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Horror Frames: Suck e l’horror rock

Una commistione 'paurosa' tra musica e cinema.
di Rudy Salvagnini

Jessica Paré (41 anni) 5 dicembre 1982, Montréal (Canada) - Sagittario. Interpreta Jennifer nel film di Rob Stefaniuk Suck.

martedì 17 maggio 2011 - News

Il legame tra il cinema horror e la musica rock, per quanto relativamente recente, ha caratterizzato ormai molti film. Il più noto e paradigmatico è naturalmente The Rocky Horror Picture Show, versione su pellicola di uno spettacolo teatrale di enorme successo. Ed è proprio con il glam rock di quegli anni (i Settanta e anche gli Ottanta) e con l’heavy metal - ovvero con il rock dalle caratteristiche esteriori più vistose e sfrenate - che il cinema horror ha stretto un connubio che, tra alti e bassi, prosegue tuttora. Tra i titoli specifici si possono ricordare opere brillantissime come Il fantasma del palcoscenico di Brian De Palma, lussureggiante cavalcata rock sul mito di Faust ibridato con "Il fantasma dell’Opera", opere meno brillanti ma comunque godibili come Morte a 33 giri di Charles Martin Smith che gioca con le leggende urbane sul rock satanico, opere poco brillanti come Paganini Horror di Luigi Cozzi, rielaborazione del presunto “satanismo” del grande violinista, o per nulla brillanti come il terribile Vicious Lips di Albert Pyun, sulle disavventure cosmico-orrorifiche di una band del futuro.
A parte i film in cui il rock entra come elemento in qualche modo narrativo, c’è anche da sottolineare la notevole quantità di colonne sonore horror nelle quali il rock, soprattutto nelle sue varianti heavy e metal, la fa da padrone, con assoli scatenati di chitarra elettrica a sostituire le classiche partiture tenebrose di un tempo. Dario Argento è stato tra i precursori nel campo, ma i proseliti sono stati parecchi, soprattutto nei decenni scorsi.
A rammentarci il legame tra rock e horror è ora un piccolo film canadese, Suck, che coniuga vampiri e musica. Il regista Rob Stefaniuk, al suo secondo lungometraggio, fa un po’ di tutto - scrive, dirige, interpreta il protagonista, canta, compone gran parte delle musiche originali - ma ha il buon senso di lasciare spazio anche ad altre creatività. La storia è piuttosto lineare: la strada verso il successo è lastricata di cattive intenzioni.

La trama del film
Montreal. Joey è il leader di una rock band - The Winners - che non riesce a sfondare. Il suo manager, Jeff, gli consiglia di lasciare il rock per qualche genere più di moda. Il barista del localaccio in cui i The Winners hanno appena suonato, legge nel pensiero di Joey la paura della sconfitta esistenziale. Gli altri componenti della band - la bassista Jennifer (ex fidanzata di Joey), il batterista Sam, il chitarrista Tyler e il tuttofare Hugo - sono delusi dalla piega degli eventi: si aspettavano che Jeff li rendesse famosi. Di fronte alla prospettiva di dormire nel furgoncino (un carro funebre, in effetti) per risparmiare i soldi dell’albergo, Jennifer saluta tutti: se ne va a un party con Queeny, un tipaccio dall’aria mostruosa, per starsene più comoda sino al mattino dopo. Solo che Queeny è un vampiro. Quando il mattino dopo Jennifer non si presenta all’appuntamento, Joey nomina Hugo come nuovo bassista e la band riprende la sua marcia verso il prossimo concerto, a Toronto. La sera del concerto, però, Jennifer si presenta regolarmente: fascinosa come non mai, è decisamente cambiata in molti sensi. Intanto, Eddie Van Helsing porta avanti la sua lotta solitaria e senza quartiere contro i vampiri.

