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mercoledì 2 agosto 2023
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ortografia
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IDEALE è un sostantivo maschile. "Un ideale" si scrive senza apostrofo. Per piacere! Correggete. Salviamo l' italiano. Grazie
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greatsteven
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martedì 30 maggio 2017
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in viaggio con l'anima aperta alla ricerca di sé.
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LA STELLA CHE NON C'E' (IT/FR/SVIZZ/SING, 2006) diretto da GIANNI AMELIO. Interpretato da SERGIO CASTELLITTO, TAI LING
Un gruppo di industriali cinesi compra un altoforno in Italia presso un'acciaieria che sta per chiudere. Vincenzo Buonavolontà, responsabile della manutenzione della fabbrica, sa che l'altoforno acquistato ha una centralina difettosa e, offrendosi di ripararlo, in un vivace colloquio col responsabile della delegazione cinese, mediato da una giovane interprete, chiede agli industriali tempo affinché il guasto venga riparato.
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LA STELLA CHE NON C'E' (IT/FR/SVIZZ/SING, 2006) diretto da GIANNI AMELIO. Interpretato da SERGIO CASTELLITTO, TAI LING
Un gruppo di industriali cinesi compra un altoforno in Italia presso un'acciaieria che sta per chiudere. Vincenzo Buonavolontà, responsabile della manutenzione della fabbrica, sa che l'altoforno acquistato ha una centralina difettosa e, offrendosi di ripararlo, in un vivace colloquio col responsabile della delegazione cinese, mediato da una giovane interprete, chiede agli industriali tempo affinché il guasto venga riparato. Malgrado le rassicurazioni ricevute, l'équipe straniera riparte in tutta fretta dopo aver smontato l'intero altoforno dalla fabbrica. Vincenzo non può far altro, a questo punto, con la centralina già sostituita e pronta, che partire per Shanghai e concludere laggiù l'affare lasciato in sospeso. Giunto in terra cinese, riceve però una fredda accoglienza da parte del manager che gli dice fra l'altro che la fabbrica è stata venduta e, non conoscendosene i proprietari, manca anche l'indirizzo. Fortuna vuole che Vincenzo rincontri la traduttrice conosciuta in Italia, ripescata per caso in una biblioteca, la quale ha perso il lavoro per colpa sua ma, in cambio di denaro, si offre di accompagnarlo alla ricerca della misteriosa fabbrica. Fra città piovose, navigazioni su fiumi nebbiosi, soste forzate in miniere a cielo aperto e ripide salite architettoniche, Vincenzo e Liu Hua (così si chiama la ragazza) viaggeranno per tutta la nazione e stringeranno un'insperata amicizia che aiuterà entrambi a crescere e a vincere sui dolori del passato. Nel precedente Le chiavi di casa (2004), Amelio, tramite lo spunto di Nati due volte di Giuseppe Pontiggia, aveva raccontato la storia di un amore improbabile ma straordinariamente intenso, fra un padre che non conosce il figlio handicappato e il figlio disabile che è all'oscuro della sua paternità. Qui, con un cambio di rotta doveroso ma che apporta i suoi buoni frutti, e sempre mediante l'origine letteraria (il film è liberamente ispirato a La dismissione di Ermanno Rea), il regista calabrese ritorna sul tema degli affetti difficili, che vengono potenziati dalla distanza fisica e dal bisogno di attraversare luoghi sconosciuti per ottenere obiettivi importanti e riconoscere quanto c'è stato di sbagliato alle spalle e quanto di buono si può fare per recuperare i pezzi persi per strada. A proposito di pezzi, la centralina riparata da Vincenzo funge da incipit per costruire la mirabolante storia di un rapporto amichevole – ben evitata