ashtray_bliss
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mercoledì 7 novembre 2012
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un viaggio angosciante. una lezione di vita.
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The Road, e' un film imponente e impegnativo. Quanto il libro omonimo, quanto l'autore che sta dietro le parole dei protagonisti. E' un film importante quanto il libro non solo perche' e' praticamente fedelissimo ma anche perche' e' un ottimo inizio per quelli che non hanno ancora conosciuto l'universo oscuro creato da McKarthy.
Perche' The Road potrebbe comodamente essere visto come una fiaba, una favola oscura, che parla di desolazione, di miseria e disumanita', ma che sotto-sotto vuole mandare un messaggio diverso e ben piu' importante e positivo: Che legami indissolubili esistono, come quelli tra padre e figlio, che la bonta' e l'umanita' nelle persone non sparisce mai totalmente (il figlio incarna la bonta', la misericordia e la fiducia verso il prossimo).
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The Road, e' un film imponente e impegnativo. Quanto il libro omonimo, quanto l'autore che sta dietro le parole dei protagonisti. E' un film importante quanto il libro non solo perche' e' praticamente fedelissimo ma anche perche' e' un ottimo inizio per quelli che non hanno ancora conosciuto l'universo oscuro creato da McKarthy.
Perche' The Road potrebbe comodamente essere visto come una fiaba, una favola oscura, che parla di desolazione, di miseria e disumanita', ma che sotto-sotto vuole mandare un messaggio diverso e ben piu' importante e positivo: Che legami indissolubili esistono, come quelli tra padre e figlio, che la bonta' e l'umanita' nelle persone non sparisce mai totalmente (il figlio incarna la bonta', la misericordia e la fiducia verso il prossimo).
Ma e' anche un opera che indaga e scava dentro l'animo umano, usufruttendo di molteplici metafore e analogie, degne appunto delle fiabe e delle parabole religiose.
Cosi il film (fedele al romanzo) ci catapulta in un futuro non troppo lontano, dove la Terra e' stata devastata da una catastrofe senza precedenti (ma della quale noi non sappiamo niente). Pochi sono gli esseri umani sopravvissuti, praticamente nessun animale, eccetto i cani, e nessun uccello. La natura e' devastata e piegata: gli alberi si sradicano e l'atmosfera e' ormai diventata perennemente cupa e fredda. Gli inverni sono gelidi e insopportabili per gli uomini. Le risorse di cibo scarseggiano e l'eletriccita' pure. Unico modo di soppravvivere in questo contesto e spostarsi continuamente, di casa in casa, di citta' in citta', seguendo la strada.
Cosi, pur di sfamarsi, le persone ricorrono al cannibalismo: li dove ogni morale e' scomparsa, gli uomini si comportano peggio delle bestie e si cibano dei loro simili.
In questo panorama tenebroso e spaventoso si muovono come ombre, un padre (Mortensen) e suo figlio. Sono vestiti di pochi stracci sporchi e rotti e si trascinano un carrello con poche scorte di cibo e coperte. Si muovono fugacemente e sono diretti a Sud, dove il clima e' piu' caldo e piu' sopportabile per gli esseri umani. Ma il loro cammino viene costantemente minato dalla presenza di cannibali, pronti ad ucciderli e cibarsi di loro, o semplicemente di ladri che li derubano di tutti i loro pochi averi.
In questo contesto desolato vivere e' diventato sinonimo di sopravvivere. Adattarsi e nascondersi sono le chiavi per la sopravvivenza dei due protagonisti. E con loro hanno un unica arma: una piccola e vecchia pistola munita di un solo proiettile; l'ultima cosa che lascio' ai due la madre e moglie (Theron).
La madre ormai rivive soltanto nei sogni e ricordi del padre. Lei rappresenta la Rassegnazione e la Paura; dopo aver partorito il figlio all'alba della catastrofe che colpi' la Terra e dopo aver vissuto per anni nella paura piu' totale che i cannibali venissero a saccheggiare la casa e uccidere le uniche persone che ama (il figlio e il marito) decide di andarsene di casa, per morire da sola, nel freddo e nel buio. Opta per una morte dignitosa ma rassegnata, e mentre il marito fa di tutto per convincerla di venire con loro, lei si arrende e si piega alle sue paure e ossessioni, andandosene definitivamente. E quelli sono gli ultimi rcordi che lascia sia al figlio - che la rimpiange a voce alta continuamente- sia al marito che la rmpiange nel silenzio e nei sogni-incubi in cui la rintraccia.
