I padroni della notte

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Un film di James Gray. Con Joaquin Phoenix, Mark Wahlberg, Robert Duvall, Eva Mendes.
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Titolo originale We Own the Night. Drammatico, durata 117 min. - USA 2007. - Bim Distribuzione uscita venerdì 14 marzo 2008. MYMONETRO I padroni della notte * * * - - valutazione media: 3,00 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Cocaina in famiglia. Joaquin Phoenix complice narcotrafficanti. Mark Wahlberg, suo fratello un poliziotto incorruttibile. Nel nuovo film di James Gray due star in ascesa. E un conflitto sotto lo stesso tetto

di Lorenzo Sorta L'Espresso

La genesi di We Own the Night, slogan di battaglia negli anni '80 della polizia di New York che voleva riconquistare la città sfuggitale di mano e diventata regno di gangster e trafficanti, risaie a un incontro avvenuto nel 2000 tra James Gray e l'executive di uno studio. «Che ne dici»,, chiese l'uomo di Hollywood, <,di un poliziesco con un bell'inseguimento in auto»? Gray è un regista lento e metodico, dopo il successo nel 1994 di Little Odessa, ambientato nella comunità russo-ebraica di Brighton Beach e vincitore del Leone d'Argento a Venezia, il suo film successivo, The Yards", è arrivato solo nel 2000. Serre anni dopo quella vaga e generica proposta, Gray ha risposto di si, inserendo nel suo nuovo film, We Own the Night appunto, una sequenza destinata a entrare nella lunga e onorata storia dei "car show": inseguitori e inseguiti zigzagano pericolosamente tra i piloni della Bruckner Express al Bronx, sotto una pioggia battente generata al computer. Come promesso, quello di Gray è anche un poliziesco, ma non è l'ennesimo film della scie -gli agenti di New York alle prese con il cattivo di turno, o le forze dell'ordine contro i venduti". «Ho voluto fare un film poliziesco che non avesse niente a che fare con i soliti poliziotti corrotti», spiega il regista: «Così ho messo al centro della storia una famiglia. E gli ho dato una struttura mitica, dove il destino gioca una parte preponderante ».
Il terna dei film è la mafia russa decisa a prendere il controllo dei mercato della coca. Il mito che torna è invece quello di Caino e Abele. Ma nella versione con happy ending diventa invece la parabola del figliol prodigo, con la famiglia rappresentata come elemento tossico, ma anche come una struttura che ci segna indelebilmente e che pure quando ci illudiamo che non sia così, è sempre presente. E proprio questo ciò che accade a Bobby Green, interpretato da Joaquin Phoenix, un attore in forte ascesa a Hollywood.
Camicia rossa, un diamante all'orecchio, una Eva Mendes estremamente erotica tra le sue braccia mentre Blondie suona "Heart of Glass", Bobby fin dalla primissima scena ci fa sapere che è uno che sa godersi la vita. Gestisce un locale di Brooklyn, dentro il quale si aggira con grazia e padronanza, un sorriso per tutti. E un playboy, che ha tutto e che adesso, grazie ai Buzhayev, i russi che posseggono il bar dove lavora e che sono diventati per lui una seconda famiglia, potrebbe andare ancora più in alto. Ma anche se dice di chiamarsi Green in realtà è un Grusinsky, come suo padre Burt (Robert Duvall) e come suo fratello Joseph (Mark Wahiberg): il primo il “police chief" e il secondo anche lui un poliziotto, che si capisce farà strada. E adesso Bobby si ritrova in mezzo, perché la polizia ha preso di mira il clan dei Buzhayev che (lui non sa, o fa finta di non sapere), usano il suo club per coprire un traffico di coca che gli permetterebbe di avere il monopolio della droga di New York. Bobby deve scegliere e alla fine si schiera con la sua famiglia e dà al padre in punto di morte la soddisfazione di sapere che indosserà l'uniforme. Come lui e come il fratello buono.
«La possibilità di un uomo di cambiare il proprio destino è motto più limitata di quanto vogliamo credere», dice il regista Gray: «Ci sono altri fattori che giocano una parte molto importante: il corso della storia, la cultura, la famiglia, eventi esterni, l'istinto, l'amore. E questo è ciò che ho voluto esplorare». Per alcuni non c'è riuscito, producendo un film che non è un vero poliziesco e neanche un dramma shakespeariano. Mala pellicola è stata un caso in America e c'è anche chi vi ha visto la conferma del fatto che Gray è un autore cult. Per esempio, "Le Monde" (il film è andato a Cannes e tra pochi giorni approderà nelle nostre sale) lo ha definito «una dei grandi registi americani dei nostro tempo». Certo è tradizionale, quasi pre-moderno, impegnato in una operazione di nostalgia. Nostalgia non per un particolare momento storico, ma per un'America mitica, quasi tribale, dove gli uomini chiedono a donne e bambini di allontanarsi per parlare di affari e l'appartenenza e la lealtà al proprio clan viene prima di tutto. Anche i poliziotti si caricano tra di loro dicendo ,.
We Own the Night è anche quel un film che rompe il tabù della classe, categoria sociale che agli americani piace credere che da loro non esista. Già, perché se siamo incapaci di cambiare il destino riservatoci dall'appartenenza a quella particolare famiglia e dunque di determinare quale piega prenderà la nostra vita, dove va il mito cosi caro all'America della mobilità sociale, grazie a cui tutti possono aspirare a toccare il cielo? «Il film è in contrapposizione con l'idea dei farti da solo e per qualcuno questo suonerà come una sorta di affronto ideologico», commenta Gray. E poi ci sono i protagonisti. Nella parte di Bobby, Joaquin Phoenix appunto, il Johnny Cash di Walk the Line e il Commodus dei Gladiatore, si conferma un attore di grande intensità. «Joaquin è un uomo impossibile, un folle», dice con affetto WahIberg, che con Phoenix aveva già lavorato in un altro film di Gray, "The Yards": «Ricordo il giorno che è arrivato, e gli ho presentato Duvall: lui ha cominciato a dirgli che era un vecchio rimbambito e a guardarlo con occhi di fuoco. Mi sono sentito imbarazzato per Robert, ma Joaquin era già entrato nel personaggio del figlio in conflitto col padre». Settantasei anni, Duvall ci ha riso sopra. E si è fatto vedere in Arma, capace di rendere credibile l'archetipo biblico del padre diviso tra il disprezzo e l'amore per il figlio perduto. Wahlberg, poi, è affidabile come sempre in divisa che, quando se la vede addosso, lo porta indietro nel tempo. «Ho passato vent'anni della mia vita a fare cose brutte e odiavo la polizia», racconta WahIberg, che nel frattempo è diventato un bravo padre di famiglia: «Adesso ho solo ammirazione per loro e per tutti quelli che si sacrificano per difendere quelli che non sanno proteggersi da soli». Sono le stesse parole che aveva usato l'anno scorso, quando ha recitato in The Departed di Martin Scorsese, dove interpretava il ruolo di un altro poliziotto incorruttibile. Così a Hollywood rinasce il mito dell'uomo integerrimo.
Da L'Espresso, 13 marzo 2008

di Lorenzo Sorta, 13 marzo 2008

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