la trappola del sentimentalismo e della deriva romantica – fra un uomo e una giovane donna che non potrebbero essere più diversi fra loro. Lui, operaio riparatore senza moglie né figli, pragmatico, fortemente anti-idealista, volenteroso, generoso e con chiari scopi in testa, e lei, dal canto suo, acculturata, poliglotta, sedotta e abbandonata, appigliata a fragili affetti famigliari e con un futuro che, giorno dopo giorno, le crolla addosso quasi senza speranza di rimonta. La speranza viene però trovata quando i due si incontrano e, una conversazione tradotta, un incontro in biblioteca e un pranzo tipico dopo, la simpatia comincia lentamente a fiorire e fa della sua stessa lentezza il motore che anima l'intera trama. La profondità dei numerosi temi toccati (la solitudine, l'angoscia esistenziale, la burocrazia zoppicante e intralciante, gli amori che deludono e imbestialiscono, il viaggio come mezzo di conoscenza) trova la sua pratica attuazione nei dialoghi molto rarefatti, ma che giungono tutti al momento opportuno, senza un indugio di troppo, e di questo va dato merito alla splendida sceneggiatura che il regista ha scritto insieme a Umberto Contarello. I paesaggi soporiferi e foschi della Cina sono magistralmente accompagnati dai brani musicali originali della violinista Lisa Green (citata nei titoli di coda), che esegue lei stessa col relativo strumento, e dalle lamentose e piacevoli canzoni di Liu Shi Feng (anche lei menzionata a fine film). L'idea di incentrare la trama su due personaggi così forti, di impatto assicurato e fondamentali, non mette però troppo in secondo piano i comprimari, che fanno apparizioni di pochi secondi, ma aiutano a comprendere meglio gli intenti e i sentimenti che animano la coppia protagonista, soprattutto per quel che concerne il background di Liu Hua: il ragazzo aggressivo che la taccia di facili costumi, il bambino da lei partorito e che ora cresce senza madre, la nonna vecchissima che però conserva un rapporto positivo con lei, ma anche riguardo a Buonavolontà (un Castellitto tenuto con grande efficacia sotto le righe e a briglia stretta, capace di una prova molto convincente e sofferta), specie quando incontra il manager che parla italiano e che gli sottolinea l'apparente inutilità della sua trasferta e l'operaio dell'industria che Vincenzo non vedrà mai, che gli mostra di saper montare anche lui la centralina con acciaio tenace e che poi prende il pezzo mancante, salvo buttarlo via in quanto ce ne sono già altri. E che dire del bilinguismo imperante nei dialoghi? Liu dice a Vincenzo che lui sapeva il cinese meglio di lei quand'erano in Italia: il manutentore esprime in cinese solo lo stretto indispensabile per la sopravvivenza fisica, l'italiano è l'idioma adoperato non solo per intendersi con Liu, ma anche e soprattutto per capire la sua anima, i suoi vissuti, la sua sofferenza. In un paese dove nessuno parla la sua lingua, il personaggio principale maschile non si sente comunque uno straniero solitario, perché ha accanto una compagna di viaggio che è dipendente da lui come lui da lei: la relazione è talmente stringente e importante che nessuno dei due può sbarazzarsi dell'altro, neanche dopo che il viaggio fallisce e l'obiettivo prefisso non è stato conseguito. E basta uno scambio di battute su cose apparentemente banali, come una ciambella offerta da lei e da lui respinta, per rinsaldare un legame che travalica le differenze culturali e nazionali per entrare dritto nel cuore. E il cuore, si sa, non è una centralina da rimpiazzare quando non funziona più: è una vastissima industria da riempire con le esperienze fatte, in cui ogni frammento e ogni componente ha la sua insostituibile rilevanza. Premio Pasinetti per Castellitto al 63° Festival di Venezia.
