sarettajan
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domenica 20 febbraio 2011
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una storia claustrofobica dai risvolti inquietanti
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Come definire questo film?? La curiosità mi ha portato a vederlo e l'incredulità mi ha portato a rimanere con gli occhi sbarrati durante tutto il film incapace di reagire in qualche maniera dinanzi ad una trama tanto assurda quanto credibile. Pensare infatti che due genitori possano decidere di segregare in casa i propri figli illudendoli che la vita sia solo quella chiusa tra le mura del loro giardino è davvero inconcepibile; lo spettatore rimane incredulo, la reazione è: "Non è possibile,non ha senso!" ma, man a mano che il film scorre e ci troviamo di fronte agli sforzi reali che la coppia fa per ingannare i propri figli, prendiamo coscienza che il tutto può essere reale, che quella situazione ai limiti del paradosso è invece gestita con estrema razionalità dai protagonisti, ed è nel momento in cui quest'idea di realtà e di concretezza si fa strada nei nostri pensieri che si insinua l'angoscia.
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Come definire questo film?? La curiosità mi ha portato a vederlo e l'incredulità mi ha portato a rimanere con gli occhi sbarrati durante tutto il film incapace di reagire in qualche maniera dinanzi ad una trama tanto assurda quanto credibile. Pensare infatti che due genitori possano decidere di segregare in casa i propri figli illudendoli che la vita sia solo quella chiusa tra le mura del loro giardino è davvero inconcepibile; lo spettatore rimane incredulo, la reazione è: "Non è possibile,non ha senso!" ma, man a mano che il film scorre e ci troviamo di fronte agli sforzi reali che la coppia fa per ingannare i propri figli, prendiamo coscienza che il tutto può essere reale, che quella situazione ai limiti del paradosso è invece gestita con estrema razionalità dai protagonisti, ed è nel momento in cui quest'idea di realtà e di concretezza si fa strada nei nostri pensieri che si insinua l'angoscia. Ciò che all'inzio appare senza senso acquista un significato, ci riconduce a quelle folli situazioni che leggiamo sui quotidiani e alle quali stentiamo a credere, quelle notizie che ti fanno guardare il vicino di casa con circospezione perchè la follia è dietro l'angolo, nascosta da ingannevoli apparenze e da un'ostentata normalità. Apparentemente normali sono infatti i coniugi interpretati da Christos Stergioglou e Michelle Valley, rispettivamente impiegato e casalinga, che con fredda disciplina riescono a far credere ai tre figli che gli aerei sono solo giocattoli, che i gatti sono creature malvagie, che ogni creatura vivente viene dal ventre della loro madre; ecco perchè non viene voglia di ridere quando i ragazzi vengono addestrati ad abbaiare, quando dicono frasi senza senso in quanto i genitori per isolarsi ulterioramente dalla società li hanno istruiti ingannevolmente, scambiando il senso delle parole (il sale è rinominato telefono, i zombie sono fiori..)..niente è comico in tutto ciò bensì inquietante..una storia, che potrebbe risultare ridicola, non lo è affatto, come se un paradosso d'improvviso diventasse perfettamente plausibile.
Tutto procede secondo i piani fino a che l'unico elemento esterno a quel sistema, la ragazza che il padre pagava per soddisfare i bisogni sessuali dell'unico figlio maschio, destabilizza la situazione in un crescendo di vicende che porterà il film ad assumere toni fortemente drammatici fino al tragico epilogo.
Al regista va il grande merito di coinvolgere e bloccare lo spettatore in quella logica perversa il cui risultato è una sensazione di totale claustrofobia.
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federico albanese
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martedì 19 aprile 2011
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psico-dramma lynchiano formidabile
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Una famiglia greca. Apparentemente normale. Vive in campagna, prati, piscina, sole. Una prostituta bendata entra accompagnata dal padre di famiglia, per soddisfare le voglie del giovane figlio. Segregati dai genitori in un limbo di parole inventate, significati distorti, false realtà, paure infondate, desideri malati, vivono le due giovani sorelle e il fratello, tutti senza nome. In un districato susseguirsi di eventi e faccende quotidiane al limite del paranormale si definisce il paradigma familiare di una società patriarcale oltre-nazista, un fantomatico insieme di valori ipercinici e irreali, principi di una società finto-illuminata in decadenza. Amore e odio si fondono a creare un nuovo sentimento ancora mai percepito nel cinema moderno, sfaccettature Hanekiane ( Il Nastro Bianco, Funny Games) , momenti del David Lynch piu estremo ( Eraserhead ), sbalzi riflessivi e inquadrature mozzafiato che sminuiscono anche il miglior Gus Van Sant ( Last Days, Elephant ).
