembre 2009
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un uomo ridicolo e il suo riscatto
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“TRIS DI DONNE & ABITI NUZIALI” di VINCENZO TERRACCIANO; ITA,09. Franco è ossessionato dal gioco. In cerca dell’ipotetica “rivincita” che lo ripagherà, consuma se stesso e la famiglia, mettendosi nelle mani della malavita. E’ un film decisamente strano. Costruisce la personalità di un perdente a vita, attorniato da figure femminili forti, che si vive come un bambino che cerca nel gioco d’azzardo la ragione di vita che ha dentro di sé. Egli è completamente deresponsabilizzato. Non esiste né famiglia, né affetto, né rispetto per sé, né per gli altri. Non esita a ricorrere alle più ridicole bugie per fare accettare agli altri il suo non vivere. Eppure, il regista, anche sceneggiatore insieme alla brava Laura Sabatino, costruisce attorno a questa figura un’aura di umanità e di complessità psicologica, con il perfetto S.
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“TRIS DI DONNE & ABITI NUZIALI” di VINCENZO TERRACCIANO; ITA,09. Franco è ossessionato dal gioco. In cerca dell’ipotetica “rivincita” che lo ripagherà, consuma se stesso e la famiglia, mettendosi nelle mani della malavita. E’ un film decisamente strano. Costruisce la personalità di un perdente a vita, attorniato da figure femminili forti, che si vive come un bambino che cerca nel gioco d’azzardo la ragione di vita che ha dentro di sé. Egli è completamente deresponsabilizzato. Non esiste né famiglia, né affetto, né rispetto per sé, né per gli altri. Non esita a ricorrere alle più ridicole bugie per fare accettare agli altri il suo non vivere. Eppure, il regista, anche sceneggiatore insieme alla brava Laura Sabatino, costruisce attorno a questa figura un’aura di umanità e di complessità psicologica, con il perfetto S.Castellitto. Lo mette in confronto col figlio, che invece riesce ad essere un brillante giocatore: ma che cede di fronte a chi è più bravo di lui, e trova nel padre affetto e comprensione. E anche il confronto con la sensibile e colta figlia, è ricco di tenerezza e di sottolineature poetiche. Così anche il rapporto con la moglie, l’attrice tedesca M.Gedeck, già protagonista del bellissimo “Le vite degli altri”, ha trasporti sentimentali sinceri e profondi. La Napoli ritratta nel film non è quella scarrupata, ma linda e ordinata della piccola borghesia, alla Eduardo.
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[+] ridicolo non è proprio.
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pino53
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lunedì 21 settembre 2009
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come sprecare un buon gruppo di attori
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Si può soltanto esprimere delusione per un'occasione mancata.
Certo l'idea di base non si può dire sia originalissima, ma il buon cast poteva essere l'occasione per realizzare un ritratto di "un'umanità minore" (o minorata ?).
Invece ... Castellitto non si discute, gli intertpreti dei ruoli di contorno sono ben scelti e le singole interpretazioni risultano accattivanti, con punte di eccellenza per Iaia Forte, Salvatore Cantalupo e Gigio Morra, ma la scintilla non riesce a scocare e per tutta la durata dela proiezione si sente la mancanza di qualcosa per cui si resta nell'attesa insoddisfatta che il film prenda quota.
L'insieme è scarsamente godibile.
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marezia
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lunedì 21 settembre 2009
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critica, a che cosa servi?
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Pellicola cupa e nei colori e nelle atmosfere. Nella Napoli di Terracciano non si canta né si ride; la tanto famosa allegria campana non c'è, al contrario c'è la solitudine, solitudine in famiglia e fuori. Il filo rosso del film è il gioco che a volte può essere al servizio di una nobile causa come i preparativi di un matrimonio (e al Sud infatti in molti la pensano così), altre paradossalmente utile a salvarsi dalle sue stesse conseguenze. Seppure con alcuni difetti di sceneggiatura (che poteva essere riassemblata in modo un po' più scorrevole) resta uno splendido affresco psicologico supportato da recitazioni sublimi. Se Castellitto deve rinunciare alla sua parte giocosa e mattacchiona per privilegiare il lato oscuro della sofferenza (e del riscatto), la Gedeck con il suo accento tedesco è di una intensità pari a quella della Magnani in un rapporto di coppia molto credibile.
