maria cristina nascosi sandri
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sabato 21 gennaio 2017
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non l'ha riconosciuta, perché non l'ha mai vista..
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Rec. di Maria Cristina Nascosi Sandri -
"Possiamo esser amici o anche tutto quello che vogliamo" e "Tutte le famiglie felici si somigliano, ma quelle infelici lo sono ciascuna a modo proprio".
Ecco in tre battute, la prima al titolo, e queste ultime, si può 'risolvere' un film bellissimo del 2009, Le Hérisson, tradotto in Il riccio, primo lungometraggio di Mona Achache, giovane regista francese che ha voluto trarre la sua pellicola d'esordio dal best-seller di tre anni prima di Muriel Barbery, una romanziera béur - francese, ma nata in Marocco - che non ha mai accettato il lavoro della Achache.
Un vero peccato! Il film è delicato, gentile, elegante - giusto per fare il verso al titolo dell'opera letteraria: per la recitazione, in primis, di Josiane Balasko, sempre più brava, della freschissima ed accattivante Garance Le Guillermic, del raffinato Togo Igawa, tre personaggi improbabili nel rapporto tra loro, eppure così veri, gli unici 'veri' in un mondo di banalità, finzione, superficialità dove il guardare e l'esser guardati è più importante del 'vedere'.
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Rec. di Maria Cristina Nascosi Sandri -
"Possiamo esser amici o anche tutto quello che vogliamo" e "Tutte le famiglie felici si somigliano, ma quelle infelici lo sono ciascuna a modo proprio".
Ecco in tre battute, la prima al titolo, e queste ultime, si può 'risolvere' un film bellissimo del 2009, Le Hérisson, tradotto in Il riccio, primo lungometraggio di Mona Achache, giovane regista francese che ha voluto trarre la sua pellicola d'esordio dal best-seller di tre anni prima di Muriel Barbery, una romanziera béur - francese, ma nata in Marocco - che non ha mai accettato il lavoro della Achache.
Un vero peccato! Il film è delicato, gentile, elegante - giusto per fare il verso al titolo dell'opera letteraria: per la recitazione, in primis, di Josiane Balasko, sempre più brava, della freschissima ed accattivante Garance Le Guillermic, del raffinato Togo Igawa, tre personaggi improbabili nel rapporto tra loro, eppure così veri, gli unici 'veri' in un mondo di banalità, finzione, superficialità dove il guardare e l'esser guardati è più importante del 'vedere'.
Un film, invece, proprio da vedere, rivedere magari, per capire, almeno un po', the meaning of the life, il senso della vita...
Elegante e discreta, come sempre, quanto mai colonna sonora, non invadenza o sovrapposizione d'accompagnamento, la bella musica dell'eccellente franco-libanese Gabriel Yared.
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rescart
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sabato 22 ottobre 2016
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cronaca di una tragedia annunciata
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Paloma ha dodici anni e trama per sé la dolce morte al compimento del tredicesimo perché è convinta che questo sia l’unico modo per sfuggire a un destino esistenziale che vede realizzato nella sorella maggiore. Questa infatti ha un pesce rosso in una bolla d’acqua a cui tiene tanto forse proprio perché si identifica in lui, nel suo destino, al quale invece la sorella minore vuole sfuggire a qualunque costo. Anche quello di non vedere mai più le persone care. Nel frattempo cerca intorno a sé altre persone con cui legarsi affettivamente: un nuovo inquilino giapponese del suo condominio e la concierge Renée, che per lei rappresenta il riccio, l’animale più amato. Quello che nessuno ha mai addomestico e proprio per questo nasconde secondo lei un tesoro di attenzioni e profondità inespresse rappresentate dalla biblioteca nascosta usata dalla portinaia come il nascondiglio del riccio.