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Una famiglia greca. Apparentemente normale. Vive in campagna, prati, piscina, sole. Una prostituta bendata entra accompagnata dal padre di famiglia, per soddisfare le voglie del giovane figlio. Segregati dai genitori in un limbo di parole inventate, significati distorti, false realtà, paure infondate, desideri malati, vivono le due giovani sorelle e il fratello, tutti senza nome. In un districato susseguirsi di eventi e faccende quotidiane al limite del paranormale si definisce il paradigma familiare di una società patriarcale oltre-nazista, un fantomatico insieme di valori ipercinici e irreali, principi di una società finto-illuminata in decadenza. Amore e odio si fondono a creare un nuovo sentimento ancora mai percepito nel cinema moderno, sfaccettature Hanekiane ( Il Nastro Bianco, Funny Games) , momenti del David Lynch piu estremo ( Eraserhead ), sbalzi riflessivi e inquadrature mozzafiato che sminuiscono anche il miglior Gus Van Sant ( Last Days, Elephant ). Una pellicola incrdibilmente densa e votata alla purezza del sentimento e del cinema fine a se stesso. Senza congetture, dogmi e luoghi comuni. Un esempio di come si deve fare il cinema oggi. Fotografia superba, musiche mozzafiato, completamente immerse nell'atmosfera del film. Da non perdere
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ashtray_bliss
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domenica 29 giugno 2014
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film deviato, surreale, malato e lucidamente crudo
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Descrivere 'esperienza vissuta davanti a questa pellicola non e' semplice. E' un'ora e mezza di sentimenti diversi, confusi, contraddicenti. L'unica cosa certa e' che si tratta di un film che risulta impossibile scrollarserlo di dosso, dimenticarlo, ignorarlo. Perche' tratta di un argomento alquanto pesante quanto drammatico, levato il velo di apparente superficialita'. E' la storia di una situazione anomala, paradossale la quale viene vissuta nel piu' normale dei modi dai suoi protagonsti. L'assurdo regna ovunque e' diventa la regola, la norma. Tutto e' capovolto e nulla e' come sembra, come direbbe Alice nel Paese delle Meraviglie. Con la differenza che qui, nessuna meraviglia regna sovrana, ma solo follia, oppressione, ignoranza, ciecita' spirituale e mentale.
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Descrivere 'esperienza vissuta davanti a questa pellicola non e' semplice. E' un'ora e mezza di sentimenti diversi, confusi, contraddicenti. L'unica cosa certa e' che si tratta di un film che risulta impossibile scrollarserlo di dosso, dimenticarlo, ignorarlo. Perche' tratta di un argomento alquanto pesante quanto drammatico, levato il velo di apparente superficialita'. E' la storia di una situazione anomala, paradossale la quale viene vissuta nel piu' normale dei modi dai suoi protagonsti. L'assurdo regna ovunque e' diventa la regola, la norma. Tutto e' capovolto e nulla e' come sembra, come direbbe Alice nel Paese delle Meraviglie. Con la differenza che qui, nessuna meraviglia regna sovrana, ma solo follia, oppressione, ignoranza, ciecita' spirituale e mentale.
Perche' tuttii protagonisti del film, e precisamente i tre fratelli (adulti) vivono in un mondo parallelo, in una realta' distorta e surreale. Sono prigionieri di un mondo fasullo, inesistente. Un mondo che i genitori crearono per poterli isolare dal resto del mondo. In questa realta' malata e distorta, le parole perdono il loro significato standard. La semantica viene totalmente revisionata dai genitori che attribuiscono alle parole esistenti, significati nuovi, totalmente estranei alla realta' delle cose. Zombie sono piccoli fiori gialli. Autostrada e' un vento molto forte. Il telefono e' nel loro mondo il sale. I ragazzi vengono intrattenuti ed educati in casa, partecipando a gare giornaliere per radunare punti. Alla fine della giornata, chi ha piu' punti potra' decidere l'intrattenimento serale. In questo mondo di apparente armonia e normalita' l'equilibrio verra' definitivamente compromesso da Irene (unico personaggio che ha un nome), una guardia di sicurezza che viene escortata dal padre per soddisfare gli istinti sessuali del figlio maschio. Ma il ragazzo si rifiutera' di fare qualcosa durante una sessione, e Irene, riuscira' comunque a soddisfare i suoi impulsi escogitandosi un trucco che sgretolera' per sempre l'armonia fittizia di questa famiglia Ateniese. Poco a poco la figlia piu' grande uscira' dal limbo di innocenza e purezza che l'ha sempre circondata e scatanera' una serie di reazioni a catena che non lasciera' intoccato nessuno e cambiera' drasticamente le dinamiche emotive e relazionali dei protagonisti.
Kynodontas e' il dente canino, ma nel film diventa una metafora usata dal padre-padrone per convincere i figli che solo quando il canino ("destro o sinitro poco importa") cadra' saranno pronti ad andarsene di casa.
Ossessione, follia, surrealismo, distorsione, falsita', violenza, oppressione, moralita' e immoralita' si fondono in questo film in modo unico e tale da non poter lasciare indifferente lo spettatore. Un dramma cresciente che man mano che si svolge la trama ti fa venire i brividi, ti sforza a pensare, ad empatizzare con i protagonisti e sopratutto ti porta a pensare: "Sara' mai possibile"?