I due contnuano a camminare in un viaggio, un percorso che sembra privo di speranza e diretti verso una meta che sembra irraggiungibile. E durante il cammino incontreranno persone come il Vecchio (Duval) o il Ladro che come loro si trascinano lungo una strada colma di dolore e calvari personali. Tutti i gorni che passano sembrano uguali ma in realta' sono sempre peggio. Il crescendo di drammaticita' viene percepito sia dai protagonisti che dagli spettatori.
In un mondo che sta ormai tramontando insieme a tutta la sua umanita' e che le uniche cose che lascia ai pochi sopravvissuti sono Diffidenza, Odio, Insicurezza e Paura il regista (e MacKarthy) riescono a ridare allo spettatore un minimo sollievo e una piccola speranza per il Futuro: la Speranza e' Rappresentata dal Bambino, il quale si oppone e si scontra anche col padre e si rifiuta di vedere negli altri solo diffidenza. Lui convince il padre a portare con loro per un po' il Vecchio e difende il Ladro. Lui rappresenta l'Umanita', quella umanta' che non e' ancora del tutto svanita.
E cosi si arriva al drammatico finale, commovente, emozionante, potente e imponente. Il padre, ormai da troppo tempo malato e ferito, non puo' piu' resistere e accetta il suo destino. Ma il tutto e' rappresentato con estrema verosimiglianza, tristezza e paura. Tutti e due sono spaventati e arrabiati: Il padre non vorrebbe lasciare suo figlio, il fglio non accetta di essere abbandonato. La paura e la commozione regnano sovrane nelle ultime sequenze di vita del protagonista. Un padre addolorato e sconfitto che nonostante tutto cerca di incoraggiare il proprio figlio, rivolgendogli parole estremamente dolci e soprattuto sincere: Tu porti il fuoco, gli ripete. E con quello che il bambino riuscira' ad andare avanti e distinguere le persone buone da quelle cattive. Il padre non ha resistito ma il bambino non ha scelta: posto difronte ad una maturita' imposta e precoce, gli affida la pistola e lo incita ad proseguire il suo cammino verso Sud, verso la salvezza.
I due non si lasceranno mai, fino alla tragica morte dell'uomo e l'incontro del ragazzino con un altro vagabondo ( Pearce) e la sua famigla, alla quale si riunira'.
The Road e' un capolavoro quanto il libro da cui e' stato tratto. Un libro ed un flm colmi di emozioni che non lasciano indifferenti nessuno. Perche' trattano di sentimenti umani tra i piu' forti e i piu' indissolubili: come quelli tra un padre e un figlio. In un ambiente post-apocallitico, dove non esste quasi piu' speranza per un domani migliore, i sentimenti fanno da padrone lungo tutta la durata del film: Angoscia, Paura, Diffidenza, Speranza, Amore. Un film che commuove e fa riflettere sulla vera natura dell'uomo: a volte spietata e a volte profondamente umana.
La strada che inseguono i protagonisti e' una strada di formazione e di consapevolezza interiore. Un viaggio alla ricerca disperata di valori alti (la Fede) e di Salvezza.
Attori da Oscar, in particolar modo Viggo Mortensen. Regia impeccabile. Fotografia eccellente, cupa e dark esatta per ricreare gli ambienti descritti nelle pagine di McKarthy.
Assolutamente Imperdibile.
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nicola barbera
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domenica 30 maggio 2010
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la lezione di un padre.
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Cosa può insegnare un genitore a un figlio? In particolare, cosa può insegnargli un padre che sa che a un certo punto dovrà lasciarlo - come è normale nella vita - ma sa anche che non ci sarà una madre (di norma, biologicamente predisposta a “vegliare” più a lungo…) ad aiutare e confortare il ragazzo?
