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Sherlock Holmes fra playstation e fumetto

Nel nuovo film di Guy Ritchie con Robert Downey jr. e Jude Law.
di Pino Farinotti

Non solo un detective
Robert Downey Jr. (Robert Downey) (59 anni) 4 aprile 1965, New York City (New York - USA) - Ariete. Interpreta Sherlock Holmes nel film di Guy Ritchie Sherlock Holmes.

lunedì 28 dicembre 2009 - Focus

Non solo un detective
Dalle prime sequenze ti sembra di essere in un film-zibaldone che punta a fare grandi incassi, dunque punta al pubblico giovane. Poi c'è Sherlock Holmes-Robert Downey jr.. Holmes non è solo un detective o un personaggio, è una cultura potente e trasversale che abbraccia l'ultima parte dell' ottocento, attraversa il novecento e... continua. Una chimica nella memoria, che puoi trattare, contaminare, rivisitare, ma che sempre resiste. Nel film di Ritchie trovi tutto a cominciare dalla ricostruzione vittoriana decadente, quella vicina alla Holmes originale: ombre lunghe della notte londinese, il porto delle nebbie (di Londra non di Brest) i laboratori con spirali di vetro e soluzioni chimiche rudimentali di allora, il popolo dei reietti che si rintana nelle fogne all'alba perché sta per levarsi un'ombra di sole pericoloso. E poi il gotico. E poi... Steven Seagal, Chuck Norris, Michael Craig (sì, loro) e poi la velocità connaturata del karate del kung fu, del boxing, e relativo sapore di mission impossible, e anche di Jack Sparrow, e poi sapore, immancabile, di playstation e di fumetto (Lionel Wigram). Può l'Holmes dei romanzi di Conan Doyle sopravvivere a tutto questo? Certo che può, per due ragioni. La prima è che Holmes sopravvive a tutto. La seconda che trattasi di ottima evasione. Ottima e furba, applicante la formula a volte imperfetta, ma efficace, per stile e botteghino, di Ritchie e degli sceneggiatori, da nominare, Mike Johnson e Anthony Peckham. Il regista gioca su alcuni codici, certo rivisitandoli, che sono certamente alla Doyle: l'occulto, la magia nera e "pratica" (lo dicono nel film), la fantasy, il mistero, le messe nere; e poi il "fascinans, il mirum e il tremedum", per dirlo alla Rudolf Otto, che sono ingredienti irresistibili di quella categoria di storie.

Contaminatio
Interessante la contaminatio di una delle prime sequenze, dove il regista applica il sistema deduttivo di Holmes a un incontro che dovrebbe essere a pugni nudi ma è di tutte le arti marziali dette sopra. Sherlock, al rallenty studia i punti deboli dell'avversario: il plesso solare già compromesso, una zona di costole incrinate, la mascella delicata, il punto focale della nuca. E poi in ripresa accelerata porta i colpi. In realtà nella fase action c'è pochissimo di compassato, di "inglese" e di "Holmes". Ma è utile artificio, appunto. E poi il cattivo. Solo alla fine del film arriva il riferimento indispensabile all'antagonista storico, e altrettanto geniale del detective di Baker Street, il dottor Moriarty. Ma sembra più un trucco per un sequel. L'antagonista, personificazione del male assoluto, dell'episodio è tale baronetto Blackwood, interpretato da Mark Strong che è, in modo davvero inverecondo, il sosia di Basyl Rathbone, lo Sherlock assoluto, colui che gli diede corpo e volto in un serial perfetto fra gli anni trenta e quaranta. Blackvood vuole dominare il mondo, solo che si scontra con qualcuno che possiede un ego addirittura superiore al suo, e che si diverte a neutralizzare i titolari di quel complesso napoleonico. Tutto questo non sarebbe dispiaciuto a Conan Doyle, che certo era un baronetto vittoriano, ma con grande passione per il nuovo, la ricerca e il mistero.

Perspicace
Il dottor Watson-Law è omologo di Holmes-Downey. Certo più svelto e perspicace del Watson amico di Rathbone, quello storico, il simpatico e maldestro Nigel Bruce. Anche Watson-Law se la cava con le arti marziali. Nel film ha una fidanzata e questa è un'anomalia, ma ce l'ha anche Holmes, ed è un'anomalia ancora più grande, perché il detective cartaceo non aveva rapporti con donne, rapporti privati s'intende. Nella sequenza del combattimento a mani nude, dopo che Holmes si è sbarazzato dell'avversario, afferra una bottiglia e toglie il tappo coi denti. Ecco, questa caduta di stile sir Arthur Conan Doyle certamente non l'avrebbe lasciata passare.