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Paloma ha dodici anni e trama per sé la dolce morte al compimento del tredicesimo perché è convinta che questo sia l’unico modo per sfuggire a un destino esistenziale che vede realizzato nella sorella maggiore. Questa infatti ha un pesce rosso in una bolla d’acqua a cui tiene tanto forse proprio perché si identifica in lui, nel suo destino, al quale invece la sorella minore vuole sfuggire a qualunque costo. Anche quello di non vedere mai più le persone care. Nel frattempo cerca intorno a sé altre persone con cui legarsi affettivamente: un nuovo inquilino giapponese del suo condominio e la concierge Renée, che per lei rappresenta il riccio, l’animale più amato. Quello che nessuno ha mai addomestico e proprio per questo nasconde secondo lei un tesoro di attenzioni e profondità inespresse rappresentate dalla biblioteca nascosta usata dalla portinaia come il nascondiglio del riccio. La famiglia di Paloma rappresenta per lei la quintessenza dello squallore borghese parigino, quello al quale tutti anelano (o anelavano prima degli attentati jihadisti) vedendone dall’esterno solo la patina splendente. Invece vista dall’interno l’alta borghesia francese appare alla pulzella parigina solo un’ombra sbiadita di quanto l’altra più nota pulzella d’Orléans presagiva per il suo popolo. La sua vocazione artistica non le impedisce infatti di dipingere un quadro a tinte fosche del futuro che l’aspetta e munita di un’obsoleta telecamera che fa video sgranati mostra da dietro le quinte la realtà del mondo che la circonda. In questo tessuto della trama narrativa, liberamente ispirato al bestseller di Muriel Barbery, Paloma sembra ormai assurgere a capro espiatorio, anche se qualche speranza viene accesa negli spettatori dal fatto che il pesciolino rosso, su cui ella sperimenta l’effetto del barbiturico con cui intende fare eutanasia, sopravvive dopo una morte apparente indotta dall’ingestione di un’intera pastiglia. La vera tragedia così non è la morte in sé, ma quella vissuta dalla signora anziana che deve cercarsi un’altra cameriera per lo sgarbo che le fa il giapponese rubandogliela con la trovata di offrirle quattro euro in più di paga oraria. Errore fatale questo del nuovo inquilino orientale del palazzo di cui madame Renèe è portinaia, forse commesso per un calcolo soggettivo del potere d’acquisto dell’euro rispetto allo yen, perché da quell’errore discenderà poi la tragedia finale, la morte del riccio, in un crescendo di sensi di colpa. Infatti a schiacciare col suo furgone Renèe è la titolare della tintoria che aveva bacchetta la concierge per averle riportato gravemente imbrattato un vestito elegante preso illegittimamente a prestito su consiglio della cameriera infedele. Si conclude così il ciclo dei sensi di colpa, lasciando la lavandaia col cerino in mano e lo spettatore con la sensazione che la regista (non saprei l’autrice del libro) si sia ispirata non tanto a Tolstoj per il suo nome o quello dei personaggi dei suoi romanzi, che diventano qui nomi di gatti, e neanche per la ripetuta più volte citazione tratta da “Anna Karenina” – “tutte le famiglie felici si assomigliano, quelle infelici lo sono ciascuna a modo suo” – ma per la trama di “Delitto e castigo” di Dostoevskij.
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great steven
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lunedì 11 agosto 2014
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debutto con uno straordinario tris di protagonisti
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IL RICCIO (FR, 2009) diretto da MONA ACHECHE. Interpretato da JOSIANE BALASKO – GARANCE LE GUILLERMIC – TOGO IGAWA – ARIANE ASCARIDE – ANNE BROCHET § Renée, portinaia introversa e scontrosa di un elegante palazzo parigino, è una donna colta, appassionata degli amanti di Tolstoj e delle sorelle Munekata di Ozu. Ha cinquantaquattro anni, un gatto e un segreto doloroso mai rivelato. L’arrivo di monsieur Kakuro Ozu, elegante, raffinato e ricco giapponese dal cuore nobile, e la disarmante intelligenza di Paloma, figlia undicenne di genitori ottusi estremamente matura per la sua tenera età e con tendenze suicide, eluderanno le spine e scopriranno “l’eleganza del riccio”.
