Silent Hill

"Silent hill", il videogame che fa bene al cinema

Resi diffidenti dall'esperienza, quando sentiamo che un film deriva da un videogame mettiamo mano alla pistola. Ecco perché Silent hill, cinegame ispirato a una serie della giapponese Kunami ormai arrivata alla quarta versione, è una piacevole sorpresa. Lo percepisci fino dai primi minuti, mentre l'obiettivo del francese Christophe Gans esplora le vie deserte della città fantasma del titolo, dove Rose (Radha Mitchell, la "doppia Melinda" di Woody Allen) si aggira alla ricerca della figlia adottiva Sharon. Cineasta ultrapop coadiuvato alla sceneggiatura da Roger Avary, l'antico complice di Tarantino, Gans non cade nella trappola degli altri film mutuati dalla console, cioè scambiare lo spettatore con il giocatore. Mette invece in scena un horror di sopravvivenza raccontato come si deve e impostato, più che sugli spari o gli avversari abbattuti, sulle atmosfere. Atmosfere malsane, in bilico tra diversi piani spazio-temporali, misteriose e perturbanti. Periodicamente, sulle strade di Silent hill cadono senza preavviso le tenebre, come un sipario scuro. Allora il villaggio si popola d'una legione di creature repulsive, mutanti che fanno da corteo a un gigante dalla maschera a testa d'uccello. Sono frammenti di un incubo ossessivo e raffinato, con mostri interpretati da danzatori come fossero quadri animati di body art. Forza e originalità delle immagini prevalgono sul "messaggio" contro gli integralismi, facendo perdonare al film la lunghezza e il numero eccessivo di personaggi.
Da La Repubblica, 14 luglio 2006


di Roberto Nepoti, 14 luglio 2006