Ponyo sulla scogliera

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Un film di Hayao Miyazaki. Con Yuria Nana, Hiroki Doi, Jôji Tokoro, Tomoko Yamaguchi.
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Titolo originale Gake no ue no Ponyo. Animazione, Ratings: Kids, durata 100 min. - Giappone 2008. - Lucky Red uscita giovedì 6 luglio 2023. MYMONETRO Ponyo sulla scogliera * * * 1/2 - valutazione media: 3,67 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Provate a fare i miei disegni con il computer

di Emilio Marrese Il Venerdì di Repubblica

Arriva nelle sale la sua ultima creatura: Ponyo, la bambina-pesce. E il Grande Vecchio del cartone animato, che ha firmato Heidi, Anna dai capelli rossi, Lupin III e Conan, difende la tradizione contro l'invasione della tecnologia.
Ayao Miyazaki è il Grande Vecchio delle Matite. Un genio, un mito viven te per i cultori dei cartoni animati. Ma anche chi non conosce il suo nome, sa chi sono i suoi personaggi: Heidi, Anna dai capelli rossi, Lupin III, Conan il ragazzo del futuro. Ha svezzato intere generazioni con le sue favole e, come un nonno, continua a farlo. Nel 2003 ha vinto il premio Oscar e l'Orso d'oro a Berlino per La città incantata. Nel 2005 ha ricevuto il Leone d'oro alla carriera dalla Mostra del cinema di Venezia, dove nello scorso settembre è tornato a presentare - accolto come una rockstar - la sua ultima opera, Ponyo sulla scogliera, nelle sale da oggi, distribuito da Lucky Red.
Miyazaki è considerato l'anti!, Pixar: il disegnatore che difende i metodi tradizionali, resistendo alle tentazioni della tecnologia. Niente computer, nessun effetto speciale, sceneggiature all'apparenze semplici e puerili senza doppie letture ammiccanti. Altro che 3D: solo matite per disegnare cartoni di una volta, insomma. La filosofia di Miyazaki - visionario e naturalista - emerge anche nella storia di Ponyo, una bambina-pesce che fugge sulla spiaggia, viene raccolta da un bambino e diventa umana, scatenando però la reazione della natura alla rottura dell'equilibrio.
È un film meno cupo rispetto ai suoi precedenti: voleva rivolgersi ad un pubblico più ingenuo?
«Forse è così. Volevo fare un film per bimbi, visto che nel mio staff nell'ultimo periodo un sacco di persone sono diventate genitori. Volevo che fosse il prima film da vedere per molti di questi bambini. Dire loro subito che la vita è terribile non è buono. Sappiamo che il mondo è infelice, ma a questi bambini volevo dire che invece dobbiamo tutti essere felici di essere al mondo. Non volevo mostrar loro la realtà senza speranza. I problemi li percepiscono, non è giusto nasconderli. Ma a piccoli di cinque anni non si può non mostrare la speranza. Non credo che sia un film che abbia meno significati rispetto agli altri miei precedenti».
Un Miyazaki ancora più tradizionale, dunque?
«Abbiamo lavorato duro per fare qualcosa di semplice. Tutto si deve sempre spiegare pensando agli adulti, ma i bambini non hanno la stessa logica. Sono più sensibili e il film è fatto per essere inteso alla loro maniera. Abbiamo limitato al minimo i significati ulteriori. È una fiaba avventurosa sull'amore infantile. Amore e responsabilità, oceano e vita: la mia risposta alle afflizioni e alle incertezze dei nostri tempi».
Un altro accorgimento un po' desueto: la parola inizio nei titoli di testa e quella sfilza di nomi in quelli di coda.
«Bisogna dire ai bambini quando una cosa inizia e quando finisce. Nei titoli di coda ho messo i nomi di tutti in ordine alfabetico, comprese le donne delle pulizie e il gatto degli studios, senza specificare quale ruolo abbiano avuto nel film. I bambini se ne fregano di sapere chi ha fatto cosa».
Alla Mostra di Venezia è stato accolto come un divo da una platea adulta. Come se lo spiega?
«Bah, ai festival c'è la tendenza all'ovazione. Non mi esalto: mia moglie mi mena se sente che mi definisco maestro. Ponyo è un film per bambini di cinque anni che non capiscono il mondo e gli adulti si rilassano venendo messi nella stessa condizione».
Si è ispirato di più alla Sirenetta o a Nemo?
«La Sirenetta è il primo libro che ho letto e l'ho trasportata qui nel Giappone contemporaneo. Nemo non l'ho visto. Non ditelo al mio amico John Lasseter (l'anima della Pixar). So che era molto interessante, però. La principessa Otochi, colei che controlla il mare, è una figura universale in tutte le culture: il simbolo dell'oceano come fonte di vita».
Ancora una volta il mondo animale si mescola con quello umano.
«In origine non vi era nessuna grande distinzione tra gli umani e il resto delle creature. Basta pensare che il pesce è il simbolo di Cristo. La vita, prima, era un'idea condivisa».
È un messaggio ecologista?
«No. L'ecologia e l'ambiente vanno vissuti soggettivamente senza doverne parlare. La natura è un fondale. Non mi definisco un ecologista, anche se ho smesso di buttare le cicche a terra».
Come fa ad avere grande successo di mercato la sua opera che non pare tener conto affatto del mercato?
«Vorrei saperlo anche io. Me ne meraviglio».
Come vive l'antitesi con lo stile più moderno imperante nel mondo dei cartoon, quello dei suoi concorrenti PixarDisney e Dreamworks?
«Nessuna concorrenza. Loro fanno un buon lavoro e sono miei amici. La nostra tradizione giapponese è la matita e noi continuiamo a seguirla. Siamo bravini anche noi. Non c'è una guerra di religione. Ma io penso che La morte di Ofelia di John Waterhouse, un preraffaellita dell'Ottocento, raggiunga dei livelli di raffinatezza grafica alla quale nessuno è mai più arrivato, con nessuna tecnica a disposizione. Quando vedo questo quadro rimango sempre incantato».
Da Il Venerdì di Repubblica, 20 marzo 2009

di Emilio Marrese, 20 marzo 2009

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