Cerca di insegnargli a sapersi muovere nella vita; a distinguere il bene del male; a difendersi dalle insidie del mondo... Ma se il mondo non dovesse più essere quello che conosciamo, bensì una landa in rovina nella quale non c’é quasi più cibo e ogni forma di vita va lentamente spegnendosi: cosa potrà insegnare quel padre, a un figlio teneramente amato?
Gli insegna come mettere in bocca la canna di una pistola, come controllare che l’ultima cartuccia accuratamente conservata sia al suo posto, come premere il grilletto per non essere catturato vivo…
Può capitare - a me è capitato - di vedere un film tratto da un libro famoso senza avere avuto (ancora) il tempo di leggerlo.
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Cosa può insegnare un genitore a un figlio? In particolare, cosa può insegnargli un padre che sa che a un certo punto dovrà lasciarlo - come è normale nella vita - ma sa anche che non ci sarà una madre (di norma, biologicamente predisposta a “vegliare” più a lungo…) ad aiutare e confortare il ragazzo?
Cerca di insegnargli a sapersi muovere nella vita; a distinguere il bene del male; a difendersi dalle insidie del mondo... Ma se il mondo non dovesse più essere quello che conosciamo, bensì una landa in rovina nella quale non c’é quasi più cibo e ogni forma di vita va lentamente spegnendosi: cosa potrà insegnare quel padre, a un figlio teneramente amato?
Gli insegna come mettere in bocca la canna di una pistola, come controllare che l’ultima cartuccia accuratamente conservata sia al suo posto, come premere il grilletto per non essere catturato vivo…
Può capitare - a me è capitato - di vedere un film tratto da un libro famoso senza avere avuto (ancora) il tempo di leggerlo. Potrò quindi sbagliarmi, ma a mio avviso “The road” non è una metafora della fine del mondo, dell’apocalisse prossima ventura. Non ci sono scienziati coraggiosi che lottano per salvare il pianeta, o Presidenti che fanno appello alle virtù morali della popolazione. Non sappiamo neppure da cosa il disastro sia stato provocato, o se da qualche parte qualcosa di salvabile sia rimasto.
Non si lotta per la benzina o per l’acqua: si lotta per la carne (propria o altrui, a seconda dei punti di vista): per mangiare o per non farsi mangiare. In “The road” tutto è più crudo, più duro, più “credibile” (e risparmio gli orrendi dettagli) che nei consueti film “post-apocalittici”. Ma non è questo il punto.
La storia è la metafora dell’eterno rapporto genitore-figlio (che si tratti in questo caso del padre, è un dettaglio: in una fugace inquadratura vediamo una madre restare, fino all’estremo, accanto al suo ragazzo). E’ la metafora dell’essere umano che sa di dover morire e dover lasciare la persona più amata nell’ambiente più brutale e ostile che possa concepirsi… di chi lotta senza alcuna speranza per sé stesso, ma solo per rimandare il più possibile il momento fatale e offrire al figlio - forse - qualche chance in più.
In questa angoscia disperata, in questo dramma interiore, è duro - forse impossibile - mantenere saldi i confini tra bene e male, tanto facili da delineare a parole. Il padre rischierà più volte di smarrirli, il figlio - educato a tenere vivo il “fuoco” dell’umanità - glieli ricorderà: la sopravvivenza morale può essere anche più importante di quella fisica.
La potenza visionaria del film avvince fin dai primi minuti; Viggo Mortensen (ma non è il solo) sfodera un’interpretazione ancora una volta magistrale. “The road” non lascia più felici: più consapevoli, sì.
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martedì 1 giugno 2010
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angosciante, apocalittico, simbolico...
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Tratto dall'omonimo romanzo di Cormac McCharty (autore di Non è un Paese per Vecchi): la Terra, sconvolta da un disastro non meglio specificato, è divenuta landa cupa, fredda ed abitata da pochi sopravvissuti, impauriti ed affamati. Un Padre (Viggo Mortensen) e suo Figlio si mettono in cammino verso sud, in cerca del mare: hanno con loro pochi stracci, misere razioni di cibo ed una pistola con due pallottole, per difendersi o per per farla finita qualora dovesse accadere il peggio, che in un mondo abbrutito e senza più civiltà significa cadere nelle mani dei cannibali. Lottano contro il freddo e gli stenti, sono continuamente in pericolo, fanno incontri rischiosi e spiacevoli, ma preseguono senza fermarsi, perchè consapevoli di essere gli ultimi portatori del "fuoco", quel che resta di un'umanità immiserita ed arida.