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IL RICCIO (FR, 2009) diretto da MONA ACHECHE. Interpretato da JOSIANE BALASKO – GARANCE LE GUILLERMIC – TOGO IGAWA – ARIANE ASCARIDE – ANNE BROCHET § Renée, portinaia introversa e scontrosa di un elegante palazzo parigino, è una donna colta, appassionata degli amanti di Tolstoj e delle sorelle Munekata di Ozu. Ha cinquantaquattro anni, un gatto e un segreto doloroso mai rivelato. L’arrivo di monsieur Kakuro Ozu, elegante, raffinato e ricco giapponese dal cuore nobile, e la disarmante intelligenza di Paloma, figlia undicenne di genitori ottusi estremamente matura per la sua tenera età e con tendenze suicide, eluderanno le spine e scopriranno “l’eleganza del riccio”. Allo stesso modo, la guardiola di Renée diventerà per Kakuro e Paloma un luogo di sospensione e altrove in cui riparare e pescare “un sempre nel mai”. Perde “l’eleganza” nel titolo e diventa un film il caso letterario del 2007, che vanta ristampe, premi letterari e centinaia di migliaia di copie vendute. Il riccio, della debuttante Mona Achache che sfida l’immaginario dei lettori, incarnando sullo schermo i personaggi letterari di Muriel Barbery e il suo racconto intimo, chiuso in un condominio e in atmosfere di acceso lirismo. La generosità narrativa dell’autrice cede il passo nella pellicola a una sorta di diario intrinseco analogo a quello redatto dalla Paloma letteraria e mutuato in immagini attraverso l’impiego ossessivo e ripetuto di una vecchia videocamera che filma tutte le immagini domestiche, dalla sorella irritabile al pesce rosso che finisce nel gabinetto, dal padre assente che rincasa dal lavoro alla madre scialba impegnata in compiti culinari. Diretto da una regista esordiente non ancora trentenne che ha adattato il fortunato best-seller pubblicato nel 2004, questo film è uscito in Italia fra le onde di una polemica della sopravvalutata autrice che l’ha accusato di tradimento. L’opera, però, migliora il romanzo, lo asciuga, è più compatto e scorrevole. Benché un po’ rozza nella regia, la giovane Achache tira discretamente a campare. Gli dà l’acqua della vita l’ispida Balasko, che sa rendere la sua portinaia indolente, risolutamente solitaria e terribilmente elegante. Attrice attiva e assidua dal 1973, guidata da registi di enorme successo commerciale ma anche da autori (Polanski, Leconte, Berri, Téchiné, Hubert), ha scritto, diretto e interpretato quattro film di cui in Italia fu distribuito soltanto Peccato che sia femmina. Ma anche le interpretazioni di Igawa e della piccola Le Guillermic valgono il prezzo del biglietto e impreziosiscono il film di una coppia assorta, ben congegnata e diligente: il giapponese rappresenta con onore e orgoglio patriottico un signore molto ben distinto, che ama la cucina del suo paese e legge scorrevolmente i romanzi russi, pur amando anche il gioco degli scacchi e il cinema della sua nazione nativa, mentre la giovane francese si staglia sullo sfondo nitido e tutt’altro che opaco della scenografia per un’intelligenza sopraffina, un acume sublime e tutto sommato anche una tenerezza ingarbugliata eppure emergente e presente in tutte le sue manifestazioni d’affetto che rimangono sempre sotto le righe. Gli altri personaggi rimangono purtroppo in ombra e non hanno grosse occasioni di esprimersi al meglio delle loro potenzialità, ma il trio dei protagonisti è eccellente nell’offrire la bellezza della proiezione in sala di un’opera prima che fa parlare di sé per una squisita leggiadria, un distinto senso della morte e della sopravvivenza, un’accurata dissertazione sulle sensazioni umane più nascoste e velate e infine per una tradizionale esposizione delle musiche e della colonna sonora che nei film francesi più o meno di ogni epoca raffigura un elemento silenzioso ma pur sempre indispensabile, che innesca emozioni a catena per la sua semplicità maestosa.