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gianleo67
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domenica 18 novembre 2012
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vaghe stelle d'oriente
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Vincenzo Buonavolontà, tecnico specializzato di un'acciaieria in dismissione, parte alla volta della Cina dove una società di intermediazione ha piazzato l'altoforno della sua azienda e che presenta un grave problema di sicurezza che solo lui è in grado di risolvere. Una volta sul posto e con l'aiuto di una giovane interprete conosciuta in Italia, scoprirà che la sua missione è irta di insormontabili difficoltà morali e materiali. Viaggio apologetico alla ricerca di una ideale e anacronistica etica del lavoro ai tempi della globalizzazione selvaggia, l'opera di Amelio persegue l'estetica (a lui cara) del disincanto e di una dolente prossimità ai valori fondanti di un neo-umanesimo post-industriale, ove la produttività sfrenata e la spersonalizzazione del lavoro manuale hanno definitivamente eclissato il paradigma storico dell'"homo faber".
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Vincenzo Buonavolontà, tecnico specializzato di un'acciaieria in dismissione, parte alla volta della Cina dove una società di intermediazione ha piazzato l'altoforno della sua azienda e che presenta un grave problema di sicurezza che solo lui è in grado di risolvere. Una volta sul posto e con l'aiuto di una giovane interprete conosciuta in Italia, scoprirà che la sua missione è irta di insormontabili difficoltà morali e materiali. Viaggio apologetico alla ricerca di una ideale e anacronistica etica del lavoro ai tempi della globalizzazione selvaggia, l'opera di Amelio persegue l'estetica (a lui cara) del disincanto e di una dolente prossimità ai valori fondanti di un neo-umanesimo post-industriale, ove la produttività sfrenata e la spersonalizzazione del lavoro manuale hanno definitivamente eclissato il paradigma storico dell'"homo faber". Castellitto costruisce con una lodevole opera di sottrazione e qualche eccesso drammaturgico, la figura di un sapiente ma ormai inutile artigiano, un uomo d'altri tempi che si aggira attonito e smarrito tra le macerie di una civiltà del lavoro che si è irrimediabilmente corrotta e dove l'indifferenza e la rassegnazione sono le uniche dimensioni psicologiche di una rottamanda coscienza di classe. Entro i canoni classici di un percorso geografico e spirituale (ma non senza qualche schematismo polemico nel definire il rapporto tra le dismissioni nostrane e la contraddittoria realtà di un paese in via di sviluppo), Amelio cerca di schiudere un orizzonte sociale ed economico troppo spesso raffigurato con le rassicuranti e ingenue immagini da cartolina ('il sole splende sul Fiume Azzurro una volta l'anno'), per restituirci l'anarchia caotica di un paesaggio che passa con sconcertante facilità dall'urbanizzazione selvaggia da 'citta di concentramento' al degrado materiale delle comunità rurali. Esordio di misurata e tenera intensità per la giovane Tai Ling, fiera e generosa ambasciatrice di quei valori idealmente simboleggiati dalle stelle della bandiera cinese: onestà, pazienza, democrazia e solidarietà che sopravvivono come vuote categorie dello spirito di un popolo che ha smarrito il senso della propria storia e delle proprie tradizioni per inseguire il miraggio evanescente di un modello sociale aberrante e disumano. Epilogo dolce-amaro di un triste viaggio al termine della speranza e della disillusione.
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rescart
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giovedì 20 settembre 2012
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film paradigmatico
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A sei anni di distanza dall'uscita nelle sale cinematografiche di questo film non è fuori luogo sostenere che la storia che esso descrive ed il modo in cui la descrive siano stati paradigmatici se non profetici di una situazione economico industriale che è ormai diventata la normalità in Italia. Con la precisazione che difficilmente un operaio licenziato da una fabbrica appena dismessa e venduta ai cinesi oggi si recherebbe in Cina se non per mero turismo. Se ciò avvenisse in un nuovo film ne uscirebbe una storia forse più divertente, magari l'ennesimo cine panettone fatto apposta per addormentare gli animi e risvegliare i bollenti spiriti. Ma non avremmo della Cina lo stesso quadro realistico, fatto di luci e ombre che sempre caratterizzano un paese in piena espansione economica, come lo fu anche l'Italia tra la fine degli anni '50 e gli inizi dei '60, a prescindere dall'ottimismo imperante.