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Tratto dall'omonimo romanzo di Cormac McCharty (autore di Non è un Paese per Vecchi): la Terra, sconvolta da un disastro non meglio specificato, è divenuta landa cupa, fredda ed abitata da pochi sopravvissuti, impauriti ed affamati. Un Padre (Viggo Mortensen) e suo Figlio si mettono in cammino verso sud, in cerca del mare: hanno con loro pochi stracci, misere razioni di cibo ed una pistola con due pallottole, per difendersi o per per farla finita qualora dovesse accadere il peggio, che in un mondo abbrutito e senza più civiltà significa cadere nelle mani dei cannibali. Lottano contro il freddo e gli stenti, sono continuamente in pericolo, fanno incontri rischiosi e spiacevoli, ma preseguono senza fermarsi, perchè consapevoli di essere gli ultimi portatori del "fuoco", quel che resta di un'umanità immiserita ed arida.
Hillcoat si rivela all'altezza del compito: tradurre in immagini le atmosfere che McCharty ha fissato sulla pagina. Lo fa grazie ad una fotografia perfetta, cinerea e gelida nel ritrarre la desolazione del presente, quanto calda e morbida nell'illuminare i ricordi del passato; a scenografie angosciosamente apocalittiche; ad attori quanto mai credibili, nella loro smunta precarietà; ad un commento musicale elegante e suggestivo. Ma è nella storia che il film ha la sua forza: il mito del viaggio di formazione calato in un mondo in cui il tempo si è fermato e non esiste più futuro, il rapporto fra un padre ed un figlio di intensità quasi religiosa, i dilemmi morali (cos'è il Bene? Chi sono i buoni della Storia e chi i cattivi? Quali valori è ancora possibile trasmettere?) e le diverse scelte di chi si arrende allo scempio dei tempi (la Madre, interpretata da Charlize Theron) e di chi compie un'assunzione di responsabilità estrema, verso un Dio che non si vede ed una civiltà che ha fallito. L'universo di simboli (il fuoco, il bambino, il rifugio, lo scarabeo: solo alcuni fra tanti) si svela nella sua ricchezza senza sillogismi, ma attraverso l'espressività visiva delle immagini. Angosciante, spietato, escatologico, The Road è un film di sconsolata lucidità, ma non rinuncia alla speranza di un'umanità che sappa rinascere dalle proprie ceneri (morali).
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carmineantonellovillani
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martedì 8 giugno 2010
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la fine del mondo secondo mccarthy
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In tempi bui sognare luoghi paradisiaci è foriero di morte, persino quando il sole riesce a squarciare l’oscurità di un mondo inghiottito dalle tenebre. Accusato di cupo pessimismo, “The road” è un viaggio senza meta per quei sopravvissuti ad una non meglio specificata apocalisse che ha sterminato ogni forma di vita. Papà e figlioletto al seguito vagano nelle lande desolate, solo più tardi scopriamo che la mamma ha deciso di farla finita perché la disperazione ha contagiato i pochi superstiti costretti a nascondersi per paura del cannibalismo. Fotografia straordinaria nelle sue tonalità plumbee, a dimostrazione che l’inferno può avere colori diversi, impreziosita dalla musica di Nick Cave che insieme a Warren Ellis riesce a farci sentire tutta la solitudine dei protagonisti in marcia verso chissà quale destinazione.
