The Hunting Party

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Un film di Richard Shepard. Con Richard Gere, Terrence Howard, Jesse Eisenberg, James Brolin, Ljubomir Kerekeš.
continua»
Azione, durata 103 min. - USA, Croazia, Bosnia-Herzegovina 2007. - Mikado Film uscita mercoledì 30 aprile 2008. MYMONETRO The Hunting Party * * - - - valutazione media: 2,47 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

Sono un uomo di spirito, dimenticate «American Gigolò»

di Silvia Bizio La Repubblica

«Ne parlerò con Sua Santità questo weekend». Richard Gere è appena salito sulla limousine che lo condurrà all'aeroporto e ha molta fretta. Deve raggiungere la massima autorità del buddismo tibetano, il Nobel per la Pace e quattordicesimo Dalai Lama, Tenzin Gyatso, con il quale trascorrerà il fine settimana. Discuteranno le strategie da adottare per esortare il governo cinese ad ammorbidire il giogo sul Tibet, senza arrivare al boicottaggio delle Olimpiadi.
Il Dalai lama, è cosa nota, è un punto di riferimento importante per l'attore, che ha scoperto il buddismo venticinque anni fa. Tanto che il divo, i? anni, considerato un sex symbol fin dai tempi di American Gigolò (era il 1980) e vincitore del Golden Globe come miglior attore nel 2003 con il musical Chicago, è uno dei più noti attivisti della causa tibetana, a capo della Ict, International Campaign for Tibet, organizzazione non profit che si impegna per il riconoscimento dei diritti umani nel paese hymalaiano.
«Faccio del mio meglio» sospira l'attore, «ma ho in ballo diversi film e cerco, allo stesso tempo, di avere una vita». Fra una protesta per il passaggio della fiaccola olimpica e un incontro con il leader buddista, Gere sta infatti promuovendo The Hunting Party, dove interpreta un giornalista, Simon Hunt, che ha fatto della caccia al criminale di guerra Radovan Karazdic la sua ossessione. Inoltre è impegnato nelle riprese del film di Lasse Hallström Hachiko e ha appena accettato di recitare in altri due film, Amelia, biografia dell'aviatrice Amelia Earhart con Hilary Swank, e Brooklyn's Finest di Antoine Fuqua, con Ethan Hawke».
Ha appena interpretato il ruolo di un inviato di guerra in cerca di verità: come giudica la stampa, in particolare quella americana, e il modo in cui affronta problemi come il Tibet?
«Ammiro la specie rara dei freelance, cronicamente squattrinati e desiderosi di raccontare la realtà. The Hunting Party parla di un conflitto che conosco bene: visitai il Kosovo alla fine degli anni Novanta e vidi situazioni simili a quelle descritte nel film. Penso che i giornalisti che non travisano la realtà siano essenziali per la salvaguardia delle istituzioni democratiche. Quanto all'America, recentemente la rete televisiva Nbc, che ha l'esclusiva per trasmettere le Olimpiadi negli Usa, mi ha invitato a discutere del Tibet con i suoi dirigenti. Si trovano in imbarazzo, i rapporti di lavoro con la Cina si stanno complicando. Le autorità cinesi, infatti, avevano promesso libero accesso ai Giochi, ma ora parlano di monitorare e censurare le dirette. Da piazza Tienanmen, per esempio, non si potrà trasmettere dal vivo. Il dilemma, per un canale d'informazione importante come Nbc è tremendo. Va bene il profitto, ma ci tengono a raccontare i fatti. Gli ho consigliato di non mentire al pubblico, magari definendo "live" un evento che non lo è, e di raccontare tutto quello che vedono. È importante insistere affinché i cinesi rispettino l'accordo di trasparenza iniziale: quando la Cina si aggiudicò le Olimpiadi, promise di cambiare la politica dei diritti umani, ma non lo ha fatto».