Restando in bilico perfetto, tutto il tempo, tra minimalismo, surrealismo e iperrealismo (impersonato dall'apparente normalita' che rappresenta il padre, unico membro della famiglia ad avere contatti con l'esterno) il film e' sicuramente un pugno nello stomaco. Una tragedia moderna, claustrofobica, ossessiva senza alcun lieto fine, senza alcuna katharsis finale, ne per lo spettatore ne per i suoi protagonisti. Un viaggio doloroso e inatteso in una realta' cruda e malata. Un viaggio nell'oscurita' della mente umana e cio' che porta in superfice.
Consigliato.
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bartleby corinzio
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venerdì 1 marzo 2013
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la fata del dentino
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Se all'inizio il film ricorda vagamente Haneke, e poi a metà ricorda vagamente Haneke e poi anche alla fine ricorda vagamente Haneke mentre i titoli di coda ricordano von Trier il film in realtà è di un regista greco che non è quindi né von Trier né Haneke. Fatta questa piccola e non necessaria premessa che fa molto quello che vuol fare il simpatico a tutti i costi o roba del genere, mi sembra ben donde più costruttivo parlare della pellicola e non di ciò che ricorda. Dando così al film il valore che in fin dei conti si merita. (Praticamente me le suono e me le canto)
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Se all'inizio il film ricorda vagamente Haneke, e poi a metà ricorda vagamente Haneke e poi anche alla fine ricorda vagamente Haneke mentre i titoli di coda ricordano von Trier il film in realtà è di un regista greco che non è quindi né von Trier né Haneke. Fatta questa piccola e non necessaria premessa che fa molto quello che vuol fare il simpatico a tutti i costi o roba del genere, mi sembra ben donde più costruttivo parlare della pellicola e non di ciò che ricorda. Dando così al film il valore che in fin dei conti si merita. (Praticamente me le suono e me le canto)
Una famiglia composta da un padre, una madre, una figlia minore, una maggiore e un fratello (nel film loro stessi si chiamano così) trascorrono sereni le loro giornate, isolati dal mondo nella loro villetta fuori città, circondata da un alto muro che ne enfatizza l'isolamento. Il padre (l'unico a poter uscire di casa per andare a lavoro) e la madre educano i figli (ormai decisamente grandicelli) facendo loro riconoscere l'importanza di cose come l'ambizione, la determinazione -grazie a gare di resistenza-, il cosa è giusto e il cosa è sbagliato. Il padre in particolare si prende cura anche della loro "educazione" linguistica, trasformando così la semantica di alcune parole e quindi di alcuni concetti. Una vera e propria operazione di decostruzione del significato e del significante che per i figli, ignari dell'operazione di trasformazione, è un vero e proprio vocabolario. Così, ad esempio, il mare è una "poltrona in cuoio con braccioli di legno", l'autostrada è "un vento molto forte", la carabina è un "bellissimo uccello bianco".
Ah, ora mi siedo sul mio mare. Fuori c'era troppa autostrada, tuttavia sono riuscito a scorgere una carabina.
Oltre alla certo curiosa nonché bizzarra didattica vi è anche uno smembramento del senso della misura (inteso proprio come spazio, geometrie) che porta i figli a credere che un aereo che vola in cielo, una volta caduto a terra (e loro se lo augurano sempre), sia grande pochi centimetri. Nei momenti più spensierati poi, mentre i genitori si guardano film porno, tocca ai figli auto-disciplinarsi per dimostrare di aver assimilato ben bene i valori dell'educazione familiare. Insomma, una famiglia felice. L'armonia (linguistica, lessicale, spazio-temporale, concettuale) viene tuttavia un bel giorno messa a rischio dall'arrivo di un elemento esterno. Volendo spiegare chiaramente il mito della caverna platonica io suggerirei (dall'alto di un emerito c**** tra l'altro) ai docenti di mostrare ai propri studenti questo film. Mito della caverna che si può anche riassumere con l'espressione "avere fette di salame sugli occhi". Il cinema però offre -come in questo caso- forme esemplificative più costruttive.
Platone... NON E' UNA SBOBBA, SARO' BREVISSIMO... Platone, nel settimo libro della Repubblica, descrive il mito della caverna per chiarire meglio la distinzione di due forme di conoscenza. La famiglia del film, i figli in particolare, possiedono quella che viene definita conoscenza sensibile. Loro vedono cioè soltanto ombre, quelle che per noi sono ombre, e credono che queste ombre siano la realtà. FINE. Oddio il discorso sarebbe anche più complesso, cioè l'identificazione del vero che in fin dei conti noi, in epoca mediatica, stiamo non dico perdendo ma mutuando. La necessità di una (questa sì sana) educazione ai meccanismi della immagine video, ai suoi subdoli substrati. Il raziocinio come strumento di lettura dell'immagine o del virtuale. Vabbè, in medias res, andiamo al nocciolo.