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In tempi bui sognare luoghi paradisiaci è foriero di morte, persino quando il sole riesce a squarciare l’oscurità di un mondo inghiottito dalle tenebre. Accusato di cupo pessimismo, “The road” è un viaggio senza meta per quei sopravvissuti ad una non meglio specificata apocalisse che ha sterminato ogni forma di vita. Papà e figlioletto al seguito vagano nelle lande desolate, solo più tardi scopriamo che la mamma ha deciso di farla finita perché la disperazione ha contagiato i pochi superstiti costretti a nascondersi per paura del cannibalismo. Fotografia straordinaria nelle sue tonalità plumbee, a dimostrazione che l’inferno può avere colori diversi, impreziosita dalla musica di Nick Cave che insieme a Warren Ellis riesce a farci sentire tutta la solitudine dei protagonisti in marcia verso chissà quale destinazione. Il regista John Hillcoat, molti videoclip e pochi lungometraggi al suo curriculum, dimostra capacità fuori dal comune: in due ore di silenzi, molto più evocativi di qualsiasi dialogo, lascia spazio alle riflessioni di Viggo Mortensen ed agli occhi del bravissimo Kodi Smit-McPhee che vede la sua infanzia violata da corpi smembrati e cumuli di macerie. Ma negli sguardi che ricordano certi volti allucinati del Goya il monito di Corman McCarthy, autore dell’omonimo romanzo vincitore del Premio Pulitzer, si mescola agli urli di un mondo che ha smarrito l’umanità e la speranza per i propri figli.
Carmine Antonello Villani
(Salerno)
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catia p.
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venerdì 4 giugno 2010
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the road – in viaggio verso il futuro
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“Quando si svegliava in mezzo ai boschi nel buio e nel freddo della notte allungava la mano per toccare il bambino che gli dormiva accanto. Notti più buie del buio e giorni uno più grigio di quello appena passato. Come l’inizio di un freddo glaucoma che offuscava il mondo...”
Questo l'incipit letterario di The Road, di Cormac McCarthy, che ben rende, nella sua essenza, anche l'atmosfera di ansia e di gelo di questa trasposizione cinematografica.
Un'ansia e un gelo assolutamente funzionali e coerenti alla durezza della storia narrata, che ci restituiscono con fedeltà toccante la morsa che stringe corpo e anima nell'inverno post-catastrofico fotografato da McCarthy nel suo libro.
Per tutto il film sono inevitabili la tensione e il brivido freddo che ci serpeggiano addosso, lungo la schiena e nella mente, poiché la trama prevede un estenuante viaggio e una continua lotta per la sopravvivenza di un padre ed un figlio alle prese con un'umanità in cui i “buoni” si contano sulla punta delle dita ed i “cattivi” praticano nella realtà il peggiore degli incubi che una società possa attuare.
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“Quando si svegliava in mezzo ai boschi nel buio e nel freddo della notte allungava la mano per toccare il bambino che gli dormiva accanto. Notti più buie del buio e giorni uno più grigio di quello appena passato. Come l’inizio di un freddo glaucoma che offuscava il mondo...”
Questo l'incipit letterario di The Road, di Cormac McCarthy, che ben rende, nella sua essenza, anche l'atmosfera di ansia e di gelo di questa trasposizione cinematografica.
Un'ansia e un gelo assolutamente funzionali e coerenti alla durezza della storia narrata, che ci restituiscono con fedeltà toccante la morsa che stringe corpo e anima nell'inverno post-catastrofico fotografato da McCarthy nel suo libro.
Per tutto il film sono inevitabili la tensione e il brivido freddo che ci serpeggiano addosso, lungo la schiena e nella mente, poiché la trama prevede un estenuante viaggio e una continua lotta per la sopravvivenza di un padre ed un figlio alle prese con un'umanità in cui i “buoni” si contano sulla punta delle dita ed i “cattivi” praticano nella realtà il peggiore degli incubi che una società possa attuare...
Ma non appena l'orrore si affaccia sulla scena, il regista ci mostra solo quanto basta a farci arpionare il bracciolo della poltrona per qualche istante.
Non gli interessa spingere sull'acceleratore del macabro oltre la soglia del sopportabile (rischio che ha saputo evitare con grande sobrietà e rigore): vuole piuttosto che lo spettatore veda solo quello che gli stessi personaggi vedono e nello stesso lasso di tempo, a volte rapidissimo.
Così la nostra immedesimazione e il nostro coinvolgimento risultano più completi ed è meno offuscata la nostra capacità di intuire che oltre il grigio e la paura c'è dell'altro, qualcosa di molto profondo e radicato nell'intensità di questa storia e dei suoi protagonisti e che merita una visione al cinema.