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puzzailsignorvincenzo
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martedì 9 ottobre 2012
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noiosetto
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Molto lento e un pò pretestuoso e noiosetto, forse è un film sopravvalutato, mi ha ricordato un pò La solitudine dei numeri primi.
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annu83
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giovedì 29 marzo 2012
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il riccio... chiuso
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Il caso letterario del 2007 lascia spazio alla sua versione cinematografica taggata 2010, e il risultato è un'involuzione stilistica e narrativa da far accapponare la pelle. Molte le discrepanze e i fattori di delusione per il povero spettatore.
Qualcuno si sarebbe anche aspettato un film bello, sciolto, divertente, piacevole e argutamente leggero, e invece si ritrova una pellicola opaca, normale, anzi, mortalmente e noiosamente normale, sciatta e patetica, resa indegna da una regia approssimativa e da interpretazioni forzate e che troppo spesso appaiono casuali. Sullo sfondo una storia sussurrata e inverosimile, con dialoghi inutilmente tronchi e inspiegabilmente incomprensibili (e incomprensibilmente inspiegabili) per chi non ha l'infarinatura del libro.
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Il caso letterario del 2007 lascia spazio alla sua versione cinematografica taggata 2010, e il risultato è un'involuzione stilistica e narrativa da far accapponare la pelle. Molte le discrepanze e i fattori di delusione per il povero spettatore.
Qualcuno si sarebbe anche aspettato un film bello, sciolto, divertente, piacevole e argutamente leggero, e invece si ritrova una pellicola opaca, normale, anzi, mortalmente e noiosamente normale, sciatta e patetica, resa indegna da una regia approssimativa e da interpretazioni forzate e che troppo spesso appaiono casuali. Sullo sfondo una storia sussurrata e inverosimile, con dialoghi inutilmente tronchi e inspiegabilmente incomprensibili (e incomprensibilmente inspiegabili) per chi non ha l'infarinatura del libro.
Personaggi descritti con trascuratezza, parziali e manchevolmente povere citazioni letterarie e linguistiche, un finale à la bell'e meglio, buttato lì con una rapidità indicibilmente triste.
Il film si presenta come una seguenza di immagini, privo di un progetto (che non era così complicato, visto che si rifà a un libro), privo di uno sviluppo, privo di ironia, privo di dialoghi interessanti. A proposito: dove hanno spedito tutta l'ironia di cui era intrisa l'opera letteraria a cui si dichiara far riferimento? Dov'è il progetto, ben più grande di quel che viene descritto nel film, della piccola Paloma? Dov'è la visione arguta, cinica e ironica della vita, vista da occhi di bambina e di donna?
A un certo punto del film viene normale benedire l'autrice del libro, che si è palesemente e brutalmente dissociata dal film, chiedendo addirittura che questo non venisse accostato alla sua creatura.
Unica nota semipositiva, se proprio dobbiamo trovare qualcosa di salvabile dentro all'insalvabile, è quella vocina fuori campo della piccola Paloma, ragazzina dalle grandi capacità (che nel film ovviamente non emergono, se non per una semplice e frivola conoscenza di un giochino cinese, e per qualche piccolo dialogo in giapponese), che scandisce il ritmo della storia, decide le sorti dei personaggi e mette in moto quel pochissimo di fantasia che il film ispira.
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ilconterik
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martedì 28 giugno 2011
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un film diversamente elegante
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Il riccio non vanta una trama particolarmente brillante. La struttura è semplice, in parte forse prevedibile, e l’intreccio in sè non è particolarmente coinvolgente. I personaggi invece sono splendidi. Interpretati divinamente, realistici e credibili nella loro psicologia e nella loro rappresentazione su cellulosa.
Possiamo dunque ascrivere questo film alla categoria low concept, cioè a quel genere di pellicole che non punta su una trama intensa e piena d’azione, ma si concentra sulla profondità e sullo sviluppo dei personaggi.
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Il riccio non vanta una trama particolarmente brillante. La struttura è semplice, in parte forse prevedibile, e l’intreccio in sè non è particolarmente coinvolgente. I personaggi invece sono splendidi. Interpretati divinamente, realistici e credibili nella loro psicologia e nella loro rappresentazione su cellulosa.