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Pellicola cupa e nei colori e nelle atmosfere. Nella Napoli di Terracciano non si canta né si ride; la tanto famosa allegria campana non c'è, al contrario c'è la solitudine, solitudine in famiglia e fuori. Il filo rosso del film è il gioco che a volte può essere al servizio di una nobile causa come i preparativi di un matrimonio (e al Sud infatti in molti la pensano così), altre paradossalmente utile a salvarsi dalle sue stesse conseguenze. Seppure con alcuni difetti di sceneggiatura (che poteva essere riassemblata in modo un po' più scorrevole) resta uno splendido affresco psicologico supportato da recitazioni sublimi. Se Castellitto deve rinunciare alla sua parte giocosa e mattacchiona per privilegiare il lato oscuro della sofferenza (e del riscatto), la Gedeck con il suo accento tedesco è di una intensità pari a quella della Magnani in un rapporto di coppia molto credibile. Tra di loro c'è feeling e si vede. Che altro dire: musiche bellissime e soprattutto la poesia di Sbarbaro di cui vale la pena riportare il testo perché essenziale per la comprensione del film, ROVINATO DA UN TITOLO FALSO E FUORVIANTE. Vorrei proprio conoscere chi ha inventato questo slogan pubblicitario...
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marezia
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domenica 20 settembre 2009
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"critica, a che cosa servi?" (versione definitiva)
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Pellicola cupa e nei colori e nelle atmosfere. Nella Napoli di Terracciano non si canta né si ride; la tanto famosa allegria campana non c'è, al contrario c'è la solitudine, solitudine in famiglia e fuori. Il filo rosso del film è il gioco che a volte può essere al servizio di una nobile causa come i preparativi di un matrimonio (e al Sud infatti in molti la pensano così), altre paradossalmente utile a salvarsi dalle sue stesse conseguenze. Seppure con alcuni difetti di sceneggiatura (che poteva essere riassemblata in modo un po' più scorrevole) resta uno splendido affresco psicologico supportato da recitazioni sublimi. Se Castellitto deve rinunciare alla sua parte giocosa e mattacchiona per privilegiare il lato oscuro della sofferenza (e del riscatto), la Gedeck con il suo accento tedesco è di una intensità pari a quella della Magnani in un rapporto di coppia molto credibile.
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Pellicola cupa e nei colori e nelle atmosfere. Nella Napoli di Terracciano non si canta né si ride; la tanto famosa allegria campana non c'è, al contrario c'è la solitudine, solitudine in famiglia e fuori. Il filo rosso del film è il gioco che a volte può essere al servizio di una nobile causa come i preparativi di un matrimonio (e al Sud infatti in molti la pensano così), altre paradossalmente utile a salvarsi dalle sue stesse conseguenze. Seppure con alcuni difetti di sceneggiatura (che poteva essere riassemblata in modo un po' più scorrevole) resta uno splendido affresco psicologico supportato da recitazioni sublimi. Se Castellitto deve rinunciare alla sua parte giocosa e mattacchiona per privilegiare il lato oscuro della sofferenza (e del riscatto), la Gedeck con il suo accento tedesco è di una intensità pari a quella della Magnani in un rapporto di coppia molto credibile. Tra di loro c'è feeling e si vede. Che altro dire: musiche bellissime e soprattutto la poesia di Sbarbaro di cui vale la pena riportare il testo perché essenziale per la comprensione del film, ROVINATO DA UN TITOLO FALSO E FUORVIANTE. Vorrei proprio conoscere chi ha inventato questo slogan pubblicitario...
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marezia
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sabato 19 settembre 2009
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titolo: padre, se anche tu non fossi il mio
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Padre, se anche tu non fossi il mio
Padre se anche fossi a me un estraneo,
per te stesso egualmente t'amerei.
Ché mi ricordo d'un mattin d'inverno
Che la prima viola sull'opposto
Muro scopristi dalla tua finestra
E ce ne desti la novella allegro.
Poi la scala di legno tolta in spalla
Di casa uscisti e l'appoggiasti al muro.
Noi piccoli stavamo alla finestra./
E di quell'altra volta mi ricordo
Che la sorella mia piccola ancora
Per la casa inseguivi minacciando
(la caparbia aveva fatto non so che).
Ma raggiuntala che strillava forte
Dalla paura ti mancava il cuore:
ché avevi visto te inseguir la tua
piccola figlia, e tutta spaventata
tu vacillante l'attiravi al petto,
e con carezze dentro le tue braccia
l'avviluppavi come per difenderla
da quel cattivo che eri il tu di prima.
[+]
Padre, se anche tu non fossi il mio
Padre se anche fossi a me un estraneo,
per te stesso egualmente t'amerei.
Ché mi ricordo d'un mattin d'inverno
Che la prima viola sull'opposto
Muro scopristi dalla tua finestra
E ce ne desti la novella allegro.
Poi la scala di legno tolta in spalla
Di casa uscisti e l'appoggiasti al muro.
Noi piccoli stavamo alla finestra./
E di quell'altra volta mi ricordo
Che la sorella mia piccola ancora
Per la casa inseguivi minacciando
(la caparbia aveva fatto non so che).