Quando il rock incontra il cinema
Alcune battute sono buone e la satira tocca punti simpatici come la mania degli americani per le armi o la presunta irrilevanza dei batteristi. Il tratteggio dei personaggi è brioso e la scrittura abbastanza brillante da rendere la storia - risaputa - gradevole da seguire. In questo impianto banale ma adeguatamente vivace si inseriscono tocchi bizzarri e ironici che richiamano momenti topici della storia del rock, dalla camminata dei Beatles ad Abbey Road alla copertina di un famoso album di Bruce Springsteen ("Born in the U.S.A.") e al poster di un film con gli Who ("The Kids Are Alright"). Cruciale è anche la leggenda urbana, richiamata più volte sulle note evocative del classico "Crossroads", sul patto col diavolo che sarebbe stato stretto dal mitico chitarrista blues Robert Johnson a un incrocio nel nulla delle pianure del Mississippi: ma se il blues è la musica del diavolo, nei film horror è il rock a prenderne il posto. La presenza nel cast di due vecchie glorie come Alice Cooper (del quale in una piccola parte è presente anche la figlia Calico) e Iggy Pop incrementa notevolmente il tasso di autenticità rock. Il fatto che poi i due vecchiacci se la cavino alla grande non guasta: Alice Cooper non è nuovo a parti più o meno lunghe in film horror (si possono citare almeno Il signore del male di John Carpenter e l’ineffabile Monster Dog di Claudio Fragasso) e ha una fisicità perfetta per il ruolo; lo stesso si può dire per Iggy Pop, sul cui volto si leggono decadi di sregolatezza e trasgressività. Il fatto che uno rappresenti il volto suadente del Male e l’altro quello saggio di un Bene del tutto particolare è una curiosa e apprezzabile sintesi del mondo del rock, almeno di quello heavy. Per restare in ambito musicale, restano da ricordare, in un esuberante cameo come dee-jay, Henry Rollins, cantante rock prestato quasi definitivamente al cinema, e il mago del techno-pop (e altro ancora) Moby, nel ruolo del leader del gruppo heavy "Secretaries of Steak", assolutamente e ironicamente in contro tendenza con l’immagine ufficiale dell’artista.

La presenza di Malcom McDowell
Un altro punto a favore del film è la presenza di Malcolm McDowell nella parte del cacciatore di vampiri: pienamente conscio del carattere ironico-sarcastico del suo ruolo, McDowell, benda nera su un occhio, si cala nella parte con considerevole aplomb, senza prendersi sul serio ma dando efficacia alle scene in cui compare. Curiosamente, Malcolm McDowell appare anche da giovane in un flashback realizzato utilizzando, con opportuno e sapiente montaggio, alcune scene tratte da O Lucky Man!, capolavoro colpevolmente dimenticato di Lindsay Anderson. Vedere quelle poche immagini ci ricorda la poliedricità di un attore come McDowell, comodamente ambientato nella sua odierna nicchia da caratterista ma capace di interpretazioni da protagonista di notevole spessore, anche al di là di Arancia meccanica. Discreto anche il cast principale, con buone interpretazioni in particolare di Chris Ratz e di Jessica Paré. Meno significativa la presenza di Dimitri Coats che non riesce a dare spessore alla parte del vampiro capo.
La colonna sonora è compilata con cura e attenzione: accanto a brani originali (non travolgenti) si sentono anche cose curiose come una versione di David Bowie di "Here Comes the Night", classico hit dei "Them" di Van Morrison e altre cose molto appropriate come la scatenata "T.V. Eye" di Iggy Pop, usata con notevole efficacia in un paio di momenti. Nonostante tutte queste cose positive, il film alla fine non riesce però a superare del tutto i limiti di una trama scontata e senza svolte significativamente originali. La metafora del sogno rock che si trasforma in incubo per la grettezza e l’avidità, con i musicisti che finiscono per cibarsi dei propri fans, non è né nuova né sufficiente a sorreggere la storia; e l’ironia non sempre basta a riscattare tutto.

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