La masseria delle allodole

L'impegno dei Taviani contro gli integralismi

L'agitazione che ha accolto il film al festival di Berlino il mese scorso era un'esagerazione alimentata dalla stampa (tedesca, pensando alla numerosa comunità turca residente) però La masseria delle allodole di Paolo e Vittorio Taviani non è un regalo alla suscettibilità dell'opinione pubblica e delle autorità turche che non riconoscono l'esistenza di un"genocidio". Fonte del film è il romanzo nutrito di memorie familiari dell'italiana di origine armena Atonia Arslan (Rizzoli), dove attraverso una vicenda familiare si rievoca quanto accadde nel 1915. Quando la classe dirigente turca dell'ancora per poco Impero Ottomano (in guerra accanto agli imperi centrali) lanciò un'offensiva contro la minoranza armena: spoliazioni, torture, incarcerazioni, uccisioni, deportazioni in massa. Accusata di essere quinta colonna del nemico russo. Un'esplosione, sembra dirci il film richiamando lo stesso tipo di intolleranza e pregiudizio, simile per qualità se non per quantità a quella che avrebbe decimato il popolo ebraico. La narrazione ha il passo del feuilleton ed è probabile che, così come le due più recenti prove dei fratelli di San Miniato - Luisa Sanfelice e Resurrezione, di destinazione televisiva - furono percepite come "troppo cinematografiche" per il piccolo schermo, questa che è invece destinata alla sala risulti «troppo televisiva per essere cinema". Ma i registi non se ne preoccupano troppo, non stanno scomodi nell'ibrido e tirano dritto. Non proprio convincente ma utile.
Da La Repubblica, 23 marzo 2007


di Paolo D'Agostini, 23 marzo 2007