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Galantuomini: melodramma criminale

Galantuomini ripropone il melò sulle mappe del cinema italiano da troppo tempo immune al virus dell'eccesso.
di Marzia Gandolfi

Amanti senza domani
Edoardo Winspeare (58 anni) 14 settembre 1965, Klagenfurt (Austria) - Vergine. Regista del film Galantuomini.

martedì 18 novembre 2008 - Incontri

Amanti senza domani
Non c'è regista italiano che non abbia fatto i conti con il melodramma, perché è la radice più profonda ed eccessiva della nostra cultura, perché gli italiani sono antropologicamente votati al melodramma. Eppure il cinema italiano lo rimuove, facendolo scivolare sul territorio più controllabile del commovente e del sentimentale. Perennemente relegato ai margini del territorio dei generi "nobili", il melò appare, scompare e si trasforma. In tempi in cui il fenomeno ha smesso di prodursi o nel migliore dei casi fa la sua comparsa in forme minime e interstiziali, colpisce e si fa notare il Galantuomini di Edoardo Winspeare. Il melò del regista salentino si fa carico degli eccessi e delle ferite che il genere implica sul piano narrativo e formale, dando spazio alle pulsioni melodrammatiche e mettendo in scena una storia d'amore impossibile tra un magistrato e una donna di malavita. Il melò di Winspeare affonda le sue radici nel Salento che si offre come palcoscenico privilegiato del conflitto e dei sentimenti. Nella Puglia degli anni Novanta, che perdeva figli e innocenza nel nome della Sacra Corona Unita, Galantuomini ordisce una partitura contrastata intorno a un tema di amore e morte che non spinge mai i conflitti sentimentali verso la ricomposizione e l'appagamento. Come aveva già fatto per Pizzicata, Sangue vivo e Il miracolo, Winspeare abdica l'oleografia e rivela un territorio di coltura dell'inquietudine, della mancanza di avvenire, dell'illegalità e dell'insoddisfazione diffusa. Sguardo dolente sui conflitti interni dei personaggi e sul paesaggio dopo la "battaglia". In Galantuomini il sangue vivo e l'amore sanguigno fluiscono e sondano gli abissi del mistero, di una vita, di un amore. Assistito da due interpreti efficaci, in grado di incantare lo spettatore, Winspeare squaderna lo spettacolo dell'iperbole, riproponendo la dismisura del melò e lasciando parlare il dolore. Fabrizio Gifuni e Donatella Finocchiaro non sono divi ma interpreti forti delle loro risorse artistiche. Sono esseri umani alla ricerca di una condizione esistenziale e sentimentale da perseguire con le proprie forze dentro un contesto sociale violento. In Galantuomini gli ingredienti melodrammatici finiscono per confluire nelle convenzioni del noir (la caduta nella malavita e il tentativo di uscirne) e, nella scelta di rinunciare ad andare fino in fondo nei sentimenti, la malafemmena e il magistrato incarnano personaggi melodrammatici frenati e scanditi negli ultimi inesorabili controcampi.

Magistrati galantuomini
E doardo Winspeare: I galantuomini sono tutte quelle persone che cercano di comportarsi bene, secondo coscienza. Certo bisogna chiedersi che cosa significhi "comportarsi bene". L'Italia è un paese interessante perché le regole morali cambiano a seconda delle sensibilità regionali. Nel sud è importante agire bene rispetto alla famiglia, nel nord Italia l'agire probamente significa avere anche senso civico. Galantuomo è un sostantivo molto usato in Italia, specialmente a Lecce abbiamo l'abitudine di dire: "è un avvocato galantuomo, un sindaco galantuomo". Lo facciamo per tradizione, o forse perchè da noi certe formalità sono ancora importanti, o ancora perché non è rimasta molta gente a comportarsi da galantuomo, di conseguenza tendiamo a esagerare o a enfatizzare quando ne incontriamo uno. In fondo comportarsi bene dovrebbe essere una cosa normale. Nel mio film c'è un solo galantuomo ed è il magistrato interpretato da Fabrizio Gifuni, che verrà messo di fronte a un dilemma: agire secondo la legge, seguendo gli insegnamenti del padre avvocato o cedere all'amore per una donna criminale. Nella sceneggiatura originaria c'erano diversi "galantuomini", erano i genitori dei nostri personaggi, ma poi nella nuova versione abbiamo deciso di escluderli dalla storia, lasciando però inalterato il titolo. Ci piaceva quel "galantuomini", aveva un'accezione ironica.

Mélonoir
E doardo Winspeare: Galantuomini è la storia di un amore impossibile, un melodramma classico che ho impiantato su una struttura noir. Mi interessava raccontare il dramma di un uomo che crede nella legge e che mette tutto in discussione per una donna di cui è da sempre innamorato. Volevo esplorare il confine tra la legge scritta e quella morale. Al centro del mio film ci sono Lucia e Ignazio, un uomo e una donna, due protagonisti e antagonisti. Lucia nasconde dietro un quotidianità normale la feroce determinazione del boss, è una donna dura che ha dovuto imporsi per affermarsi in un mondo di uomini. Ignazio per troppo tempo non ha capito o non ha voluto capire i suoi sentimenti per Lucia, fino al giorno in cui metterà a repentaglio tutto per lei: il suo nome, la sua carriera, i suoi valori. Galantuomini è soprattutto una storia d'amore, non ero interessato in nessun modo ad esprimere giudizi morali. Ho ambientato questo mélo negli anni Novanta perché quella stagione segnò profondamente il Salento e i salentini, con l'affermazione della Sacra Corona Unita finiva la nostra età dell'innocenza. Nell'immaginario collettivo quando si parla di mafia vengono in mente Napoli e la Sicilia, non certo la Puglia. Mi interessava allora concentrarmi su questo aspetto di "innocenza perduta", raccontare un'organizzazione criminale poi sconfitta perché non aveva radici.

La lupa e il magistrato
E doardo Winspeare: Donatella Finocchiaro ha la bellezza e l'intensità di Anna Magnani e Irene Papas. È l'unica attrice che avrebbe potuto restituirmi il fascino misterioso di una donna del passato. Per la mia Lucia volevo un volto e un'espressione che non fossero ancora stati guastati dalla televisione. Donatella esprime un'innocenza arcaica e decisamente retrò, capace di comunicare allo spettatore tutto il dramma e la tragedia del sud. Se non ci fosse stata Donatella molto probabilmente non avrei potuto fare questo film. Lucia è una bandita, una brigante, una donna sensuale e pericolosa, spietata e irrimediabilmente seducente. Fabrizio Gifuni è più razionale, è uno straordinario attore che incarna alla perfezione il galantuomo e il magistrato integerimmo. È un uomo molto elegante e ha quella drammaticità tutta intellettuale, ideale per interpretare il dilemma dell'uomo di legge e dell'uomo in amore. Inoltre è un grande imitatore di accenti e mi ha restituito magnificamente la cadenza leccese.

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