Crede che il presidente Bush stia facendo sufficienti pressioni su Pechino? «L'amministrazione Bush è insieme prevedibile e imperscrutabile. Parlando del Tibet informalmente, sostengono la necessità di rispettarne la libertà religiosa, punto che al presidente preme davvero. Avete visto il calore con cui ha accolto il Papa: se c'è una cosa su cui contare è il suo sostegno alla libertà di fede. L'affetto che ha per il Dalai Lama è sincero, tant'è che a ottobre gli ha conferito la Medaglia d'Onore del Congresso. Io c'ero, e mi sono sentito fiero di essere americano. Però Bush non ha nessuna intenzione di mettere a rischio gli accordi commerciali con la Cina: dubito che assumerà una posizione antagonista».
Tra i candidati alla presidenza, chi affronterebbe il problema con più fermezza?
«Ho parlato con tutti, Clinton, Obama, McCain: hanno idee chiare sul Tibet. Simili alle mie».
Dunque per chi voterà?
«Oggi direi per Barack Obama, con cui sento forti affinità».
E si è fatto qualche idea sulla terza vittoria di Silvio Berlusconi in Italia?
«Non l'ho mai incontrato e so poco di politica italiana, ma da quello che leggo mi sembra un altro George W. Bush, con la stessa visione globale. Entrambi parte di un ristretto gruppo di potenti che prende decisioni fregandosene di cosa accade davvero nel mondo».
Lei sostiene il boicottaggio elle Olimpiadi. Il Dalai Lama è contrario...
«Sconsiglierà agli atleti di andare a Pechino?
«No, gli atleti sono atleti e hanno il diritto di partecipare ai giochi. Ma dobbiamo sensibilizzare la gente, farla discutere su quel che accade».
Quello tra Cina e Tibet sembra un conflitto tra materialismo e spiritualità...
«È vero. Il comunismo ha tentato di distruggere l'antica cultura spirituale tibetana e oggi la Cina mostra il contrasto fra la modernità delle città cinesi e la modestia del Tibet rurale, per far credere che più c'è sviluppo più si è felici. Balle. La felicità non è legata né alla produzione né al consumismo».
E lei dove la trova?
«In buona parte, in quel che ho imparato dal buddismo e dalle parole semplici e sagge del Dalai Lama. Questo mondo può davvero essere migliore, non mancano amore e compassione, che sono i presupposti per convivere e rispettarci. La carriera, i premi, le critiche non mi toccano più di tanto. Il buddismo in'impone di cercare l'illuminazione che continua a sfuggirmi».
Anche diventare padre le avrà cambiato un po' la vita...
«Chiunque abbia figli sa che la loro nascita è un momento chiave nella vita di un adulto. Mio figlio Homer per me è pura gioia: ha otto anni e ha appena scoperto la passione per il baseball, tifa Yankees, ed è magnifico insegnargli i principi dello sport, guidarlo per mano nel cammino della vita. Quando l'ho visto appena nato ho sentito subito che sarebbe diventato il mio intero universo».
Lei è molto amato dalle donne fin dai tempi di «American Gigolò». Come si riesce a restare un seduttore nonostante le insidie del tempo e del ruolo?
«Quel personaggio è stato lontano da me fin dall'inizio. Non sapevo come interpretare un rabbioso represso, non sapevo niente di abiti e moda, non parlavo cinque lingue, non ero un seduttore seriale. Ma quel ruolo è diventato una sorta di simbolo sociale, e di sicuro un mio alter ego, che io lo voglia o no».
Il suo impegno politico e umanitario ha interferito con la sua carriera d'attore?
«Mai. E comunque non sono certo il primo. Fin dagli anni Venti gli attori si sono fatti portavoce di lotte sociali e politiche. Essere attivisti non danneggia affatto la carriera, basta guardare ai miei amici George Clooney e Brad Pitt, che stimo anche per il loro impegno. Le celebrità hanno il dovere morale di usare il proprio potere mediatico a fini benefici, richiamando l'attenzione dell'opinione pubblica su tutte le violazione dei diritti umani».
Da Il Venerdì di Repubblica, 1 maggio 2008

di Silvia Bizio, 1 maggio 2008

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