Possiamo dunque ascrivere questo film alla categoria low concept, cioè a quel genere di pellicole che non punta su una trama intensa e piena d’azione, ma si concentra sulla profondità e sullo sviluppo dei personaggi. In parole povere, quel genere di film che se non sono sceneggiati a regola d’arte diventano inesorabili portatori di sbadigli.
Per fortuna, se siete familiari al genere, non è questo il caso de Il riccio. Se si esclude il primo quarto d’ora non si trovano mai inquadrature più lunghe del dovuto e non ci vorrà troppo tempo perchè i personaggi catturino la vostra attenzione.
Paloma (Garance Le Guillermic): è una bamina bizzarra, molto intelligente per la sua età (e in ogni caso più intelligente degli altri componenti della sua famiglia). E’ appassionata di disegno e ha l’abitudine di riprendere con la videocamera la strana giungla di persone che si aggirano nei suoi territori, arrecandole disturbo. E’ ossessionata dal bisogno di scoprire cosa sia la morte: non ne ha paura, crede anzi che sia ben diversa da come viene comunemente dipinta. Per questo sta cercando un modo elegante per farla finita.
Renée (Josiane Balasko): è la portinaia del condominio in cui vive Paloma e fa del suo meglio per rientrare nello stereotipo della “portinaia di condominio”, in modo da vivere il più possibile nell’anonimato e nell’indifferenza altrui. Non perchè realmente la desideri, ma dato che in ogni caso quello è il ruolo in cui la società la relega, è bene che gli altri la ignorino del tutto, così che lei possa vivere in santa pace nel suo microscopico alloggio con un grasso gatto sulle ginocchia. E’ di fatto il riccio della storia. Tenta di essere sgradevole nell’aspetto e nel carattere (tanto che non è mai stata in vita sua da una parrucchiera), ma cela dentro di sè un’eleganza e una cultura insospettabili: nessuno (gatto escluso) è mai entrato nel vano più nascosto del suo alloggio, in cui alberga la sua preziosissima e fornitissima biblioteca personale.
Kakuro Ozu (Togo Igawa): viene dal giappone ed è il nuovo padrone dello stabile, nonchè nuovo vicino di casa di Paloma. Insieme alla piccola, è l’unico che è riuscito a scorgere la vera Renèe dietro la folta coltre di aculei con cui si protegge. E’ un uomo elegante, di grande gentilezza e cortesia. Riveste un ruolo quasi idealizzato: è semplice, dolce e amichevole. E’ l’antitesi della borghesia parigina, elitaria e allo stesso tempo ottusa e volgare nel suo ostentare una superiorità intellettuale del tutto inesistente. In qualche modo sembra essere la “versione positiva” dell’uomo abbiente.
Gli attori interpretano le loro parti con grande efficacia, dal primo all’ultimo, con una particolare menzione per la giovane Garance Le Guillermic, che nonostante la sua età riesce a dar vita ad un personaggio complesso ed introverso.
Muriel Barbery, l’autrice del libro “L’eleganza del riccio” da cui il film è tratto, ha subito sottolineato (con toni poco garbati) che il film non rispecchia affatto il suo romanzo. Anche alcuni lettori lamentano il fatto che i personaggi fossero molto meglio caratterizzati nella versione cartacea della storia. In questo caso, temo che sia l’autrice sia i lettori non comprendano appieno che cosa significhi fare un adattamento cinematografico di un romanzo. Cinematografia e scrittura adottano linguaggi specifici che, sebbene abbiano alcuni punti di contatto, in alcuni caso viaggiano su binari contrapposti. La sceneggiatura ha delle particolari esigenze visive, che nel caso di storie come questa poco si adattano ai codici utilizzati in letteratura. Se così non fosse il film risulterebbe didascalico, tremendamente lungo e noioso. Inoltre, ciò che viene presentato nell’adattamento non può che essere il racconto filtrato dalla percezione soggetiva dello sceneggiatore (tralasciando il fatto che naturalmente sia per il libro che per il film, il tutto viene ulteriormente soggettivizzato dal lettore/spettaotore).
