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Horror Frames: Patto di sangue e gli horror studenteschi

Le congreghe studentesche tra omicidi seriali e patti di sangue.
di Rudy Salvagnini

La fedeltà come mezzo per coprire un delitto
Briana Evigan (37 anni) 23 ottobre 1986, Los Angeles (California - USA) - Scorpione. Interpreta Cassidy nel film di Stewart Hendler Patto di sangue.

martedì 27 aprile 2010 - News

La fedeltà come mezzo per coprire un delitto
Gli studenti e soprattutto quella strana (per noi) forma di associazione che sono le congregazioni studentesche americane - con i loro riti di iniziazione, le loro ferree regole e i vincoli gerarchici che favoriscono l’omertà e la protervia - hanno sempre costituito un terreno fertile per gli horror. Non c’è nulla come un obbligo di fedeltà a garantire la copertura dei delitti e a provocare vendette di ogni tipo e non c’è nulla come la goliardia deviata di queste congregazioni (nei film, almeno) a favorire la creazione di situazioni pericolose e di sopraffazione.
In questo filone, un regista che si è distinto in modo particolare per quantità, se non per qualità, è David DeCoteau che con la serie di The Brotherhood (sei episodi, al momento, a partire da Stirpe di sangue del 2000) ha sguazzato in mezzo a patti segreti tra studenti, confraternite e omicidi seriali. Ma non si è limitato alle associazioni maschili: il suo Tragica notte al bowling (1988) parte con il rito di iniziazione di una “sorellanza” e Giovani vampire (2004), con la veterana (di Re-Animator e della soap Beautiful) Barbara Crampton, approfondisce ancor più il tema. Ma sono innumerevoli le pellicole horror incentrate sugli eccessi degli studenti universitari al college. Talvolta si tratta di film truci, ma più spesso sono consistenti anche i risvolti da commedia, soprattutto nella descrizione degli intrecci sentimentali e della vita quotidiana degli studenti fuori sede. Tra i titoli si possono ricordare, alla rinfusa, Scuola di zombi (1987), Shakma la scimmia che uccide (1990), Urban Legend (1998) e Vamp (1986), ma l’elenco potrebbe proseguire a lungo.
Tra i tanti film, uno dei più rappresentativi è Non entrate in quel collegio (1983) di Mark Rosman, che ambienta in un’austera Sorority House la storia di un pesante scherzo andato a male e delle terribili conseguenze che ne nascono. Proprio quel film è stato recente oggetto di un remake, Patto di sangue, la cui storia parte da una premessa analoga a quella del film di Rosman per svilupparsi poi in modo sufficientemente autonomo.
Durante una festa selvaggia in una Sorority House, cinque ragazze dell’associazione Theta Pi sembrano organizzare uno scherzo pesante ai danni di una sesta appartenente all’associazione, Megan, fornendo al suo fidanzato Garrett delle pillole per farla dormire, permettendo a lui di approfittarne e a loro di filmare la scena all’insaputa di entrambi allo scopo di farli finire su YouTube. Qualcosa va storto: Megan vomita e sembra soffocare. Ma è uno scherzo per mettere nel panico Garrett. Le ragazze sono infatti tutte d’accordo e salgono in macchina verso l’ospedale con il ragazzo che, disperato, crede che la sua fidanzata stia morendo. Durante il viaggio, Megan “muore” e Garrett si lascia convincere dalle altre ragazze a disfarsi del “cadavere” in un luogo solitario. Solo che Garrett ci è cascato così tanto da trapassare Megan con un attrezzo metallico per toglierle l’aria dai polmoni e poterla così gettare in acqua senza che riaffiori. Il risultato è che Megan muore sul serio. Di fronte al misfatto, le ragazze - che sanno di essere responsabili quanto Garrett - discutono e alla fine, nonostante la forte contrarietà di una di loro, decidono di liberarsi del cadavere e far finta di niente. Otto mesi dopo, tutto è pronto per la grande festa finale alla Sorority House. Le ragazze si sono laureate e non vedono l’ora di divertirsi, ma qualcosa comincia a turbarle: l’arrivo di Maggie, sorella minore di Megan, e strani messaggi al telefonino. Poi cominciano i delitti.

Una struttura tipica
Struttura della storia e ambientazione rimangono quelle tipiche. Gli ingredienti, anche: una forzata vivacità, un pizzico di innocuo erotismo, una buona dose di amoralità e una pittoresca serie di omicidi. La premessa di partenza - con la creazione di un legame indissolubile basato sul senso di colpa - è comune a molti horror giovanili (So cosa hai fatto, per fare solo un esempio) e fornisce una sorta di ulteriore peccato originale che giustifica in qualche modo la violenza e distanzia lo spettatore dai personaggi, presentati come meritevoli del loro destino infausto. Con almeno un’eccezione, ovviamente, per dare al film un punto di vista condivisibile, un personaggio per cui tenere.
La figura del killer è quella tipica dello slasher: usa armi taglienti e indossa una tunica nera con cappuccio rendendosi irriconoscibile. Alcuni dei delitti hanno quel quantum di bizzarria necessario in questi casi (su tutti, quello che fa un uso improprio di una bottiglia), ma non ci sono particolari vette di fantasia. La gestione del racconto cerca di enfatizzare gli snodi narrativi per creare un po’ di suspense, ma l’effetto è raggiunto solo in parte. Anche perché, come al solito, i comportamenti delle ragazze e dei ragazzi nel mirino del killer difettano di logica al punto da renderli delle vittime sacrificali congenite. La caratterizzazione psicologica è a una sola dimensione, quel tanto che basta a distinguere i personaggi tra loro.
Gli elementi introdotti sono però sufficienti a lasciare qualche dubbio sull’identità di chi sta uccidendo e questo mantiene un po’ desto l’interesse, almeno fino alla soluzione finale che, come avviene fin troppo spesso, non è un modello di logica. Stewart Hendler - già autore di Il respiro del diavolo - dirige con una certa convinzione, ma, nonostante una confezione adeguata, il risultato non eguaglia quello di Non entrate in quel collegio, che almeno aveva qualche relativo guizzo di novità. La vuotezza degli esempi, dei modelli cui aspirano le ragazze e gli universitari in genere rappresentati in questo e in altri film del filone potrebbe essere vista come una velata critica al sistema educativo americano, ma è più probabile che si tratti di un effetto collaterale involontario della raffigurazione di ragazzi cool e rampanti.
La signora Crenshaw, proprietaria della Sorority House, è interpretata da Carrie Fisher, lontana dai fasti di Guerre stellari, ma in grado di fornire un’adeguata caratterizzazione.

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