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A sei anni di distanza dall'uscita nelle sale cinematografiche di questo film non è fuori luogo sostenere che la storia che esso descrive ed il modo in cui la descrive siano stati paradigmatici se non profetici di una situazione economico industriale che è ormai diventata la normalità in Italia. Con la precisazione che difficilmente un operaio licenziato da una fabbrica appena dismessa e venduta ai cinesi oggi si recherebbe in Cina se non per mero turismo. Se ciò avvenisse in un nuovo film ne uscirebbe una storia forse più divertente, magari l'ennesimo cine panettone fatto apposta per addormentare gli animi e risvegliare i bollenti spiriti. Ma non avremmo della Cina lo stesso quadro realistico, fatto di luci e ombre che sempre caratterizzano un paese in piena espansione economica, come lo fu anche l'Italia tra la fine degli anni '50 e gli inizi dei '60, a prescindere dall'ottimismo imperante. Amelio preferisce ispirarsi alla lezione neorealista del grande cinema italiano, che seppe mettere il dito nella piaga anche del nostro boom economico, piuttosto che dare un quadretto tra il folcloristico e il miracolistico di un paese che con quasi un miliardo e mezzo di abitanti non può non avere altrettanti poveri sotto il limite dell'indigenza quanti ricchi ha sopra la soglia del semplice benessere economico. E tuttavia per il regista di "La stella che non c'è" va tutto così com'è, in Cina come in Italia. Ma soprattutto quello che non serve è ironizzare: "Facciamo finta che tutto va bè" non porta a nulla. Meglio vedere il difetto anche laddove non c'è per scovarlo laddove non si pensava: nelle scarse competenze di traduttrice della ragazza cinese che finge di conoscere la lingua italiana e per colpa dello zelante operaio licenziato viene smascherata e licenziata anch'essa. E' questo il vero oro che non luccica della Cina descritta da Amelio? Per farsi perdonare l'operaio italiano cercherà inutilmente di fare qualcosa senza andare al di là di qualche tenerezza paternalista, Ma non è forse proprio questa la cosa che più manca a una Cina ancora carente sul piano dei diritti umani?
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ablueboy
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sabato 14 aprile 2012
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monstrum del minimal-pessimismo coatto
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Tutto bello, ok. Avremmo anche potuto dire 4 stelle, ci stanno. Ma io ricorderò sempre questo film come una delle massime espressioni del pessimismo coatto del cinema italiano. Comprendo la tristezza dei signori registi, ma perché non possiamo anche noi, per una volta, avere il nostro sogno americano, un sogno italiano? Perché nei nostri film non troviamo mai una rivalsa dell'uomo onesto, almeno una sua nobilitazione nel panorama corrotto dell'Italia di oggi? In questo film, come in tantissimi altri italiani, la trama è stata forzata per dare un'aura di sfigato al protagonista. Lo abbiamo capito che il nostro paese non va. Possiamo almeno sognare un po'? Può il cinema italiano farci sognare o possiamo solo continuare a schiantarci contro i
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Tutto bello, ok. Avremmo anche potuto dire 4 stelle, ci stanno. Ma io ricorderò sempre questo film come una delle massime espressioni del pessimismo coatto del cinema italiano. Comprendo la tristezza dei signori registi, ma perché non possiamo anche noi, per una volta, avere il nostro sogno americano, un sogno italiano? Perché nei nostri film non troviamo mai una rivalsa dell'uomo onesto, almeno una sua nobilitazione nel panorama corrotto dell'Italia di oggi? In questo film, come in tantissimi altri italiani, la trama è stata forzata per dare un'aura di sfigato al protagonista. Lo abbiamo capito che il nostro paese non va. Possiamo almeno sognare un po'? Può il cinema italiano farci sognare o possiamo solo continuare a schiantarci contro il male quotidiano? Bah!
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fabrizio dividi
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venerdì 17 giugno 2011
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la cina è vicina?
