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La ragazza del lago, il giallo nella provincia

Esce oggi l'opera prima di Andrea Molaioli che alla Mostra di Venezia ha riscosso un enorme successo.
di Tirza Bonifazi Tognazzi

Il film

venerdì 14 settembre 2007 - Incontri

Il film
Dai fiordi della Norvegia (dove è ambientato il libro di Karin Fossum, dal quale è tratto il film), Andrea Molaioli sposta lo sguardo sulla provincia friulana, dove la tragedia scoppia perché la gente sa tutto di tutti, ma non conosce i veri drammi che si muovono all'interno delle famiglie. "Più che un problema di comunicazione all'interno delle relazioni" spiega il regista, "ravviso in modo ancora più ampio l'inadeguatezza generale che si traduce nella difficoltà di essere madre, padre e anche figli. Una sensazione che si protende verso la nostra condizione di vita in generale. Credo che questa inadeguatezza si esprima in modi diversi a seconda della nostra estrazione socio-culturale. Ho come l'impressione che viviamo in un tempo nel quale sappiamo che abbiamo un nemico di fronte, ma non sappiamo chi è. Questo ci fa vivere una sorta di ansia che cerchiamo di opprimere, sopprimere, ma che si traduce in una mancanza di forme di riferimento nel momento in cui andiamo a relazionarci. La famiglia è un microcosmo che può esaltare delle problematiche fino a farle diventare gravi - non necessariamente attraverso atti violenti - facendoti vivere in uno stato di malessere perenne". La parola al regista.

Il film è tratto dal romanzo della norvegese Karin Fossum. Quanto hai tradito il testo originale?
Quando ho letto "Lo sguardo di uno sconosciuto" ho capito che aveva gli elementi giusti attorno ai quali costruire il film. Quello che mi affascinava del testo era che attraverso un giallo si potessero inserire degli argomenti importanti, temi che potremmo considerare "alti". Allo stesso tempo mi piaceva che questi temi entrassero nel racconto in modo discreto ma profondo. Ovviamente del romanzo abbiamo utilizzato dei passaggi narrativi, mentre altri li abbiamo eliminati. Il finale del libro si differenzia da quello del film in quanto meno intimo, meno recessivo rispetto al lavoro che abbiamo fatto sull'adattamento. Sono state modificate anche le circostanze del protagonista, che in realtà è un personaggio seriale utilizzato in diversi libri scritti dall'autrice. Ne abbiamo modificato il quotidiano - nel racconto è un vedovo che vive quasi esclusivamente nel ricordo malinconico della moglie - ci siamo presi molte libertà. Quando Karin Fossum ha visto La ragazza del lago ha detto di essere rimasta addirittura allucinata dalla nostra versione del commissario, a cominciare proprio dai tratti somatici. Avevamo in pratica creato un commissario "bello".

E per quanto riguarda le ambientazioni?
Il racconto originale è ambientato nei dintorni di Oslo, l'indagine del commissario si svolge in un fiordo. Si tratta di una zona geograficamente molto circoscritta che mi ha fatto pensare alla possibilità di trasporre la vicenda in una piccola provincia italiana. Mi sono venute in mente delle zone limitrofe a Udine, in particolar modo alcuni piccolissimi paesini del Friuli, perché mi sembrava che il contesto ambientale e naturalistico di questa regione potesse non solo accompagnare le vicende del film, ma addirittura portare nuovi elementi di tipo narrativo al personaggio principale che è forte, burbero, ma allo stesso tempo anche discreto, profondo. Ero certo che l'ambientazione friulana potesse regalare quel pizzico di inquietudine di una natura che sembra dire "Sono molto più grande di te, in un minuto posso fare di te ciò che voglio, tu piccolo uomo".

Nonostante i pochi dialoghi hai trovato una maniera di lavorare sulla direzione che denota una grande sicurezza per essere un'opera prima.
Era fondamentale che tutti i personaggi avessero una grande credibilità, soprattutto dal punto di vista umano, del loro vissuto, dei loro malesseri. Mi sembrava che un lavoro in sottrazione potesse incrementare determinati stati d'animo, determinate caratteristiche psicologiche dei personaggi. L'incontro con attori e attrici - uomini e donne innanzitutto molto intelligenti oltre che pieni di talento - ha fatto sì che tutti lavorassero in questa direzione, cioè non badando alla propria visibilità o a quella che apparentemente poteva sembrare una maggiore visibilità, che si sono messi al servizio del racconto hanno reso possibile incastrare tanti piccoli e grandi tasselli lasciando però una compattezza complessiva alla trama.

Come hai scelto il cast che si divide tra interpreti molto famosi e attori pressoché sconosciuti?
Tutto è partito da Tony Servillo che ha rappresentato il primo e fondamentale tassello per partire con il film. Senza la sua entusiastica adesione non so come avrei potuto proseguire con il progetto. Da lì in avanti ho lavorato per cercare di coprire tutti gli altri ruoli. Volevo ottenere una miscellanea tra interpreti di grande esperienza, di prestigio, con una lunga carriera di cinema e di teatro alle spalle e attori più o meno esordienti. Abbiamo fatto tanti provini e almeno sei settimane di prove prima di iniziare con le riprese. In tutto ci sono voluti circa tre mesi circa per terminare il lavoro di preparazione, tra prove e ricerca delle location giuste. Ma ammetto di essere stato molto fortunato dell'aver avuto la possibilità, da parte della produzione, di lavorare nei tempi giusti, anche nei limiti di un budget ragguardevole, che è stato usato nel migliore dei modi. Ho lavorato con persone intelligenti e appassionate e questo mi ha aiutato moltissimo.

Come hai vissuto il successo di Venezia?
Ovviamente sono molto contento di come sia andata a Venezia. Il film ha ricevuto ottime recensioni e anche una buona risposta del pubblico. Oltretutto la Mostra si è rivelata un'esperienza per certi aspetti inaspettatamente serena. C'era la possibilità di uscirne anche molto male. Invece la critica ha colto nel film gli aspetti che ci avevano spinto a farlo e questo è stato molto gratificante.

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