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La siciliana ribelle, storia di mafia

Presentato all'ultimo Festival del Film di Roma, arriva al cinema La siciliana ribelle.
di Gabriele Niola

Io i mafiosi li ho conosciuti
Marco Amenta (53 anni) 11 agosto 1970, Palermo (Italia) - Leone. Regista del film La siciliana ribelle.

mercoledì 25 febbraio 2009 - Approfondimenti

Io i mafiosi li ho conosciuti
Dalla strada al cinema, Marco Amenta racconta le sue origini siciliane, la sua vita in una via dove solo per il periodo in cui ci ha vissuto lui hanno sparato a 3 persone e il suo lento emanciparsi da quella sudditanza psicologica. Il medesimo processo di liberazione che nel suo film, La siciliana ribelle, vediamo fare a Rita, personaggio realmente esistito che, al fianco delle istituzioni e delle forze dell'ordine, agisce in un contesto reale, la Sicilia degli anni '90 dominata dalla mafia.
Accanto a lei ci sono personaggi fittizi ma ispirati a figure reali, come un giudice molto simile a Paolo Borsellino e plasmato anche sugli aneddoti e i ricordi di Giovanni Falcone. E non è un caso, perchè Amenta prima di arrivare al lungometraggio con ha girato diversi documentari sulla sua terra, sulla dominazione mafiosa e il suo sistema, andando a parlare, interrogare e conoscere sia le vittime che i carnefici. Un'esperienza che il regista stesso definisce fondamentale: "Essere siciliano ed essere stato a contatto con i veri personaggi ha fatto la differenza, non come altri film che sono fatti da registi che non li conoscono. Averci parlato ti dà una conoscenza che poi puoi trasmettere anche a livello di emozioni e di sensazioni".

Il realismo del film
Quanto c'è di reale nella ricostruzione e nelle emozioni profuse in La siciliana ribelle? Molto secondo l'autore e anche secondo gli attori che hanno fatto di tutto per conoscere molte delle persone e delle personalità che sono confluite nei loro personaggi.
Su tutti chiaramente il regista Marco Amenta è quello più direttamente coinvolto: "Sono rimasto in sicilia fino ai 18 anni, ho fatto il fotogiornalista per Il Giornale di Sicilia poi ho fatto documentari sulla mia terra anche dall'estero. In quegli anni ho fotografato morti ammazzati, magistrati poliziotti e figli di mafiosi, conoscendoli di persona, personaggi sia positivi che negativi, ho conosciuto anche i figli di Riina, per dire. In questo senso ho avuto una testimonianza diretta di quello che davvero sono. Spesso al cinema ci si rifà all'iconografia fatta da altri film sulla realtà, sbagliando a copiare una cosa che è già una copia. Per me invece era importante ispirarmi direttamente alla realtà, ispirarmi a personaggi veri, magari non tutti coinvolti tutti nella stessa storia, ma veri".
Anche l'attrice protagonista Veronica D'Agostino, scelta dal regista proprio per il suo essere quasi incontaminata dall'urbanismo, ha conosciuto la Rita originale e in lei ha visto "una ragazza forte e determinata che cercava di seguire i suoi ideali, che non voleva rimanere nella sua isola ma andare via, provare altre sensazioni e riscoprirsi. Dunque prima l'ho vista come un ragazza che voleva provare altro e solo poi come una ragazza che si è messa a combattere qualcosa di più grande di lei".

Una coproduzione francese
Data anche la gran parte della vita che Marco Amenta ha speso in Francia a lavorare come documentarista e giornalista il film è stato prodotto con un 30% di contributi transalpini. Contributi che sono visibili anche nella figura del magistrato plasmato su Borsellino e Falcone che è interpretato da Gerard Jugnot, un attore che nel proprio paese è noto per film comici ma che qui è stato chiamato per un ruolo serissimo: "Leggendo lo script mi sono chiesto se fosse giusto che io da francese facessi questo ruolo simile a Borsellino. Invece proprio Marco ha pensato che far fare quel ruolo ad un attore che non gli somiglia e che il pubblico italiano non conosce poteva essere una buona idea, perchè un attore troppo popolare poteva oscurare il personaggio vero".
Il suo sguardo è sicuramente il più particolare. Poco informato delle mille particolarità dei sistemi mafiosi si è appassionato per prima cosa alla storia: "Quello che mi ha molto colpito è proprio l'aspetto universale: una ragazza che avendo perso padre e fratello è riuscita a ribellarsi, la cosa mi ha sconvolto E poi c'è la componente drammatica dell'eroismo quasi suicida di Borsellino che dopo la morte di Falcone sapeva che il suo giorno sarebbe arrivato presto ma come in una tragedia greca ha continuato a fare il suo lavoro andando verso la morte".
In Francia il film uscirà il 10 Maggio e sempre secondo Jugnot potrebbe essere un successo: "Il pubblico in Francia sicuramente potrà appassionarsi all'aspetto mafioso e alla storia di una ragazza che si ribella al fianco di un personaggio che diventa come un suo padre. Al pubblico del mio paese può colpire specialmente il fatto che sia una donna pronta a fare questo passo".

I confronti con Gomorra
La siciliana ribelle è stato girato contemporaneamente al film di Matteo Garrone dunque il paragone arriva inevitabile, specialmente considerando l'ottica molto poco poetica e romantica che i due film danno del sistema mafioso ma anche il modo quasi semidocumentaristico con cui vanno a scavare, facendo un largo uso di attori non professionisti, di dialetto e di documentazione sui fatti veri. Tutte componenti che non sono state riprese da uno vedendo i film dell'altro proprio per la contemporaneità delle riprese.
"Volevo rappresentare le cose allo stesso modo con cui sono state fatte poi in Gomorra, non volevo un boss interpretato da un bell'attore ma qualcosa di reale" racconta Amenta "Alcuni attori sono non proessionisti altri invece si e poi abbiamo usato spesso il dialetto sottotitolandolo perchè dà molta veridicità ma anche libertà per gli attori di far quello che vogliono e portare un contributo vero. Nonostante ci fosse una sceneggiatura molto scritta c'era anche molto spazio per improvvisare".
Eppure sempre Amenta ricorda come molti elementi tipicamente drammaturgici sono stati introdotti anche grazie all'apporto fondamentale del grandissimo Luca Bigazzi alla fotografia: "C'è una grossa divisione tra la prima parte della vita di Rita, quella felice che è resa a livello estetico grazie all'uso della pellicola 35mm, grazie a movimenti di macchina stabili, alla luce del sole ecc. ecc. E poi la seconda parte, quando gli omicidi distruggono il suo mondo e tutto cambia. Quella parte l'abbiamo girata in super16 con una grana più grossa, inquadrature strette, macchina a mano e ambienti chiusi per dare l'idea dell'instabilità che mette in discussione il suo mondo e come sia costretta ad affrontarne uno nuovo. Un nuovo mondo che non le appartiene. Per me era importante la sua ricerca di una nuova identità e di emancipazione femminile".

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