Per evitare spoiler il più possibile, dirò che il messaggio di speranza di cui molti parlano sta nell'eredità: quello di buono che lasciamo alle generazioni future non va sprecato e anzi viene assorbito più di quanto noi stessi crediamo possibile e addirittura migliorato. Davvero l'allievo supera il maestro e le colpe dei padri non ricadono sui figli, ma anzi trovano riscatto nello sguardo puro di un bambino.
Nota di merito per la bravura del “vecchio” Viggo Mortensen e del giovane Kodi Smit-McPhee...
E nota di demerito per la distribuzione italiana che ha catapultato in piena primavera un film così prettamente invernale. Non lasciate che questo vi scoraggi. Buona visione.
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christo77
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lunedì 7 marzo 2011
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il mio concetto di noia
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Noia.... per molti è un film senza supereroe, nessuna scena di aerei che si alzano in volo mentre gli crolla sotto la statua della libertà , o il colosseo, o la tour eiffel. Noia secondo alcuni può essere un film ambientato in un grigio e anonimo paesaggio post apocalittico, con degli antieroi che vivono in costante ansia,dove la paura attanaglia e la speranza è l'unico dono che un padre può dare al proprio figlio. Nessun atto di eroismo da parte degli uomini, semplice istinto di sopravvivenza a discapito dei propri simili. Nessuna terra promessa dove poter ricominciare,soltanto l'infondata supposizione che verso sud vi sia qualcosa di meglio della grigia agonia del mondo. L'atto eroico più grande? Quello del bambino, che non si vuole piegare al cinismo ed alla sopraffazione dei più deboli per sopravvivere.
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Noia.... per molti è un film senza supereroe, nessuna scena di aerei che si alzano in volo mentre gli crolla sotto la statua della libertà , o il colosseo, o la tour eiffel. Noia secondo alcuni può essere un film ambientato in un grigio e anonimo paesaggio post apocalittico, con degli antieroi che vivono in costante ansia,dove la paura attanaglia e la speranza è l'unico dono che un padre può dare al proprio figlio. Nessun atto di eroismo da parte degli uomini, semplice istinto di sopravvivenza a discapito dei propri simili. Nessuna terra promessa dove poter ricominciare,soltanto l'infondata supposizione che verso sud vi sia qualcosa di meglio della grigia agonia del mondo. L'atto eroico più grande? Quello del bambino, che non si vuole piegare al cinismo ed alla sopraffazione dei più deboli per sopravvivere.
Il mondo dvrà pur finire prima o poi. Quanti di voi pensano che questo film sia più realistico di qualunque altro circa la lenta agonia della terra, prima del nulla assoluto?
Io credo che il concetto di noia si addica più a film del calibro di "2012" e roba simile, dove l'angoscia non arriva neppure a lambirti, tanto è irrealistia la storia.
Grande film, grande Viggo Mortensen.
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mr blonde
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giovedì 8 luglio 2010
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a che ora è la fine del mondo?
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Giustificare il posticipo dell'uscita di questo capolavoro con la crisi economica è certamente una (per usare un eufemismo) “stupidata”.
Più che un film sembra una fuga da un predatore dai mille volti disperati e cannibali degli ultimi esseri (dis)umani superstiti sulla faccia della Terra, ed essere sommerso da quest'ansia, che non lascia respirare lo spettatore, sicuramente non è cosa da tutti.
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Giustificare il posticipo dell'uscita di questo capolavoro con la crisi economica è certamente una (per usare un eufemismo) “stupidata”.
Più che un film sembra una fuga da un predatore dai mille volti disperati e cannibali degli ultimi esseri (dis)umani superstiti sulla faccia della Terra, ed essere sommerso da quest'ansia, che non lascia respirare lo spettatore, sicuramente non è cosa da tutti.
John Hillcoat (La Proposta), coglie una sfida ambiziosa cercando di portare sul grande schermo l'omonimo romanzo di Cormac McCarthy e ne esce vincitore a mani basse, lasciando trapelare nonostante un'apnea lunga 111 minuti molta più speranza e senso di molti altri film, meno “cupi”.