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Vincenzo Buonavolontà, il manutentore di un alto forno che viene ceduto ad un gruppo industriale cinese, scopre un difetto all’impianto e decide di partire alla ricerca dei padroni della sua fabbrica per spiegarne il malfunzionamento. Lì incontra l’unica persona che lo può aiutare, la traduttrice conosciuta in Italia, novella Beatrice, che lo accompagna attraverso un viaggio allegorico nel cuore profondo dell’Oriente, in una Cina sconosciuta che affascina nelle sue contraddizioni.
Si assiste ad un percorso ideale nel mondo del lavoro di una nazione-continente, nelle sue radici culturali più recondite, in un abisso conradiano che conduce i protagonisti dai grattacieli di Shangai fino alle più remote cave minerarie di non precisate province dell’interno; bambini sfruttati e povertà difusa non minano un’etica di fondo che unisce tutte le categorie sociali e il mondo del lavoro affrescato dal regista si esplicita come valore assoluto di unico, grande legame universale fra le masse.
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Vincenzo Buonavolontà, il manutentore di un alto forno che viene ceduto ad un gruppo industriale cinese, scopre un difetto all’impianto e decide di partire alla ricerca dei padroni della sua fabbrica per spiegarne il malfunzionamento. Lì incontra l’unica persona che lo può aiutare, la traduttrice conosciuta in Italia, novella Beatrice, che lo accompagna attraverso un viaggio allegorico nel cuore profondo dell’Oriente, in una Cina sconosciuta che affascina nelle sue contraddizioni.
Si assiste ad un percorso ideale nel mondo del lavoro di una nazione-continente, nelle sue radici culturali più recondite, in un abisso conradiano che conduce i protagonisti dai grattacieli di Shangai fino alle più remote cave minerarie di non precisate province dell’interno; bambini sfruttati e povertà difusa non minano un’etica di fondo che unisce tutte le categorie sociali e il mondo del lavoro affrescato dal regista si esplicita come valore assoluto di unico, grande legame universale fra le masse.
Il soggetto è semplice ma efficace: è la storia di un’ossessione, con un finale tanto risolutivo quanto illusorio che fa del film un’opera “morale” solo in rari momenti al limite del moralismo, che ha nello stile documentaristico l’accezione meglio riuscita.
Ben girato, con meravigliosi scorci di un paese sotto osservazione, ma senza pregiudizi di sorta, la trama scivola però troppo spesso nella trovata inverosimile, e mal si sopporta la casualità che porta i due protagonisti ad incontrarsi due (!) volte in remote parti di un Paese che conta più di un miliardo di anime. Inoltre, lo sconfinamento troppo frequente di Vincenzo (un adeguato Sergio Castellitto) nel clichè dell’Italiota, che fa il verso troppo trito ai personaggi della commedia all’Italiana, abbassa non di poco la riuscita finale di un film, al di là di tutto, piacevole e stimolante. Fabrizio Dividi
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doni64
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lunedì 26 aprile 2010
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film...mitologico in 3d
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Film epico mitologico interpretato in modo piu' che discreto da attori noti.La trama e' godibile come l'intero film che si salva anche per gli effetti speciali che riempiono il film che nel complesso e' piu' che simpatico.Voto 7+
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doni64
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lunedì 26 aprile 2010
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film...mitologico in 3d
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Film epico mitologico interpretato in modo piu' che discreto da attori noti.La trama e' godibile come l'intero film che si salva anche per gli effetti speciali che riempiono il film che nel complesso e' piu' che simpatico.Voto 7+
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yukol
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lunedì 30 novembre 2009
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ulisse portato nella cina moderna
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Ci sono pochi film (italiani) che si riguardano più e più volte perchè ti sembra sempre di non aver colto appieno qualcosa. Questo film appartiene a questa categoria, uno dei pochi film italiani che si possono chiamare internazionali, costruito con sensibilità e soprattutto con verità e realtà. Vivo in Cina da anni e non nascondo di aver visto la prima volta il film con sospetto aspettandomi la solita passeggiata di luoghi comuni. Sono felice di essermi sbagliato, perchè è una fotografia del contrasto tra due culture: la comunicazione spezzata che lascia però spazio all'intuizione tra uomini, l'individualità contro la collettività, il senso di smarrimento e la capacità di ritrovarsi in uno sguardo, la solitudine.