Gli schiavi, i figli della coppia, sono all'interno della caverna. All'interno del loro mondo sensibile loro vivono di supposizioni, di congetture, incapaci di verificare realmente la concretezza di quello che vedono se non mediati dai genitori.
Il film, vincitore nel 2009 a Cannes nella sezione Un certain regard, regala oltre ad una regia che non si preoccupa a volte di tagliare porzioni di nuca dei protagonisti (cose che bisogna saperle fare, nel senso che spesso si rischia di esser troppo alternativi, ma non è questo il caso) riflessioni ataviche nonché ateniesi. Platone inside, quindi, o Aristocle inside. Filosofia portami via ma anche cinema. Cinema vero e proprio, ma qui ovviamente non voglio arrivare agli odiosi spoiler. A tal proposito ho trovato in rete una accurata recensione ove però alla fin fine si racconta tutto il film. Più che una recensione una sinossi, senza neanche la benemerita cortesia di avvisare lo sventurato lettore del mega spoiler. Io, per fortuna, la recensione-spoiler l'ho letta solo dopo aver visto il film. Ma a parte queste mie considerazioni di poco conto sulle mie funeste letture, posso ben donde -e direi anche oltremodo- consigliare questo film. Consigliarlo a tutti. Sì consigliarlo all'insegnante che deve parlar del mito della caverna platonica, sì consigliarlo ai fan di Haneke ma soprattutto consiglio questo film alla mamma, al papà, alla figlia minore, alla figlia maggiore e al fratello.
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angelo umana
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mercoledì 2 settembre 2020
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didattica del cinema
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Dogtooth, film greco del 2019, degno certamente di Un certo sguardo a Cannes e candidato all'Oscar come miglior straniero, per la buona fattura della regia nell'apparecchiare l'ambiente di una certa famiglia, a mostrare anche in modo caricaturale o troppo marcato – a fini anche didattici - come ci si vive dentro, segregati dal resto del mondo per volere di un padre-padrone che traduce in questo modo l'amore per i tre figli, un amore malato che non è più amore ma iperprotezione, controllo, possesso, dominio, reclusione, coercizione, violenta difesa dei figli dai “pericoli” del mondo esterno.
Il film produce angoscia a chi guarda, per gli occupanti che non escono mai dalla villa-fortezza, transennata e isolata da uno steccato e una siepe altissima.
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Dogtooth, film greco del 2019, degno certamente di Un certo sguardo a Cannes e candidato all'Oscar come miglior straniero, per la buona fattura della regia nell'apparecchiare l'ambiente di una certa famiglia, a mostrare anche in modo caricaturale o troppo marcato – a fini anche didattici - come ci si vive dentro, segregati dal resto del mondo per volere di un padre-padrone che traduce in questo modo l'amore per i tre figli, un amore malato che non è più amore ma iperprotezione, controllo, possesso, dominio, reclusione, coercizione, violenta difesa dei figli dai “pericoli” del mondo esterno.
Il film produce angoscia a chi guarda, per gli occupanti che non escono mai dalla villa-fortezza, transennata e isolata da uno steccato e una siepe altissima. Ha creato, questo papà, un mondo a sé stante, inaccessibile ad estranei a “difesa” dei suoi bambini, così li chiama ma sono ormai grandicelli oltre l'adolescenza. Due ragazze e un ragazzo: sembrano automi segregati nella villa fredda, esseri compressi tenuti all'oscuro da pubblicità e info esterne. Hanno parco e piscina, e le comodità che questo educatore ha loro permesso, non altre, vietate: c'è solo uno schermo in casa, mostra immagini registrate di ricordi familiari. A tutto pensa questo padre, l'unico che esce per lavoro o per altri bisogni, col suo Mercedes stagionato, anch'esso fa pensare che nulla debba cambiare per preservare lo stato delle cose. Una situazione irreale, immodificabile come i riti familiari imposti. L'istruzione ai ragazzi è “assicurata” da nastri registrati, le parole debbono avere il significato che il padre gli ha dato, a presunta difesa dei “bambini”: la carabina è un uccello, il telefono (nascosto) è una saliera, e così autostrada, fica, aereo, tutte hanno un vocabolario anch'esso imposto, e falso. Traduce simultaneamente per loro la canzone Fly me to the moon ma con parole sue non “censurabili”, annuncia che l'autore ne fu suo padre, idoli esterni non ne esistono...
La madre dei ragazzi è esecutrice insignificante dei voleri del marito o li asseconda per sudditanza, lui stabilisce la condotta da tenere, quella che sola può portare a un rendimento. Preserva i figli, che non vengano sù male, e sono mostrati come marionette o zombie-robotizzati che si muovono a comando. Per il solo figlio maschio provvede alla fornitura di sesso a domicilio e a pagamento, le ragazze scopriranno qualcosa autonomamente.