Colpisce la natura camaleontica del lungometraggio di Hillcoat, si varia dai toni decisamente (ed inaspettatamente) horror, al drammatico e c'è anche spazio per i toni sentimentali e dolci di padre-figlio.
Ma l'ennesimo scandalo (come se non bastasse la poca risonanza avuta dal film) è il fatto che il super-denutrito Viggo Mortesen, che per essere più nella parte ha mangiato insetti e scarafaggi come nel film, sembra essere trascurato dai più (Nomination Oscar 2008 a parte), o peggio essere ricordato sempre e solo per il prode Aragorn della trilogia tolkeniana.
Molto bravo l'appena 14enne Kodi Smit-McPhee, riesce a creare un alchimia con il padre-Mortesen e interpreta a livelli altissimi.
Da non dimenticare il cameo della madre-Charlize Theron, più ruvida del solito, preferisce andare incontro alla morte piuttosto che impegnarsi nella lotta sopravvivenza, lotta che il marito e figlio nonostante tutto riescono a vincere.
Da notare che questa della madre è una scelta tutta del regista, nel romanzo se ne accenna appena alla figura.
Commovente anche Robert Duvall nel ruolo di un vecchio cieco, che si trova a vagare nelle desolate terre post-apocalittiche di un'America che ogni giorno diventa più fredda, inospitale e inadatta alla civiltà.
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federinik
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giovedì 26 agosto 2010
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strada del dolore
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La strada è lunga, livida di dolore e squarciata dal cupo del cielo.
Un uomo e un bambino, padre e figlio, percorrono le strade deserte e ricche d’insidie con un carrettino di sopravvivenza.
Questo nuovo mondo è fatto di distruzione, forse un disastro naturale o una guerra nucleare hanno cancellato l’ordine apparente delle cose e quel sole che tanto riscaldava le belle gambe della moglie di quel padre che ora con immenso coraggio decide di prendersi cura del figlio attraverso sentieri di tragico dolore, hanno cessato di palpitare
Il regista australiano, John Hillcoat, fa una trasposizione d’innegabile forza e potenza visionaria, del breve romanzo di Cormac McCarthy.
Hillcoat rimane molto fedele al libro ed innesta nel racconto tutti gli eventi imprevisti del romanzo.
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La strada è lunga, livida di dolore e squarciata dal cupo del cielo.
Un uomo e un bambino, padre e figlio, percorrono le strade deserte e ricche d’insidie con un carrettino di sopravvivenza.
Questo nuovo mondo è fatto di distruzione, forse un disastro naturale o una guerra nucleare hanno cancellato l’ordine apparente delle cose e quel sole che tanto riscaldava le belle gambe della moglie di quel padre che ora con immenso coraggio decide di prendersi cura del figlio attraverso sentieri di tragico dolore, hanno cessato di palpitare
Il regista australiano, John Hillcoat, fa una trasposizione d’innegabile forza e potenza visionaria, del breve romanzo di Cormac McCarthy.
Hillcoat rimane molto fedele al libro ed innesta nel racconto tutti gli eventi imprevisti del romanzo. Ricco di scene di suspense e di dolore emotivo, oltre che visivo ed uditivo, il film funziona a tutti i livelli.
A partire da una fotografia (dell’ottimo Javier Aguirresarobe) plumbea e livida, in grado di regalare alla vicenda un sentore perpetuo di morte che aleggia per tutto il corso del film, fino allo straordinario lavoro di gruppo per quanto riguarda il trucco che trasforma, imbolsisce e scolpisce i segni di sofferenza sui volti dei sopravvissuti, in maniera scioccante. Scenografia di Chris Kennedy e Robert Greenfield, costumi di Margot Wilson, montaggio di Jon Gregory, e musiche avvolgenti di Nick Cave e Warren Ellis, insomma quanto di più azzeccato e tuonante.
Sentimenti, umori, colori, sensazioni, ricordi: ogni cosa fusa nell’altra, tant’è grande l’impatto del film sull’occhio dello spettatore che quasi si sente oppresso da quelle luci opache e da quei colori che avvolgono d’ignoto padre e figlio.
