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Le relazioni pericolose

Jason Reitman racconta quali storie ama raccontare e tesse le lodi di George Clooney e Diablo Cody.
di Marianna Cappi

I principali caratteri femminili del film appaiono un po' come lo specchio dell'America di oggi, che non ha ben chiara la scelta tra il rifugio nella famiglia e il perseguimento, invece, di un ideale più individualista. È d'accordo?
Jason Reitman Altri nomi: (Jos Reitman) (46 anni) 19 ottobre 1977, Montréal (Canada) - Bilancia. Regista del film Tra le nuvole.

lunedì 19 ottobre 2009 - Incontri

I principali caratteri femminili del film appaiono un po' come lo specchio dell'America di oggi, che non ha ben chiara la scelta tra il rifugio nella famiglia e il perseguimento, invece, di un ideale più individualista. È d'accordo?
È vero. Premetto che ho solo 31 anni ma ho già capito una cosa e cioè che la vita è estremamente complicata e non ci sono risposte precise. Credo che molte delle storie degli uomini siano state raccontate e molte delle storie delle donne non lo siano ancora state e sono sempre stato attratto dalle donne sveglie e brillanti, come mia moglie, d'altronde, ma mi rendo conto che quella di oggi in America è una generazione di donne con un problema di difficile risoluzione, donne che hanno tra i 35 e i 40 anni e hanno lavorato sodo per la loro carriera e amano i loro lavori ma un giorno si svegliano e realizzano che però vorrebbero anche una famiglia, dei figli. È la prima generazione post-femminista. Volevo ritrarre queste donne e l'ho fatto tramite le due figure di Alex e di Nathalie: una 34enne piuttosto disillusa e una 23enne che crede di sapere già come sarà la sua vita futura. Ho immaginato un dialogo tra loro una notte che ero a letto con mia moglie e le ho chiesto, se avesse potuto parlare con se stessa a 18 anni, cosa avrebbe detto di cercare in un uomo allora e cosa cercherebbe invece ora e ho trascritto quel che lei ha detto e costruito la scena.

Il film si prende diverse libertà rispetto al libro. Come ha lavorato al processo di adattamento?
Libro e film sono molto diversi tra loro. Il romanzo di Kirn non conteneva i personaggi di Alex e di Nathalie, per esempio, non contemplava il matrimonio della sorellina di Ryan né la pratica del licenziamento on line né il discorso "dello zainetto". Quello che c'era nel libro e che mi piaceva era l'idea di un uomo che credeva di poter vivere da solo, continuamente in movimento, da aeroporto ad aeroporto. Ho usato il libro come una cassetta degli attrezzi, in esso ho trovato le parole per articolare la storia che volevo raccontare ma per la quale non avevo ancora le parole. Ma sono due cose diverse: il libro racconta di un uomo che perde qualcosa, il film di un uomo che trova qualcosa.
Com'è nato il discorso dello zainetto?
Cercavo il modo di articolare il concetto di vuoto. Io ho una moglie che amo, una figlia splendida, una bella casa, faccio il lavoro che mi appassiona…eppure viaggio e, tra un aereo e l'altro, è capitato anche a me di chiedermi come sarebbe non avere niente e nessuno: c'è indubbiamente qualcosa di eccitante in quest'idea. Il discorso dello zainetto è una metafora del peso delle relazioni umane.

Si dice che molti registi facciano sempre lo stesso film. Per te è così? Quel che ti interessa sono le relazioni interpersonali?
La continuità nella filmografia di un regista è cosa buona, credo, vuol dire che ti puoi fidare, se fa dei film personali vuol dire che sa che strada sta percorrendo. Se i miei film sono sulle relazioni interpersonali? Credo di sì. Mi piacciono le persone. Cerco di stimolarle ad essere aperte mentalmente, pongo delle domande. Il mio primo film era sulle sigarette, il secondo su una gravidanza giovanile, il terzo sul vivere soli. Spingono a domandarsi se si è d'accordo o meno. Mi interessa anche il tema della religione, per questo motivo.
In che misura collabora ancora con Diablo Cody?
Diablo è come una sorella per me, siamo molto diversi ma collaboriamo benissimo. Ora è molto impegnata, la serie televisiva United States of Tara l'ha occupata a lungo ed è ora che cominci a fare la regista. Io la supporterò in ogni modo, è un'ottima narratrice.
Qual è il bilancio della collaborazione con George Clooney?
È un grande attore, non lascia mai il set e non fa mai uso del trucco. Non so davvero come faccia. È un attore che pensa come un regista, per cui se c'è un rumore imprevisto adatta la sua voce nel dialogo per scansarlo, se si accorge che il sole si sta spostando si muove di conseguenza per non restare in ombra, pensa sempre alle due cose contemporaneamente. Per questo è bello e facile lavorare con lui. Adesso capisco perché i fratelli Coen e Soderbergh lo vogliono sempre. E poi, come mi ha detto Soderbergh stesso quando gli ho chiesto come dirigerlo, è la stella del cinema meno stella del cinema con cui possa capitare di lavorare.

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