Come dio comanda

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Un film di Gabriele Salvatores. Con Elio Germano, Filippo Timi, Fabio De Luigi, Angelica Leo, Vasco Mirandola, Ludovica Di Rocco, Alvaro Caleca, Alessandro Bressanello Drammatico, durata 103 min. - Italia 2008. - 01 Distribution uscita venerdì 12 dicembre 2008. MYMONETRO Come dio comanda * * 1/2 - - valutazione media: 2,96 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Con i bambini interisti ho imparata a girare come Dio comanda…

di Federica Lamberti Zanardi Il Venerdì di Repubblica

Il regista, che ha appena finito le riprese del suo nuovo film tratto dal romanzo di Niccolò Ammaniti, presenta a Locarno un documentario sul progetto Intercampus. E racconta la voglia di giocare che gli è rimasta. Dall'infanzia.
Se avessi potuto, per il ruolo di Cristiano Zena di Come Dio comanda avrei scelto Florin, un ragazzino che ho incontrato nel Campus dell'Inter in Romania girando questo documentario. I suoi occhi azzurri pieni di malinconia e di un dolore struggente mi sono rimasti in fondo all'anima». Così, pensando allo sguardo di Florin, Gabriele Salvatores ha scelto il giovane Alvaro Caleca per il suo nuovo film tratto dal romanzo di Niccolò Ammaniti (il secondo, dopo Io non ho paura), di cui il regista sta finendo in questi giorni il mixaggio. Invece il suo Petites Historias Das Crianras (Piccole storie di bambini), che racconta il progetto nerazzurro di recupero attraverso il calcio dei ragazzini delle periferie del mondo, sarà presentato al Festival di Locarno (dal 6 al 16 agosto). In un anno Salvatores, insieme a Guido Lazzarini e a Fabio Scamoni, ha visitato sette dei 17 Paesi del progetto Intercampus (Bosnia, Brasile, Camerun, Cina, Colombia, Iran e Romania). Ne sono nati novanta minuti sull'infanzia disagiata alla quale la passione per il calcio dà la possibilità di un'altra vita. «Mentre lavoravo al documentario ho cominciato a girar come Dio comanda. Ho guardai ai personaggi del film con lo stesso sguardo che avevo per questi bambini» dice Salvatores, che ha accettato di realizzare Petites Historias de las Crianças anche per via della s mia amicizia con Massimo Moratti e per la sua fede nerazzurra.
Ma lei è di Napoli. Come è diventato interista?
«A cinque anni, quando da Napoli sono andato a vivere a Milano, tifavo per la squadra della mia città. Ma a furia di mazzate con i compagni di scuola, i miei genitori mi hanno messo dinanzi a una scelta: o Milan o Inter. E io ho optato per la seconda, perché nella maglia c'era l'azzurro del Napoli. Poi, però, sono stato fortunato perché c'è stata l'Inter anni Sessanta con Herrera e Mazzola».
Gli interisti sono famosi per saper soffrire...
«Una volta Mazzola ha detto: cosa vuoi aspettarti da un club che ha nella maglia i colori del mare in tempesta? Ognuno sceglie la squadra secondo il carattere».
I protagonisti di Petites Historias Das Críanças sono dei ragazzini, come il quattordicenne di Come Dio comanda e come il bambino di lo non ho paura. Da cosa nasce questa attenzione al mondo dell'infanzia e dell'adolescenza?
«Non ho figli, anche se ho quasi l'età per essere nonno. E si vede che il mio succedaneo della vita, il cinema, mi sta proponendo di guardare all'infanzia. Sono molto affascinato dalla capacità di cambiare. Fino a una certa età si è disponibili a mutare, poi diventa tutto più difficile perché ci si chiude nelle sicurezze, nel proprio mondo. I bambini, gli adolescenti, invece, vivono una condizione di totale instabilità. Che è certamente molto difficile. Io, ad esempio, non tornerei mai alla mia adolescenza».
Perché? Come è stata?
«Complessa. Come dice Paul Nizan: "Avevo vent'anni. Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età...". Sei pieno di contraddizioni, ti senti brutto, inadeguato, insicuro, nichilista, parli spesso di morte. Oggi tutto questo è ancora poco evidente perché i ragazzi hanno davvero intorno un deserto di sentimenti, i e di sogni. Come fanno a immaginare il futuro non lo so».
Nel film tratto dal libro di Ammaniti si parla di un padre nazista e disadattato che insegna al figlio l'odio, ma lo fa con grande amore...
«Questo lo dice Niccolò. Nel film, come nel libro, il rapporto fra padre e figlio è molto forte perché almeno il ragazzo ha qualcuno che gli dice ciò che giusto e ciò che non lo è. E i figli, come i calciatori, hanno bisogno di qualcuno che dia loro le coordinate del mondo. Magari per poi scoprire che tuo padre aveva torto, che il tuo mister sbagliava, che il tuo regista sta dicendo delle stupidaggini. Però un giovane deve avere la possibilità di scontrarsi con una guida. Altrimenti gira a vuoto. Ed è quello che emerge anche dal nostro documentario: appartenere a un progetto, avere una maglia che ti fa sentire uguale agli altri è quello di cui i bambini hanno bisogno. E forse anche noi adulti».
Lei a quale «progetto» sente di appartenere?
«Come canta Sting: sono nato nel Cinquanta, quindi un po' di vita dietro ce l'ho. E perciò la mia identità è ancorata al senso profondo di me stesso. L'altro giorno leggevo che chi è nato fra gli anni Cinquanta e Sessanta ha avuto la fortuna di avere due giovinezze: quella anagrafica e quella degli anni Settanta. È proprio vero. Per me quel periodo è stato determinante: senza la musica di quegli anni, senza una concezione della politica che era una cosa ben diversa da oggi, ora sarei un avvocato. Come mio padre».
La paternità torna spesso nei suoi ultimi film. Come è stato il rapporto con suo padre?
«Non,ricordo abbracci e carezze, né che giocasse con me. Però mi ha molto protetto. Quando gli ho detto che volevo fare teatro, e non l'avvocato, è stato zitto un giorno intero. Poi ha risposto: La vita è la tua, scegli quello che vuoi. E se farai l'idraulico, cerca almeno di essere il miglior idraulico del quartiere"».
Be', c'è riuscito. È il miglior regista del quartiere...
«Pensa?».
Lei dice che è molto difficile continuare a cambiare. Invece, nei suoi film, passa da un genere e da uno stile all'altro. Cosa sta cercando?
«Credo che alla fine di questa vita non ci diano né un premio né un punteggio. Quello che dobbiamo fare è cercare di imparare il più possibile. Io cerco di crescere. Se avessi fatto Mediterraneo 2 e 3 ora avrei una bella villa. Ma mi sarei divertito meno».
Il gioco è molto importante nella sua vita?
Sì. Cerco di portare l'aspetto ludico in tutto ciò che faccio. Soprattutto nel lavoro».
E gioca ancora a pallone?
«Dopo un infortunio, poco. Ora mi dedico molto alla Playstation. Con Diego Abatantuono ci sfidiamo per ore. È l'unica persona che conosco che sgridava i bambini perché volevano smettere di giocare e andare a nanna. Urlava: "Va bene, se volete andare a dormire, allora domani non si gioooca"».
Da Il Venerdì di Repubblica, 1 agosto 2008

di Federica Lamberti Zanardi, 1 agosto 2008

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