Il film è tanto Romero quanto Cronenberg, i cattivi che si aggirano per la infinita strada del dolore non somigliano né agli zombi del film The Night Of The Living Dead di Romero né ai personaggi autodistruttivi di molto dei film di Cronenberg, bensì il film assimila la lezione di due grandi maestri, specie il secondo, per portare sul grande schermo un profluvio di forti emozioni, dure come un macigno che si abbatte col peso della gravità delle cose sul tuo stesso corpo, affaticato ancor prima della mente in costante esercizio rivelatorio.
Completano il quadro di un capolavoro indiscutibile gli attori, tutti calati nella parte, partendo da un Viggo Mortensen mai così intenso e convincente persino nelle sfumature, negli accenti e nei toni d’interlocuzione a fil di respiro; la piacevole sorpresa del bambino interpretato dal prodigio di sicuro avvenire Kodi Smit-McPhee (un gemellino, terza decade, proveniente da una famiglia di attori); fino a giungere ad una sofferente e convincente Charlize Theron (anche se già vista in un ruolo uguale in The Burning Plain e Monster, donna di grande fisicità in contrasto con un viso carezzevole e delicato), e ad un gruppo di caratteristi fra cui sono da evidenziare quella del veterano Robert Duvall (nel ruolo di un vecchio vagabondo che sta per perdere la vista) e del sempre più bravo Guy Pierce (L.A. Confidential e Memento, su tutti, e in The Road in un piccolo ruolo significativo).
E quando l’ultimo respiro, esala accanto alla brezza del mare, allora capirai che il salato ha sempre accompagnato il tuo lungo viaggio e che l’unico dolce ti è cresciuto accanto, troppo in fretta.
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peer gynt
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giovedì 14 ottobre 2010
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grigia terra in grigio cielo
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Angosciante viaggio disperato di un padre e un figlio 13enne attraverso
una terra semidistrutta e quasi deserta. Non si sa cosa sia successo, ma
sulla terra non vi sono piu' animali, moltissimi uomini sono morti e
quelli che sono rimasti sono portatori di una violenza cieca, che la fame
implacabile ha reso cannibali.
La fuga dei due superstiti e' da tutto e da tutti, perche' di nessuno ci
si puo' piu' fidare e l'unica traccia di umanita' si e' spenta col tragico
e disperato sacrificio della moglie dell'uomo e madre del ragazzo.
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Angosciante viaggio disperato di un padre e un figlio 13enne attraverso
una terra semidistrutta e quasi deserta. Non si sa cosa sia successo, ma
sulla terra non vi sono piu' animali, moltissimi uomini sono morti e
quelli che sono rimasti sono portatori di una violenza cieca, che la fame
implacabile ha reso cannibali.
La fuga dei due superstiti e' da tutto e da tutti, perche' di nessuno ci
si puo' piu' fidare e l'unica traccia di umanita' si e' spenta col tragico
e disperato sacrificio della moglie dell'uomo e madre del ragazzo. Resta
soltanto un deserto di fame e di fango, e sempre la morte dietro l'angolo.
E la cocciuta resistenza del ragazzo, che non vuole accettare che
dell'umanita' (come gli dice suo padre) non ci sia piu' nulla da salvare.
Film grigio sulla terra e nel cielo, notturno e cupissimo, dove il mare
non e' blu come sulla carta geografica ma anch'esso inesorabilmente
grigio, e dove la speranza compare, quasi inaspettata, in un finale
struggente ma non banale, tragico ma aperto ad un'umanita' che ha in
progetto di ricostruirsi basandosi sulla fiducia reciproca.
Splendido.
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liuk©
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giovedì 9 dicembre 2010
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unico
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Film notevole, quasi impressionante. Il tema del day after è sviluppato come mai nessun film aveva fatto: il mondo è desolato, grigio e l'uomo torna pian piano agli istinti primordiali. La trama non è completa ma è uno spaccato di vita (o meglio di morte) in questo contesto, quindi lo spettatore non avrà risposte e non vedrà un finale definitivo: molti potrebbero quindi rimanere delusi. Nel complesso, invece, siamo davanti ad uno sforzo cinematrografico di alto livello, che piacerà ai cultori del genere.
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