Generazioni a confronto tra Calcutta e New York
di Paolo D'Agostini La Repubblica
La regista di "Salaam Bombay", "Mississippi Masala" e "Monsoon Wedding" torna con Il destino del nome a raccontare il proprio vissuto nell'incontro, non facile ma animato da curiosità e apertura, tra radici, tradizioni e identità indiane e mondo occidentale moderno. Lo fa attraverso l'adattamento di un romanzo di Jhumpa Lahiri che in "The Namesake" (l'omonimo) racconta la propria esperienza di sradicata e di americanizzata. La storia investe due generazioni. E inizia con Ashima e Ashoke che lasciano Calcutta per trasferirsi a New York. Dove, dopo un matrimonio tradizionale combinato, iniziano davvero a conoscersi in un ambiente al tempo stesso ricco di opportunità e ostile, se non altro dal punto di vista climatico.
Qui nasce il loro figlio. Che dovrà vivere una vita diversa dalla loro, integrata, e che però chiamano eccentricamente Gogol. Questo nome, che ha un'enorme importanza per suo padre essendo legato a un episodio drammatico in cui riuscì a sopravvivere a un grave incidente ferroviario proprio grazie alla lettura del Cappotto di Gogol, sarà invece e lungamente un incubo per il figlio lungo tutta l'infanzia e l'adolescenza. Si tratta evidentemente di un simbolo e di una metafora: della dialettica tra fedeltà alle radici e apertura al mondo. Solo quando finalmente Gogol capirà e avrà appreso la lezione paterna, diventando fiero del proprio nome, sarà davvero pronto e libero di sentirsi se stesso.
Da La Repubblica, 1 giugno 2007
di Paolo D'Agostini, 1 giugno 2007