Le vite degli altri

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Un film di Florian Henckel von Donnersmarck. Con Martina Gedeck, Ulrich Mühe, Sebastian Koch, Ulrich Tukur, Thomas Thieme.
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Titolo originale Das Leben der Anderen. Drammatico, durata 137 min. - Germania 2006. - 01 Distribution uscita venerdì 6 aprile 2007. MYMONETRO Le vite degli altri * * * * - valutazione media: 4,10 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Un racconto morale sulla dignità dell'uomo Valutazione 5 stelle su cinque

di Michael Vronsky


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giovedì 7 giugno 2007

Era duro vivere dall’altra parte del muro a Berlino Est, nella Deutsche Demokratische Republik, la Repubblica Democratica Tedesca meglio nota come la DDR. Duro in un paese dove la libertà di espressione è inevitabilmente messa in discussione da un sistema prevaricatore teso a minacciare qualsiasi forma di legittimità. Essere minimamente sospettati di andare contro il Partito significava compromettere per sempre la propria vita. Il presso da pagare era altissimo, e in particolar modo per gli intellettuali era asfissiante vivere in questo incessante clima di tensione, poiché le persone di cultura erano quelle maggiormente ritenute possibili cospiratori. Fautrice di questo inquietante “Maccartismo all’incontrario” era la STASI, la polizia di Stato che con i suoi innumerevoli agenti sparsi per tutto il territorio s’insinuava morbosamente nelle vite altrui, raccogliendo frammenti di quotidianità, alla spasmodica ricerca di impercettibili indizi in grado di poter distruggere un’esistenza, isolandola a tempo indeterminato. Questo è il lavoro che svolge Gerd Wiesler, inflessibile capitano della STASI, occhi di ghiaccio e atteggiamento severo. Un giorno gli viene ordinato di spiare il noto scrittore George Dreyman nella sua abitazione, poiché forse è un dissidente. Allora Wiesler dalla sua postazione di controllo comincia a svolgere il compito di interlocutore. L’opera prima dell’esordiente Florian Henckel Von Donnersmarck è un capolavoro indiscusso. Ed è innanzitutto un film spiazzante per la sua attualità. In epoche come questa in cui la violazione della privacy è un’inarrestabile sopraffazione, “Le vite degli altri” è necessario per scuotere le coscienze. Una cruda metafora sulla contaminazione che si propaga a livelli parossistici, a macchia d’olio come una terribile epidemia: la STASI attraverso i suoi microscopici insediamenti. Un parassita. Essere inanimato capace di trarre nutrimento soltanto tramite la dominazione di organismi viventi immersi nel loro pacifico habitat. Una minaccia costante, attiva e mai esausta. “Le vite degli altri” è un film intenso, realista e mai ridondante: bravo Henckel Von Donnersmarck che ci proietta in un preciso contesto storico senza mai spettacolarizzare quelli avvenimenti, a differenza di altri registi che si servono della Storia per romanzare insulse fiction. “Le vite degli altri” ha il grande pregio di non risultare mai agiografico, neanche nelle ultime sequenze dopo il crollo del muro, e né tanto meno cade mai nella retorica. La regia lucida e semplice ( assenti virtuosismi: spazio a campi, controcampi, importanti primissimi piani) garantisce al film un’atmosfera di implacabile freddezza, in piena sintonia con l’aria inquieta che si respirava in quelli anni. Preda di incontrollabili paranoie, irrimediabili soprusi fisici e psicologici, l’uomo consapevole di non essere più padrone di sé stesso, cerca di porre un freno a tutto ciò: ecco che Gerd Wiesler, (uno straordinario Ulrich Muhe che recita con gli occhi) stufo della sudditanza psicologica e dello squallore esistenziale nella quale è circoscritto, a base di cibi precotti e amplessi a pagamento, decide di cambiare dando una svolta alla sua vita, prendendo una posizione determinante all’interno della situazione. “Le vite degli altri” è un racconto morale sulla dignità dell’uomo, la tangibile dimostrazione che nonostante la prevaricazione che un regime totalitario impone, l’umanità dell’individuo affiora, e il peso della coscienza esercita un ruolo decisivo, poiché una dittatura può annichilire la mente e il corpo, ma non l’anima. L’essenza di noi stessi implica le conseguenze delle azioni che facciamo. Ottima sceneggiatura mai prolissa, notevole la suspence che non cala mai di ritmo, eccezionali gli interpreti. E nel finale, negli occhi azzurri di Wiesler una volta minacciosi ma ora colmi di bontà, s’intravede finalmente un barlume di speranza e redenzione per il genere umano. Commovente.

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