Al di là di questi aspetti, forse fin troppo relativistici, a me il film è piaciuto e spero che possa piacere anche a voi. Semplice e delicato, senza osare troppo, risulta piacevole alla visione. Il libro non l’ho letto ma mi sembra che i maligni sbaglino quando sostengono che, come suggerito dal titolo, il riccio in immagini abbia perso la sua eleganza. Al massimo lo definirei diversamente elegante.
Si attendono commenti da parte di chi il libro l’ha letto!
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nick castle
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sabato 22 gennaio 2011
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stupendo!
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Unico e stupendo, un capolavoro. Mona Achache adatta per il grandissimo schermo un romanzo a quanto dicono abbastanza ordinario, modificandone alcuni aspetti in meglio (nel libro Paloma ripone i suoi pensieri in un diario, nel film usa una videocamera per filmare se stessa e gli altri) e mettendo in scena la storia con originalità, aiutata da un elegante fotografia e dalle calde musiche di Gabriel Yared. Mona, facendo tesoro di film come "Sesso, bugie e videotape" e "American beauty", riesce a unire due visioni, quella dello spettatore (in pellicola 35 mm) e quella della giovane-graziosissima protagonista (in video analogico Hi8, sgranatissimo), mantenendo un controllo formale tipico della pellicola anche sulle riprese in video, dove altri con meno arguzia, avrebbero dato vita a pasticci pseudo-sperimentali.
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Unico e stupendo, un capolavoro. Mona Achache adatta per il grandissimo schermo un romanzo a quanto dicono abbastanza ordinario, modificandone alcuni aspetti in meglio (nel libro Paloma ripone i suoi pensieri in un diario, nel film usa una videocamera per filmare se stessa e gli altri) e mettendo in scena la storia con originalità, aiutata da un elegante fotografia e dalle calde musiche di Gabriel Yared. Mona, facendo tesoro di film come "Sesso, bugie e videotape" e "American beauty", riesce a unire due visioni, quella dello spettatore (in pellicola 35 mm) e quella della giovane-graziosissima protagonista (in video analogico Hi8, sgranatissimo), mantenendo un controllo formale tipico della pellicola anche sulle riprese in video, dove altri con meno arguzia, avrebbero dato vita a pasticci pseudo-sperimentali. Un esordio ottimo, che di meglio non ci si potrebbe aspettare. La piccola Garance Le Guillermic meriterebbe un premio Oscar, così come la regista e il compostire Yared. Il più bel film francese degli ultimi tempi.
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gianni1945
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domenica 16 gennaio 2011
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vivi nascosto!
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Mi sembra che la storia abbia molto a che fare con l'esortazione di Epicuro: Vivi nascosto!
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nirvana
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sabato 15 gennaio 2011
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spinoso ed elegante
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Il film è raffinatissimo, la trama si spiega lentamente, accompagnata da una meravigliosa colonna sonora,e scopre e unisce due personaggi accomunati dalla profondità dei loro sentimenti in un mondo ricco freddo e borghese. La similitudine al riccio è bellissima, questo piccolo mammifero che si protegge con le sue spine e si nasconde nella sua tana è la metafora della solitudine della nostra società, ma con un risvolto positivo: sotto le gli aculei si nasconde un essero dolce, elegante e pronto ad amare!
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francesco2
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martedì 11 gennaio 2011
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il film dal riccio non lo voglio, no!