Che rispetti il suo padrone e gli obbedisca ciecamente: è detto dall'istruttore del doberman che il canile sta allevando per il protagonista, e sembra la frase appropriata per l'educazione dei figli che codesto padre immagina. Ha spiegato loro che potranno lasciare quella “fortezza” quando perderanno un canino o Dogtooth, e il tempo dipende... chi a 20, chi a 30 o 40 anni. Una delle ragazze il canino deciderà da sé di perderlo. Non si può fare a meno di accostare il film a Miss Violence del 2013, greco anch'esso (l'eterna giacca e cravatta, la compitezza e l'ordine delle apparenze), e per altri versi a Captain Fantastic, del 2016 (l'istruzione dei figli). Questo film raggela ma vale molto la pena di vederlo, oltreché per l'ottima realizzazione, per prendere le distanze da qualsiasi costrizione o dittatura. Si sorride pure, cosa che spesso le dittature stimolano.
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fabio1967
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domenica 30 agosto 2020
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il bello del cinema
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Trovarsi di fronte ad una vera e propria "aggressione" alla normale attivita' del nostro corpo e della nostra mente, essere consapevoli che ne usciremo indenni solo grazie al fatto di esserci fortificati negli anni avendo visto qualsiasi cosa, e' un sottile piacere per discepoli della rappresentazione malata, alla ricerca forse inconscia della panacea per tutti i mali del mondo. Questa pellicola e' splendida perche' attiva tutti questi meccanismi e lo fa con una lucidita', una coerenza visiva e recitativa che si riscontra raramente. Il fondo della degradazione (che in realta' puo' essere letto anche come la vetta piu' alta, dipenda da dove si guarda il tutto.
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Trovarsi di fronte ad una vera e propria "aggressione" alla normale attivita' del nostro corpo e della nostra mente, essere consapevoli che ne usciremo indenni solo grazie al fatto di esserci fortificati negli anni avendo visto qualsiasi cosa, e' un sottile piacere per discepoli della rappresentazione malata, alla ricerca forse inconscia della panacea per tutti i mali del mondo. Questa pellicola e' splendida perche' attiva tutti questi meccanismi e lo fa con una lucidita', una coerenza visiva e recitativa che si riscontra raramente. Il fondo della degradazione (che in realta' puo' essere letto anche come la vetta piu' alta, dipenda da dove si guarda il tutto...) lo si tocca nella scena in cui il figlio si sottomette ad una aberrante procedura architettata per lui dal mostro di turno (che in questo film si cita inspiegabilmente come "padre"), attreverso la quale e' chiamato a scegliere tra le due sorrelle, quella che dovra' fargli da amante, in sostituzione della prostituta cacciata con violenza per manifesta incapacita' di adempiere al suo spregevole compito, seguendo le regole malate di questo nucleo familiare. Il ragazzo si ritrova nudo e bendato, seduto al centro di una vasca da bagno vuota, con le sorelle insieme a lui nella vasca, anch'esse nude una a destra e l'altra a sinistra. Per effettuare la scelta simula con ciascuna di essere le situazioni fisiche del primo approccio sessuale in modo da saggiare le reazioni del suo corpo e decidere quale delle due sia il piu' indicata allo scopo. La cosa straziante e' il vedere i tre ragazzi del tutto inconsapevoli, incapaci di comprendere il senso di questa degradante procedura, per mancanza di strumenti interpretativi del tutto assenti dalla loro educazione. E cosi' i ragazzi diventano animali da far accoppiare per istinto, da far abbaiare come cani per spaventare altri animali, da ammaestrare come scimmiette in penosi balletti per il divertimento della famigliola.
Quale genitore vorrebbe veder ridotti i suoi figli ad animali, nella smania di proteggerli dalle cattiverie del mondo esterno? E' come uccidere qualcuno per proteggerlo dal rischio di perdere la vita, in modo che non vi sia piu' alcun rischio, trasformato da subito in certezza.
Gli spunti di indagine sociologica del film sono tantissimi e cosi' anche le situazioni evocative, come l'ultima scena che inquadra il bagagliaio della macchina del padre, uscita dalla villa e parcheggiata davanti alla fabbrica deve lavora, all'interno del quale si e' nascosta la figlia fuggitiva che legittimamente aspira ad evadere da quel lagher. Peccato che il cofano non si apra e nemmeno si sentano i rumori di una persona che vi si agita all'interno, tecnicamente il cofano chiuso si apre solo dall'esterno e quindi per quanto ne sappiamo, quello spazio angusto nel quale e' nascosta la ragazza da diverse ore, sanguinante e spaventata, potrebbe essere diventata la tua tomba.
Come a voler significare che da come siamo stati educati purtroppo non esiste fuga. Poi c'e' la figura della madre, che parrebbe in parte succube della follia del marito ma che si scopre poi lucidamente partecipe quando per punire il figlio di una colpa inesistente lo tortura con il colluttorio.
