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2012: Il catastrofismo giunge ad un nuovo livello

La società arriva a nuove paure.
di Gabriele Niola

Quando il pianeta è condannato tocca solo salvarsi

venerdì 13 novembre 2009 - Approfondimenti

Quando il pianeta è condannato tocca solo salvarsi
Se immaginiamo il cinema catastrofico come un grafico di possibile distruzione del nostro pianeta allora dobbiamo porre 2012 nella posizione più alta, una vetta che difficilmente verrà superata perchè è difficile immaginare una distruzione più distruzione di questa. Quando la Terra si rivolta su se stessa, le placche terrestri si rovesciano con tutti i palazzi che ci abbiamo costruito sopra, quando l'inondazione arriva fino all'Himalaya e non c'è scampo nemmeno in aria è sinceramente difficile ipotizzare che si possa peggiorare.
Un simile pessimismo tuttavia non arriva da solo, è frutto di decenni di evoluzione del pensiero catastrofico e delle fobie riguardo il nostro futuro. Arrivato a prendere una piega ecologica solo negli ultimi anni il cinema della fine del mondo è stato per molto tempo legato al nucleare, alle guerre, agli alieni, ai meteoriti e solo infine agli uomini, cioè a quello che la razza che abita il pianeta Terra ha fatto per causarne la fine.
Il cinema è ancora la macchina che rappresenta le paure sociali e i nostri timori riguardo il futuro e oggi i nostri timori sono di ordine ecologico, oggi il dito lo puntiamo verso noi stessi come negli anni '50 lo puntavamo contro gli artefici delle armi nucleari. Ma diversamente rispetto al passato oggi non cerchiamo più un rimedio a ciò che abbiamo fatto, 2012 parla di qualcosa di ineluttabile e ormai inevitabile, il disastro ecologico di quest'ultimo film catastrofico è inevitabile per definizione. Il pianeta lo abbiamo già distrutto e ora tocca solo salvarsi. Di che cosa avevamo paura ieri
Una volta avevamo paura della tecnologia e di quello che una sua degenerazione futura avrebbe significato per le radici umane, oggi fortunatamente non più. Una volta le nuove potenze della fisica mettevano paura, lo scienziato era una figura temibile sempre sul crinale della follia, in grado con un battito di ciglia di causare la distruzione del pianeta, oggi non più. Oggi abbiamo paura per quello che abbiamo fatto o stiamo facendo al pianeta. Le notizie rimbalzano di continuo sui telegiornali finendo ingigantite e romanzate sullo schermo, la fine del mondo per cause ecologiche, la natura che si ribella e il pianeta che collassa, tutto in poco tempo e in un momento puntuale. Esigenze cinematografiche di rappresentazione di fenomeni che, se avranno luogo, ci metteranno centinaia d'anni ad avvenire.
Ma non è sempre stato così. Una volta addirittura il futuro distopico al cinema era soleggiato, era così in La fuga di Logan, Il pianeta delle scimmie e addirittura nei vari Mad Max in cui il sole era anche troppo. Poi Blade Runner ha cominciato ad introdurre la nozione filmica che l'ambiente, inteso come meteo, doveva avere un ruolo centrale nella strutturazione dell'immaginario. Prendendo le mosse dal noir (in cui il caldo, la pioggia, il freddo o anche solo l'umido hanno ruoli importanti fin dagli anni '40) anche la fantascienza scopriva che quando tutto va male, quando la materia vince sullo spirito nel peggiore dei nostri incubi, non ci può essere il sole ma una pioggia eterna.
Da lì un serie di pellicole catastrofiche nelle quali si cominciava a riflettere sulle possibilità che l'ecologia del pianeta fosse irriconscibile e degenerata al pari delle società che l'abitavano. Nausicaa della Valle del Vento, il fumetto e poi cartone animato di Hayao Miyazaki, fu una delle prime opere a parlare di un pianeta che si ribellava alle violenze dell'uomo tentando di sopprimerlo ma ancora prima Ultimatum alla Terra aveva tentato un discorso tra il sociale e l'ecologico per mettere paura alle persone, in un'era (gli anni '50) in cui la fobia atomica delle radiazioni cominciava ad instillare l'idea che le azioni umane potevano avere effetti devastanti sull'ambiente il quale in ultima analisi si sarebbe poi rivolto contro gli uomini stessi (Godzilla).

Di che cosa abbiamo paura oggi
Difficile dire quale sia stato il primo catastrofico o film di fantascienza distopica moderna a introdurre il tema di uno sconvolgimento climatico come radice della distruzione umana, di certo adesso è un fatto (cinematograficamente) acclarato che se un futuro pessimista deve esserci questo coinvolgerà anche una situazione ambientale totalmente degenerata.
Roland Emmerich ci ha fondato una carriera sul rischio dell'estinzione umana, prima con l'invasione aliena di Independence Day, poi riportando in vita il mito del mostro frutto delle barbarie umane con Godzilla (vero ponte tra il primo tipo di catastrofismo e quest'ultimo) e poi dandosi definitivamente al catastrofismo ambientale.
Ma non c'è stato solo L'alba del giorno dopo, film che trattava dell'arrivo di una seconda glaciazione, ma anche altre opere come The core, in cui il nucleo del pianeta smette di funzionare al solito causando disastri inenarrabili, e film più prettamente futuribili come Sunshine, in cui il Sole sta smettendo di funzionare e occorre andarlo a rimettere in moto, Babylon A.D., in cui gli animali vengono clonati perchè praticamente estinti (cosa già vista in Blade Runner) e via via molti altri in cui le previsioni ancestrali, le moderne rilevazioni o le future evoluzioni sono sempre e solo di carattere ambientale.
Ora 2012 unisce magia da superstizione (le previsioni Maya legate a quell'anno) a rilevazioni scientifiche (nel film sono gli scienziati a scoprire come e perchè la Terra si sta letteralmente rivoltando) arrivando a costituire l'ultima spiagga di questo tipo di cinema del disastro, in cui non solo il pianeta come al solito sta per collassare ma dove l'uomo ricorre ad uno dei rimedi più antichi, tradizionali e forieri di suggestioni religiose come la realizzazione di grandi "arche" nelle quali riunire specie animali e esseri umani meritevoli di essere salvati dal disastro.
Ecco di cosa abbiamo paura oggi, non tanto che il pianeta si rivolti, ma che non ci siamo possibilità di tornare indietro, che il processo sia inevitabile e che la vita che conosciamo finisca senza appello. Temiamo che la Scomoda verità di Al Gore sia anche una verità ineluttabile che ci condanna senza possibile replica.

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