Prima londinese
Lo scorso anno, dopo la prima londinese del film scrissi un pezzo del quale ripropongo uno stralcio. A integrare. "... Anche se il baronetto Conan Doyle, non era così innamorato della sua creatura Sherlock Homes, ne era tuttavia geloso. Il detective lo aveva fatto diventare popolare e ricco ma lo aveva anche fagocitato. Doyle scrisse libri di ottima qualità letteraria, racconti di fantasy che facevano testo e romanzi storici che i critici di allora giudicavano secondi solo all'Ivanhoe del gigante Walter Scott, altro baronetto. Tuttavia il suo nome era impietosamente legato a quello del compassato detective londinese. Holmes nasceva con un'identità così forte e precisa che pareva davvero impossibile attribuirgli delle evoluzioni o delle licenze. Identità forte e precisa significava anche farlo esistere al di là del racconto. Holmes era uscito dalle pagine, e diventato talmente vivo che finì davvero per abitare la casa al numero 221 B di Baker Street. Quando lo scrittore scelse quell'appartamento in quella via, si preoccupò di indicare un numero che non esisteva – i numeri civici arrivavano fino al 100-. In un riordino successivo il 221 B fu introdotto. Divenne sede di una società immobiliare, la Abbey Road Building, che si vide invasa dalla corrispondenza inviata a chi... non esisteva. Tuttavia la società la prese bene, all'inglese, anzi, cavalcò la vicenda ricavandone una pubblicità gratuita certamente efficace. Così nel 1999 per... riconoscenza sponsorizzò la statua di Sherlock Holmes nella stazione della metropolitana di Baker Street. Ma non basta, diciotto numeri più avanti, al 239, esiste il museo Sherlock Holmes che riproduce esattamente la casa del detective così come l'aveva immaginata l'autore. Tutti elementi che dovrebbero determinare la purissima immagine inglese di Holmes mettendolo al riparo da tentazioni revisionistiche. In sostanza avrebbe dovuto avere abbastanza crediti e franchigia per meritare rispetto. Invece no, come detto sopra. In principio, proprio in principio –si parte dagli anni dieci, col muto- Sherlock cominciò ad essere rappresentato secondo tradizione, cioè secondo i codici ben conosciuti: la pipa, il cappello, il mantello, il violino eccetera. Si tratta di film di diverse lunghezze, tedeschi, americani, danesi, francesi, naturalmente inglesi. Successivamente sono stati decine gli attori che hanno dato corpo e volto al detective. Comanda Basil Rathbone, perfetto. Come se Doyle lo avesse davvero conosciuto e si fosse ispirato a lui. La Universal applicò a Rathbone le sue brave contaminazioni, ma sono solo licenze quasi dovute. Holmes-Rathbone nasce nel '39, c'è la guerra, e un modello così forte e popolare non può non esservi applicato. Ma è solo un fatto estetico, relativo a certi episodi: non più carrozze ma automobili, non più case basse ma la Londra moderna. Per il resto Holmes mantiene le sue abitudini i suoi riti e i suoi tic, soprattutto i suoi metodi. E mantiene un altro carattere classico, il suo amico dottor Watson interpretato da Nigel Bruce. I film furono 14, perfetti come il detective e il medico. Dopo il modello Rathbone è accaduto di tutto. Nel quadro del mantenimento della tradizione e in quello opposto dell'evoluzione. Grandi attori sono stati impiegati, da Roger Moore a Christopher Lee, a Peter O'Toole a Charlton Heston, solo ricordandone alcuni. C'è stato il solito tentativo di ribaltamento in Senza indizio, dove l'idiota è Holmes (Michael Caine) e l'intelligente è Watson (Ben Kingsley). Disney si è ispirato a Holmes per Basil l'investigatopo. Anche la fantascienza non ha risparmiato il detective: nella serie Star trek l'androide Data impersona proprio Sherlock. Povero baronetto, se avesse saputo.

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