Opera magistrale che ci lascia con la convinzione che, al di la della plausibilita' della storia, la cui devianza sociale e' sicuramente rintracciabile, ci si trovi di fronte ad una rappresentazione molto piu' vicina alla quotidianita'di quanto non si creda. Il film ci mostra gli effetti della manipolazione della realta' che portano ad estreme conseguenze, come l'incapacita' di vivere come esseri umani. La stessa cosa accade oggi, quando l'opinione pubblica viene manipolata con notizie false costruite a tavolino per indirizzare le coscienze, far crollare convinzioni e veicolarne altre, creando masse inconsapevoli e incapaci di distinguere, mandate se necessario al macello, dell'anima e del corpo. Triste ma attualissimo. Il film ci mette in guardia dall'ipotesi per niente lontana, di essere noi i figli "oggetto" di poteri forti, ridotti ad animaletti che abbaiano al finto nemico e totalmente privati della capacita' di scegliere...
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gianleo67
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lunedì 11 agosto 2014
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breve mitologia di un isolato microcosmo familiare
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Una ricca famiglia borghese osservata mentre trascorre serenamente le proprie giornate in una isolata e lussosa villa di campagna con piscina, tra giochi innocenti e serate eleganti... Non foss'altro che i tre figli già grandi (un maschio e due femmine) vivono da sempre reclusi nella prolungata stagione infantile di una ossessiva cattività psicologica, convinti come sono dai genitori che il mondo esterno sia il regno crudele e periglioso di voraci creature feline e che gli sia interdetta l'uscita oltre le 'Colonne d'Ercole' dell'invalicabile cancello di casa.
Partendo da un rudimentale processo di alfabetizzazione che trasfiguri il significato di sostantivi e predicati che animano la pericolosa narrazione di un mondo esterno quale dominio di libertà e fuga, Lanthimos ci introduce lo sconcertante menage di una realtà familiare in cui gli aspetti educativi legati alla protezione ed al possesso filiare si traducono nella patologica condiscendenza di una prigionia domestica quale esempio di un degrado sociale e psicologico che origina nell'insospettabile e apparente benessere di una ricca famiglia borghese.
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Una ricca famiglia borghese osservata mentre trascorre serenamente le proprie giornate in una isolata e lussosa villa di campagna con piscina, tra giochi innocenti e serate eleganti... Non foss'altro che i tre figli già grandi (un maschio e due femmine) vivono da sempre reclusi nella prolungata stagione infantile di una ossessiva cattività psicologica, convinti come sono dai genitori che il mondo esterno sia il regno crudele e periglioso di voraci creature feline e che gli sia interdetta l'uscita oltre le 'Colonne d'Ercole' dell'invalicabile cancello di casa.
Partendo da un rudimentale processo di alfabetizzazione che trasfiguri il significato di sostantivi e predicati che animano la pericolosa narrazione di un mondo esterno quale dominio di libertà e fuga, Lanthimos ci introduce lo sconcertante menage di una realtà familiare in cui gli aspetti educativi legati alla protezione ed al possesso filiare si traducono nella patologica condiscendenza di una prigionia domestica quale esempio di un degrado sociale e psicologico che origina nell'insospettabile e apparente benessere di una ricca famiglia borghese. Al di là di qualsiasi intenzione politica e sociale il film del regista greco si attiene ai rigorosi codici di una messa in scena che evoca il disagio e la condizione di isolamento nell'apparente normalità di una ripetitiva quotidianità fatta di inquadrature in primo piano e della quasi totale assenza del controcampo, finendo così per precipitare lo spettatore nella 'trappola per topi' di uno straniante esperimento sociologico. Gli elementi di credibilità su cui si incardina questo realismo dell'assurdo sono da un lato l'evocazione di un mondo di 'miti e leggende' che popolano la fantasia di bambini ormai cresciuti soggiogati alla catena di una dolce cattività e dall'altro la consapevole e lucida follia di deterrenza di quelle pulsioni violente (l'aggressività, la sessualità) disinnescate tanto nella pratica sessuale (il meretricio,l'incesto) quanto nello stringente calendario diurno scandito dalle continue gare di una puerile competizione per l'agognata ricompensa settimanale: un nuovo adesivo, un modellino d'aereo, la scelta dell'intrattenimento serale. Figlia di una restrizione e di una mistificazione culturale che ha lo scopo di escludere qualsiasi contatto col mondo esterno, si percepisce una certa contraddizione nell'introduzione di elementi destabilizzanti quali la lettura dei libri (tranne forse un manuale di anatomia), l'incontro di persone estranee alla cerchia familiare (tranne la fidata dipendente addetta alla guardiola), la fruzione cinematografica (tranne 'Rocky' e 'Lo squalo') che sembrano minarne le basi di coerenza e credibilità narrativa forzando il registro sulla direttrice del più facile racconto metaforico, confermato peraltro nel prevedibile espediente drammaturgico di una allarmante scappatoia odontoiatrica e nel finale interdetto di un crudele quanto inutile tentativo di fuga. Piccola mitologia di un microcosmo familiare quale assurdo paradigma dell'isolamento e della misantropia dell'uomo moderno. Premio nella sezione 'Un Certain Regard' al 62º Festival di Cannes.