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Ci sono pochi film (italiani) che si riguardano più e più volte perchè ti sembra sempre di non aver colto appieno qualcosa. Questo film appartiene a questa categoria, uno dei pochi film italiani che si possono chiamare internazionali, costruito con sensibilità e soprattutto con verità e realtà. Vivo in Cina da anni e non nascondo di aver visto la prima volta il film con sospetto aspettandomi la solita passeggiata di luoghi comuni. Sono felice di essermi sbagliato, perchè è una fotografia del contrasto tra due culture: la comunicazione spezzata che lascia però spazio all'intuizione tra uomini, l'individualità contro la collettività, il senso di smarrimento e la capacità di ritrovarsi in uno sguardo, la solitudine. A me è sembrato a volte di essere dentro grandi film come Il Cacciatore, Apocalypse Now, ma anche dentro i viaggi nella letteratura, da Omero a Dante e Conrad.
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bazzool
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martedì 27 maggio 2008
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la stella che non c'e
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Ho visto il film solo di recente, e non posso nascondere la mia delusione. A parte la sfilza di luoghi comuni sulla Cina, che non ha mai nascosto quello che e. Siamo semmai noi ad averne una visione talvolta idealizzata, talvolta distorta, il piu delle volte sbagliata per ignoranza. Ritengo che il mito del vecchio professionista, come scrive la recensione che ho letto su questo sito, non fa una gran bella figura, considerato che l'operaio che appartiene a questo presunto mondo perduto si fa un viaggio inutile per una cosa inutile che i cinesi gia avevano (in gran quantita apparentemente) e senza che nessuna gli abbia chiesto alcunche! I cinesi nel film alla fine ne escono anche piuttosto bene, dimostrando che non hanno bisogno ne di noi ne di questo fantomatico mondo perduto.
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Ho visto il film solo di recente, e non posso nascondere la mia delusione. A parte la sfilza di luoghi comuni sulla Cina, che non ha mai nascosto quello che e. Siamo semmai noi ad averne una visione talvolta idealizzata, talvolta distorta, il piu delle volte sbagliata per ignoranza. Ritengo che il mito del vecchio professionista, come scrive la recensione che ho letto su questo sito, non fa una gran bella figura, considerato che l'operaio che appartiene a questo presunto mondo perduto si fa un viaggio inutile per una cosa inutile che i cinesi gia avevano (in gran quantita apparentemente) e senza che nessuna gli abbia chiesto alcunche! I cinesi nel film alla fine ne escono anche piuttosto bene, dimostrando che non hanno bisogno ne di noi ne di questo fantomatico mondo perduto.
A me pare il solito film italiano in cui uno, a cui sostanzialmente nessuno ha chiesto nulla, si fa il suo viaggio (anche nel senso lato della parola) perche non ha niente di meglio da fare. In quest'ottica pero, mi chiedo cosa centri la Cina. Poteva benissimo fare un viaggio a Pinerolo e mostrare come l'Italia non sia piu quella che era ecc.... Ed in ogni caso, a me pare piu una critica alla nostra di societa, visto il finale. E trovo straziante il fatto che in Italia ci sia questa perversa attrazione per questa tipologia di personaggio patetico e un po triste, che non ha assolutamente nulla da dire. Se la fotografia nel film fosse almeno stata bella....
Percio, bilancio? Delusione, a costo di ripetermi. Il giorni in cui qualcuno in Italia avra voglia di iniziare a fare dei film che dicono qualcosa, saro forse piu ottimista sul nostro cinema. Oggi, status quo.
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