Il nastro bianco

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Un film di Michael Haneke. Con Christian Friedel, Leonie Benesch, Ulrich Tukur, Ursina Lardi, Burghart Klaußner.
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Titolo originale Das Weiße Band. Drammatico, b/n durata 144 min. - Austria, Francia, Germania 2009. - Lucky Red uscita venerdì 30 ottobre 2009. MYMONETRO Il nastro bianco * * * - - valutazione media: 3,40 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

la vita come racconto Valutazione 4 stelle su cinque

di carloalberto


Feedback: 51015 | altri commenti e recensioni di carloalberto
mercoledì 29 aprile 2020

 Il nastro bianco narra la storia di strani fatti accaduti in un piccolo centro rurale tedesco, poco prima dell’inizio della Grande Guerra, attraverso il racconto del giovane maestro del villaggio. E’ una riflessione sulla vita come racconto e sul cinema come racconto della vita così intesa, paradigmaticamente rappresentato da Il racconto dei racconti di Garrone che narra Lo cunto de li cunti di Basile. Il contenuto, stimolando le interpretazioni più diverse, distrae dall’essenza dei fatti, che, intrecciandosi come i fili della trama e dell’ordito, esistono, al pari di qualsiasi altro fatto narrato, soltanto per la reciproca relazione in funzione della validità del discorso. Tutto nel film è traduzione in immagini di ricordi di fatti, narrati dal maestro perché vissuti di persona o appresi da confidenze e da chiacchiere di compaesani. La storia, nelle parti in cui non è vissuta o appresa, è completata con particolari intimi della vita che si svolge nelle case del barone, del dottore, del contadino, apparentemente aggiunti dal regista e che sono, invece, originati dalla fantasia del maestro. Un indizio dell’unicità di prospettiva è costituito dalla assenza di altri punti di vista. I personaggi sono descritti, pur nella ricchezza e nella complessità dei sentimenti e delle passioni mostrate, sempre dall’esterno, per ciò che fanno e che dicono, ovvero per ciò che potrebbero aver detto o fatto nella ricostruzione fantasticata del maestro e secondo le sue aspettative e la sua sensibilità. Il racconto termina incompiuto, troncato dal sopraggiungere di un altro racconto, che si preannuncia all’orizzonte ben più potente, la prima guerra mondiale e lo  spettatore è come sollecitato a completarlo, ma per farlo dovrà ricostruirne uno suo, avendo a disposizione, tuttavia, esclusivamente le informazioni che gli sono state fornite col racconto. Quali particolari aggiungerà e quali interpretazioni darà delle vicende, che sono a lui pervenute già mediate due volte, per dare un senso al film?  Haneke dà l’illusione di poterci appropriare della storia, così che ognuno possa pensare che le cose siano andate così e così e che i colpevoli non potevano che essere…come se completare il film potesse dare un senso allo stesso e magicamente per analogia al racconto della propria vita. A seconda dei punti di vista, Haneke offre a chi guarda un possibile approccio all’arte del racconto o invece tende un’ennesima trappola per integrare lo spettatore nella tela dello stesso, attraendolo con la lusinga di poter svelare i suoi misteri, che non sono altro che le informazioni mancanti e che sempre mancheranno ad ogni racconto della vita perché abbia senso. Il racconto della prima guerra mondiale travolgerà come un’onda tsunamica, con il suo non-senso, gli innumerevoli piccoli racconti privi di senso di migliaia di paesi, di villaggi, di famiglie in Germania e in tutta Europa. Nel finale c’è l’inizio. La chiesa si riempie di fedeli, tutti i paesani siedono sui banchi, tutti i protagonisti del racconto, tutti in attesa che un uomo prenda la parola per dare inizio ad una nuova fascinazione collettiva, al rito magico della narrazione, che ancora una volta illudendo catturerà l’attenzione con una promessa di senso che non ci sarà, come non ci sarà per gli spettatori che nella sala buia aspettano che inizi Il nastro bianco.

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