Ma raggiuntala che strillava forte
Dalla paura ti mancava il cuore:
ché avevi visto te inseguir la tua
piccola figlia, e tutta spaventata
tu vacillante l'attiravi al petto,
e con carezze dentro le tue braccia
l'avviluppavi come per difenderla
da quel cattivo che eri il tu di prima./
Padre, se anche tu non fossi il mio
Padre, se anche fossi a me un estraneo,
fra tutti quanti gli uomini già tanto
pel tuo cuore fanciullo t'amerei.
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lisbeth
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sabato 19 settembre 2009
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guard’ ’o mare a margellina…..
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Una Napoli post moderna, dove Totò ed Eduardo non saranno mai dimenticati (e come potrebbero?) mais tout s’en va, dalle montagne di spazzatura gomorriana spunta un nuovo eroe del rione sanità, ex mezze maniche, pensionato baby delle Poste, tale Franco Campanella,uomo che di qualità ne ha veramente poche, ma così poche da non vincere nemmeno la partita a carte con la moglie nella cucina di casa, e la posta in gioco era rinnovare fasti notturni dimenticati da un pezzo con lei.
Giocatore d’azzardo più per tradizione che per convinzione o capacità (gioca a poker e ai cavalli, alla roulette e a “zecchinetta”) riesce a perdere tutto,ma nessuna drammaticità lacerante, non c’è Dostoevskij alle spalle di Franco.
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Una Napoli post moderna, dove Totò ed Eduardo non saranno mai dimenticati (e come potrebbero?) mais tout s’en va, dalle montagne di spazzatura gomorriana spunta un nuovo eroe del rione sanità, ex mezze maniche, pensionato baby delle Poste, tale Franco Campanella,uomo che di qualità ne ha veramente poche, ma così poche da non vincere nemmeno la partita a carte con la moglie nella cucina di casa, e la posta in gioco era rinnovare fasti notturni dimenticati da un pezzo con lei.
Giocatore d’azzardo più per tradizione che per convinzione o capacità (gioca a poker e ai cavalli, alla roulette e a “zecchinetta”) riesce a perdere tutto,ma nessuna drammaticità lacerante, non c’è Dostoevskij alle spalle di Franco.Terracciano mette in onda un’umanità opaca, appena schizzata a colpi rapidi di spatola sullo sfondo del protagonista, che domina la scena in modo totale.
Eppure, il milieu di Francuccio emerge e gli fa da coro, si caratterizza a tinte forti nello sguardo da madre courage in sedicesimo della moglie (una intensa Gedeck), nelle grazie procaci (forse troppo, stonano un po’) di una brava figlia che ama profondamente questo padre disgraziato, ma sceglie il modesto e rassicurante poliziotto bergamasco, nel figlio che lo giudica (“tu si’ sfaccìmm a tutti i tavoli ormai…”) ma che porta nel DNA lo stesso marchio di fabbrica del padre, solo con l’ingenua e impietosa protervia dei giovani.
E anche i ruoli secondari non sono trascurati,piuttosto sono dosati; Iaia Forte/Mariellina è, come sempre, la summa della napoletanità al femminile (la scena di sesso con i babà in primissimo piano è una chicca),l’amico Ferdinando (Cantalupo) non può più fargli credito,ma perché è un poveraccio come lui, e l’amicizia non si tocca; lo strozzino bonaccione lo rincorre in scene tra il comico e il grottesco, ma poi gli passa nuovi assegni.
Inevitabile che la caduta senza freni di una vita così segnata avvenga e porti il nostro eroe ad una fine scontata,ma quello che impressiona di questo film è vedere come meccanismi ancestrali,tradizioni e rituali di vita associata, relazioni interpersonali sopravvivano immutati nel tempo,solo che si ritrovano triturati dalla grande ruspa della normalizzazione, snaturati dai processi della modernità, e questo fa sì che la coralità tragica e insieme scoppiettante della Napoli di Totò di Eduardo, di Scarpetta e, perché no, anche della pletora dei minori, qui tenda a scomparire nei toni cupi di una stanchezza quotidiana che è sradicamento, vuoto, solitudine, difficoltà a tirare avanti.E anche paura.Franco è solo,la caduta è all’ultimo step, sceglie di aspettare la fine sullo scoglio di fronte al mare, ha una sua coerenza nel riprodurre in proprio la figura maschile del quadro di Friedrich che l’aveva tanto colpito sul diario della figlia (“un giorno mi dirai cosa sta guardando”le lascia scritto), ma il mare qui non è il nebbioso mare del nord, siamo a Mergellina e la sua ultima parola è “banco”, mentre un clic fuori campo regola i conti con la camorra.
La musica di Piovani rievoca nelle prime scene atmosfere da commedia all’italiana anni ‘60 e tarantella napoletana, ma vanno incupendosi sempre più fino a diventare un martellare di percussioni e stridere di fiati.
Castellitto, in stato di grazia, si cala con totale immedesimazione nella parte e se domina da padrone la scena,stavolta se l’è potuto permettere.
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[+] veramente dice:
(di marezia)
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