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noia1
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martedì 16 agosto 2016
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la follia che non ci aspetta
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La vita e le regole in una famiglia molto particolare.
All’inizio si ha quasi l’impressione che i protagonisti recitino male, sono rigidi ed esitanti mentre pronunciano parole quasi come robot chiusi nel bagno completamente inespressivi, poi la storia entra nel dettaglio della loro quotidianità e tutto si fa più chiaro.
Film bellissimo che dosa alla perfezione tutto quanto non solo in fatto di straniamento in questo clima assurdo ma anche nello spiegare alla perfezione il perché le cose vadano proprio così, come si comporta il padre in determinate situazioni e quali sono le regole di questo nucleo familiare. Tutto ha il suo peso e la sua importanza, non si pecca in niente, nemmeno nel compiacimento nel mettere in mostra le regole (o meglio, le sevizie) che questa coppia di genitori impone ai figli.
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La vita e le regole in una famiglia molto particolare.
All’inizio si ha quasi l’impressione che i protagonisti recitino male, sono rigidi ed esitanti mentre pronunciano parole quasi come robot chiusi nel bagno completamente inespressivi, poi la storia entra nel dettaglio della loro quotidianità e tutto si fa più chiaro.
Film bellissimo che dosa alla perfezione tutto quanto non solo in fatto di straniamento in questo clima assurdo ma anche nello spiegare alla perfezione il perché le cose vadano proprio così, come si comporta il padre in determinate situazioni e quali sono le regole di questo nucleo familiare. Tutto ha il suo peso e la sua importanza, non si pecca in niente, nemmeno nel compiacimento nel mettere in mostra le regole (o meglio, le sevizie) che questa coppia di genitori impone ai figli. Nemmeno i personaggi dei figli sono esagerati nel loro ruolo, sono credibilissimi nel loro essere folli espressioni di un’educazione fuori di testa, perfettamente resi nella loro condizione assurda.
Esplosioni di violenza improvvisa, chiari comportamenti sbagliati per eseguire regole che non esistono, disagio nel vedere certi tipi di situazioni. Per carità è un film e deve intrattenere ma questa non è solo l’esagerazione di casi che, in maniera molto meno teatrale, si manifestano realmente in certe famiglie; è un attacco ad un modello vero e proprio perché il padre nella propria dignità appare del tutto ridicolo allo spettatore che si rende conto di quanto sia semplicemente pazzo, come ridicola ora a noi sembra l’immagine di alcuni capi famiglia dei decenni passati convinti che picchiare i figli servisse a qualcosa, come ci sembrano ridicoli ora i metodi d’insegnamento assurdi che ci vengono raccontati dal passato. Ci si rende proprio conto di quanto sia stupido non tanto perché evidentemente diseducativo o moralmente sbagliato, ma per l’evidente risultato di straniamento che ha sui figli evidentemente incapaci un giorno di inserirsi nella società e consumati da una vita assurda fatta di regole che opprimono e basta.
Tutto sommato un delicatissimo pugno nello stomaco, perfetto e violento al punto giusto per lasciare il segno e per rendersi conto che la pazzia è ovunque ed in mille forme diverse, progresso e cultura non contano proprio niente, al posto di quei tre poveretti come figli poteva esserci chiunque altro, è questione di fortuna.
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vanessa zarastro
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venerdì 28 agosto 2020
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la casa del colonnello?
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Esce solo adesso dopo undici anni, il terzo film del regista greco Yorgos Lanthimos - dal titolo “Kynodontas” in originale - che è stato vittorioso nella sezione Un Certain Regard di Cannes 62 e candidato agli Oscar 2010 nella categoria del miglior film straniero.
L’inquietante trama - come del resto lo sono tutte quelle dei suoi film - mostra una famiglia che vive isolata in una villa con giardino e piscina, senza avere nessun rapporto con l’esterno. Solo il padre-padrone (Christos Stergioglou) ha un lavoro dirigenziale in fabbrica, dove si reca quotidianamente in automobile, mentre a nessuno dei membri della famiglia è consentito uscire dalla casa.
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Esce solo adesso dopo undici anni, il terzo film del regista greco Yorgos Lanthimos - dal titolo “Kynodontas” in originale - che è stato vittorioso nella sezione Un Certain Regard di Cannes 62 e candidato agli Oscar 2010 nella categoria del miglior film straniero.
L’inquietante trama - come del resto lo sono tutte quelle dei suoi film - mostra una famiglia che vive isolata in una villa con giardino e piscina, senza avere nessun rapporto con l’esterno. Solo il padre-padrone (Christos Stergioglou) ha un lavoro dirigenziale in fabbrica, dove si reca quotidianamente in automobile, mentre a nessuno dei membri della famiglia è consentito uscire dalla casa. Un’alta recinsione di legno oscura perfino la vista del “fuori”.