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Non ho letto il libro da cui il film è tratto, anche se ne ho molto sentito parlare e mi è sorta curiosità di farlo. Ciò detto, l’opera vuole raccontare la storia particolare di una ragazzina particolare, che si è proposta una data per porre termine alla sua vita, forse perché annoiata, da buona figlia di intellettuali parigini, forse perché non capisce il senso della morte, forse per entrambi i motivi. Dall’altro lato, bisogna mettere in scena un racconto che abbraccia tre personaggi, le cui relazioni non sempre appaiono chiare ( Renée, per la ragazzina, potrebbe essere una vera madre, per quanto paradossalmente FIGLIA anche della sua intelligenza, che ha contribuito a valorizzarla? E col signore giapponese cosa c’è? Un’amicizia?Ma è plausibile, con un uomo che potrebbe essere tuo padre?) Queste “stranezze" sono l’unica risorsa quando la realtà è piatta e schematica, si nutre e contemporaneamente si svuota perché papà e mammà ospitano gli “Huiles”(Pezzi grossi) della buona borghesia, e il condominio, per quel poco che se ne capisce nel film, suscita invidia per quello dello “Spazio bianco’”).
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Non ho letto il libro da cui il film è tratto, anche se ne ho molto sentito parlare e mi è sorta curiosità di farlo. Ciò detto, l’opera vuole raccontare la storia particolare di una ragazzina particolare, che si è proposta una data per porre termine alla sua vita, forse perché annoiata, da buona figlia di intellettuali parigini, forse perché non capisce il senso della morte, forse per entrambi i motivi. Dall’altro lato, bisogna mettere in scena un racconto che abbraccia tre personaggi, le cui relazioni non sempre appaiono chiare ( Renée, per la ragazzina, potrebbe essere una vera madre, per quanto paradossalmente FIGLIA anche della sua intelligenza, che ha contribuito a valorizzarla? E col signore giapponese cosa c’è? Un’amicizia?Ma è plausibile, con un uomo che potrebbe essere tuo padre?) Queste “stranezze" sono l’unica risorsa quando la realtà è piatta e schematica, si nutre e contemporaneamente si svuota perché papà e mammà ospitano gli “Huiles”(Pezzi grossi) della buona borghesia, e il condominio, per quel poco che se ne capisce nel film, suscita invidia per quello dello “Spazio bianco’”). Un’interpretazione (Veramente?) azzardata: for quando Paloma filma non è solo per REGISTRARE (Come succede, ho letto, nel libro), ma anche per INVENTARE, costruire un film personale, una sorta di piccolo-grande “Le petit Nicolas”, che non è un vero e proprio diario, dato che riflette la snsibilità di un ragazzino. Ma è questo il primo, tragico limite del film: la telecamera di Paloma (Nome spagnolo per una francese, cosa che accresce la sua “Doppia-identità” di ragazzina già-adulta) non cattura nulla ,è un registratore vuoto ed amorfo, come a volte i suoi disegni. Come al cento per cento anodine sono le scene in cui parla la Balasko (Renèe, RINATA, si intitola il suo personaggio, nome che illustra il DURANTE Del film ma non il (Quasi) dopo, cioè la MORTE): servono solo a farci solidarizzare con lei, ma non aggiungono nient’altro, anche se nessuno pretende che una ragazza di ventotto anni somigliasse a Sodersbergh (Il quale, comunque, con “Sesso, bugie e videotape” era un debuttante). In questa retorica sui poveracci incompresi si inseriscono spunti curiosi come la musica giapponese nel bagno, o la storia del pesce (Che alla fine verrà salvato), ma è il co(n)testo in sé che non funziona, data anche la superficialità con cui si analizzano (?)personaggi di contorno come la sorella. Si aggiunga poi il finale ultra –retorico (Renéé, la RINATA, MUORE proprio quando la stavano apprezzando, e la ragazzina che aveva simulato più volte la morte ora la vedrà in faccia.) Ma per favore!........Lei è morta cercando di salvare un tipo che, non si è capito bene perché, stava attraversando la strada, e, sentenzia Paloma, ciò che conta è che lei s ia morta mentre stava facendo del bene. Poi, paradossi del caso, la sua morte si è verificata proprio quando aveva ridato vita proprio al malcapitato pesce.
Con buona pace di chi accusi Jeunet di buonismo, la sua Amélie, sicuramente più grande, (Come età, e non solo)…….ci annoia molto di meno nel (Ri) scoprire sé stessa, cercando di uscire dal guscio soffrendo ed aiutando gli altri che si trovano in difficoltà.
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