Australia

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Un film di Baz Luhrmann. Con Nicole Kidman, Hugh Jackman, David Wenham, Bryan Brown, Bruce Spence.
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Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 165 min. - USA, Australia 2008. - 20th Century Fox Italia uscita venerdì 16 gennaio 2009. MYMONETRO Australia * * * - - valutazione media: 3,08 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Quando l’identità non nasce dall’uguaglianza Valutazione 4 stelle su cinque

di Divas


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domenica 18 gennaio 2009

“Australia” è un kolossal. E come tale va giudicato. E se lo spettatore accetta di andare a vedere un kolossal sa già che come ogni kolossal che si rispetti ci sono dei cliché: c’è la storia d’amore (le cui battute sono ovviamente prevedibili), c’è il contesto storico (bombe ed effetti speciali), ci sono i grandi paesaggi e le grandi ambientazioni. C’è un melange insomma: amore e avventura, sentimento e suspence moltiplicati per 147 milioni di dollari. Baz Lurhmann vuole raccontare la “storia d’identità di un continente”. Non è impresa da poco. Ma… c’è riuscito? Storia – identità – continente. Se vogliamo dare questo taglio ad “Australia” dobbiamo ricordare velocemente i cliché (Nicole Kidman, perfetta English lady in corsetto e ombrellino, che atterra nella selvaggia Australia popolata da buoni e civili aborigeni e sporchi mandriani bianchi, belli come Hugh Jackman, che ubriachi fanno a cazzotti nell’unica osteria del villaggio – e state pur certi che Hugh Jackman li stenderà a terra tutti!), metterli da parte e accettare che ogni storia di identità è una storia di violenza. O meglio di abnegazione. E Australia, essendo una storia di identità, è automaticamente una storia di violenza con particolare riferimento alle “generazioni perdute”: quei bambini nati dallo stupro di una donna nera, rinnegati – ovviamente - dai loro padri, presi e portati in istituti ecclesiastici per “allontanare il nero che c’è dentro” e a cui sono state fatte pubbliche scuse solo nel 2008. L’identità allora assume varie forme: non è l’identità del continente inteso solo e soltanto come Australia, ma è l’identità di chi vive in questo continente: è l’identità del bambino mulatto (né nero, né bianco), è l’identità intesa come senso di responsabilità verso l’altro, come “nuova vita” lontano dai salotti di Londra o come “nuovo ruolo sociale” all’interno di una famiglia “aggregata” (lei londinese, lui mandriano, il bimbo che non è figlio di nessuno di loro). Un’identità insomma in cui difficilmente possiamo riconoscere il “popolo australiano” o la “storia” del popolo australiano. Né tantomeno possiamo riconoscere l’identità come uguaglianza. Non almeno in questo caso. Semmai dobbiamo rovesciare questo concetto e accettare che l’identità è negazione, è violenza, è scelta. E ogni personaggio è negato (non più mandriano, non più lady, non più orfano), ha subito violenza o è emarginato, ha scelto di vivere in Australia o comunque in quella famiglia aggregata pur potendo scegliere altro o rimanere altrove. L’identità insomma come insieme di provenienze diverse: dall’inglese, all’aborigeno, al mandriano locale. Quello che ci propone Lurhmann è un ragionamento assai sottile, che rischia di annegare nel marasma del kolossal, ma che è ben visibile nel film specie nella seconda parte, una volta messe da parte le mandrie e le cavalcate ai limiti del precipizio. Quando il film ricomincia e assume un altro volto. C’è un po’ di tutto in quelle due ore e mezzo: avventura, amore, guerra, vendetta. Tutti gli ingredienti che dovevano esserci. Ma c’è anche qualcosa in più: l’amore materno e quello paterno. Ed è proprio questa la parte più interessante, quella non prevedibile, non scontata e che riesce a coinvolgere lo spettatore anche se né Nicole Kidman, né Hugh Jackman sono al massimo del loro splendore. E’ riuscito Baz Lurhmann a raccontare la storia d’identità di un continente? Sì, c’è riuscito con un kolossal che ha tutti i limiti del kolossal. www.iblalab.it

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