La moglie (Michele Valley), ha un telefono staccato nascosto nel comodino che usa raramente solo per comunicare con il marito quando è in ufficio, senza farsi notare dai figli. Le due figlie femmine (Angeliki Papoulia e Mary Tsoni) e un figlio maschio (Hristos Passalis), vivono in un mondo demiurgicamente sorvegliato, pieno di regole assurde, istigati alla competitività attraverso il gioco: «facciamo che vince chi resiste per ultimo a …».
Solo al pater familias è successo che uno dei due denti canini sia caduto e poi ricresciuto: questo è il segnale palese della capacità ad affrontare il mondo esterno. Così gestisce totalmente le vite dei membri della sua famiglia. Introduce perfino, a giorni fissi, una sorta di partner prezzolata per il figlio - una sua impiegata alla sicurezza - in una delle scene di sesso più goffe della storia del cinema.
Ma il mondo “interno”, cioè quello familiare, sotto una parvenza di buone maniere, di ubbidienza e di rapporti ludici, è un mondo altrettanto spietato, autarchico, super controllato dove solo la maggiore delle due figlie (Angeliki Papoulia) riuscirà poco a poco a ribellarsi.
I gatti sono considerati gli animali più pericolosi del mondo, al contrario i cani sono ben accetti ma vanno addestrati a diventare così come li vogliamo. In effetti il rigido addestramento che lui mette in atto nei confronti dei figli assomiglia molto all’addestramento dei cani. Li esercita a difendersi, li allena alla sopravvivenza e a resistere sott’acqua senza respirare, li abitua a non mostrare emozioni e ad essere competitivi. Si inventa gare assurde i cui premi sono degli adesivi da collezione. Lo sguardo del padre è quello di un dio, o meglio, quello di uno scienziato megalomane onnisciente, distaccato e freddo al limite del patologico.
La famiglia, in tal modo, vive una sorta di esistenza illusoria, specialmente i ragazzi che sviluppano attitudini da animali domestici, e hanno un linguaggio distorto. Anche questo, infatti, viene stravolto e alcune parole acquistano un diverso significato: il mare è il divano su cui ci si siede, gli zombi sono dei fiorellini gialli, la fica è una lampada.
La scena più divertente di tutto il film, a mio avviso, è quando il padre mette il disco LP con inciso la voce del nonno che canta, e altro non è che Fly me to the moon, la famosa canzone cantata da Frank Sinatra, che il padre traduce liberamente dall’inglese travisandone del tutto il senso e creando una poesiola infantile e gratificante.
Il ricordo della “dittatura dei colonnelli” terminata nel 1974, sembra aver ispirato il regista. Ne è rimasto vivo l’orrore dell’esercizio del potere che è uno spauracchio per Lanthimos così da disegnarne, in questo film, una metafora.
Il gusto del paradosso e del grottesco sono elementi nel linguaggio di Lanthimos già presenti nei suoi primi film. Così sarà per “The Lobster” del 2015, per “Il sacrificio del cervo sacro” del 2017 e anche per “La favorita” del 2018. ”Dogtooth” è quindi un film strano, una pellicola con dettagli talvolta raccapriccianti di gusto decisamente surrealista, in linea con il cinema “stralunato” del regista greco che, secondo molti critici, si ispira ad Haneke per raggiungere le vette di estraniazione, concedendosi qua e là composizioni e atmosfere kubrickiane.
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guidobaldo maria riccardelli
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venerdì 1 aprile 2016
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tutto il potere del linguaggio
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Meraviglia greca firmata da Giorgos Lanthimos: irriverente, fantasiosa, toccante, disturbante, colpevolmente ignorata dal sistema cinema italiano.
Puramente europea per soggetto, aggressione dello stesso, regia e recitazione.
Arbitrarietà del linguaggio, dicotomia dentro-fuori, rapporto natura-cultura sono alcuni dei fondamenti sui quali la pellicola si snoda, risultando, ad un'analisi attenta, meno metaforica e soprattutto meno propensa a dare un giudizio di valore indubbio: il finale, delicatissimo, risulta paradigmatico al riguardo, lasciando, a parere di chi scrive, meno interpretazioni di quelle proposte.
Netto il taglio registico, scientemente anti-estetico, pulitissimo (cfr.
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Meraviglia greca firmata da Giorgos Lanthimos: irriverente, fantasiosa, toccante, disturbante, colpevolmente ignorata dal sistema cinema italiano.
Puramente europea per soggetto, aggressione dello stesso, regia e recitazione.
Arbitrarietà del linguaggio, dicotomia dentro-fuori, rapporto natura-cultura sono alcuni dei fondamenti sui quali la pellicola si snoda, risultando, ad un'analisi attenta, meno metaforica e soprattutto meno propensa a dare un giudizio di valore indubbio: il finale, delicatissimo, risulta paradigmatico al riguardo, lasciando, a parere di chi scrive, meno interpretazioni di quelle proposte.
Netto il taglio registico, scientemente anti-estetico, pulitissimo (cfr. "Funny Games" di Michael Haneke) e basato sull'opposizione il tono fotografico, splendide le interpretazioni, tra le quali spicca quella dell'eccellente Aggeliki Papoulia.
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