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C'era una volta un gangster

Esce in sala l'American Gangster di Ridley Scott, declinazione "replicante" dell'eroe guerriero e dell'eroe fuorilegge. Russell Crowe versus Denzel Washington.
di Marzia Gandolfi

Eroe guerriero e fuorilegge

giovedì 17 gennaio 2008 - Approfondimenti

Eroe guerriero e fuorilegge
Sarebbe fin troppo facile dire che American Gangster (ancora una volta) narra di alieni e replicanti, di gladiatori e duellanti, che nella grana luministica delle sue immagini palpitano le polveri fluorescenti di Legend o le caligini ferruginose di Alien. Tutto questo c'è, indubbiamente, ma passa in secondo piano rispetto alla necessità di raccontare prima di tutto la storia di due antagonisti condannati eternamente alla stessa immutabile pena: combattersi. Richie Roberts, il poliziotto ebreo di Russell Crowe, è inizialmente occultato, non è altro che uno dei tanti poliziotti della contea di Essex. Appena più in là della Grande Mela la mafia ha comprato gli sbirri, che vivono in villette monofamiliari immerse nel verde, che hanno mogli a carico e puttane nel letto, che bevono, sniffano, picchiano e qualche volta uccidono. Tutto tace, perché tutto, fuori e dentro New York, è putrido, omertoso e falso. Solo quando i colleghi, corrotti e venduti, vengono rimossi dai loro incarichi, Richie conquista il centro della scena dando vita a uno scontro infinito con Frank Lucas, gangster nero e boss della droga. Richie e Frank sono di fatto l'uno il doppio dell'altro: Crowe, pur emancipato dalla statuarietà e dalla retorica dell'iconografia del Gladiatore, mantiene di Massimo Decimo Meridio l'impeccabile fattura dell'eroe guerriero, che riscatterà la divisa, lo spirito di corpo e la vocazione avvilita; Washington è invece l'antieroe tipicamente gangster, il self made man, ovvero l'americano tipo, che si avvale di mezzi illeciti per accumulare ricchezze ma è destinato al fallimento. È un villain energico e felino, che cela la sua azione e la sua natura dietro un'ipocrita patina di rispettabilità e di supposta legittimità attribuitagli da una società, come quella americana, che sembra aver smarrito temporaneamente il senso della giustizia. Ridley Scott, autore eclettico e inclassificabile, portatore sano di stile sovrabbondante e di competenza tecnica infallibile, dispone con grande maestria la tensione narrativa del confronto dei suoi "eroi" che, secondo la consolidata retorica del genere, si realizzerà alla fine e concluderà lo scontro. Per il poliziotto e il gangster è l'ora della resa dei conti. Per il fuorilegge, questa volta, non è tempo di morire.

New Frank City
Il Frank Lucas di Denzel Washington è la versione ragionevole e "gentiluomo" del Nino Brown di Wesley Snipes (New Jack City, 1991), demonio desiderante e trattenuto, pronto a esplodere come Al Pacino. Brown è un "derivato" allucinato di Lucas, come il crack che produce è un derivato chimico della coca purissima di Frank. I gangster neri e titanici degli anni Settanta (Lucas) e Ottanta (Brown) camminano insieme lungo le strade urbane e stupefacenti di Harlem, tra l'immondizia e la fratellanza nera, tra i mafiosi italiani ormai superati, che mettono a tacere mitragliandoli sui marciapiedi o ai tavoli dei caffé. I king neri dello spaccio condividono lo stesso regno e lo stesso castello, il "Carter", un enorme caseggiato popolare sequestrato coi suoi inquilini e trasformato in centrale di produzione. Diverso invece il destino: Brown cade come lo "sfregiato" Tony Montana, Lucas collabora con gli sbirri e sopravvive. Battitore libero, lucido e intelligente, Frank è un outlaw, è l'altra faccia del mito trionfalistico dell'american dream, è il fuorilegge eroico che si trasforma in un personaggio da ballata alla Robin Hood. Nel momento di crisi degli States, la guerra nel Vietnam e l'opposizione scatenata dai gruppi pacifisti, l'emergere prepotente del Terzo Mondo e il suo controverso intreccio coi rimescolamenti etnici e con le minoranze razziali sulle strade di Detroit, Frank Lucas diviene, a modo suo e in virtù dell'insoddisfazione generale, un eroe che si "batte" contro la soggezione capitalista e la società ostile alle esigenze dell'individuo. La legittimazione popolare all'azione (di Frank) non turba né tantomeno seduce il poliziotto guerriero di Crowe, americano generoso e libertario, combattente fedele a un codice (come il generale romano), che lotta e vince contro il criminale nero. Autentico oggetto di attrazione e di venerazione, Frank Lucas entra in carcere per uscirne diversi anni dopo, staccato dolorosamente dalla possibilità leggendaria, senza più un testimone o un cantore a celebrarne il mito e il culto. È la fine di un'epoca e Frank è l'eroe intrappolato nella sua dimensione liricamente tradizionale. I giovani neri del ghetto adesso ballano l'hip-pop e si avvelenano col crak.

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