Possession

Jessica e Ryan sono sposati da un anno e potrebbero essere davvero felici se non avessero in casa il fratello di lui, Roman psichicamente disturbato ed uscito da poco dal carcere. Jessica ne sopporta a stento la presenza. Roman ne è consapevole e un giorno prende le sue cose e se ne va. Ryan si mette sulle sue tracce e i due hanno un incidente stradale che li fa ricoverare in stato di coma profondo. Chi si risveglia è Roman il quale però dice di chiamarsi Ryan e si installa di nuovo in casa di Jessica che lo teme ma che, progressivamente, deve ammettere che l'uomo è a conoscenza di avvenimenti che lei e Ryan avevano vissuto in sua assenza.
C'era una volta Jungdok un film sudcoreano del 2002. Forse non se ne sentiva il bisogno ma due registi svedesi hanno deciso di fare il loro debutto sul mercato statunitense con il suo remake. Si sono aggiudicati una protagonista come Sarah Michelle Gellar, abile nel ruolo della giovane donna che deve fronteggiare una minaccia che potrebbe travolgerla ma questo non basta. Perché il problema del film non sta negli interpreti. Va ricondotto a una sceneggiatura che ha un inizio che attrae l'attenzione.
Può suonare strano che si ritenga questo un problema ma in realtà è così. Perché a un incipit che costruisce una forte tensione che sembra sempre sul punto di esplodere, anche sul piano dell'erotismo, fa seguito una lunga parte centrale in cui all'inverosimiglianza dell'incidente stradale si associa il risveglio del bad guy che afferma di essere ciò che non è. Il plot a quel punto comincia a girare troppo a lungo su se stesso e sulla domanda 'come è possibile tutto ciò?' senza che accada alcunché di consistente. Il motivo si rende evidente nel sottofinale: tutto era orientato verso il colpo di scena risolutivo destinato ad offrire una facile risposta agli interrogativi. Troppo comodo. 