Wallace & Gromit - La maledizione del coniglio mannaro

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Un film di Nick Park, Steve Box. Con Ralph Fiennes, Helena Bonham Carter, John Thomson, Noni Lewis, Pete Atkin, Robert Horvath, Dicken Ashworth.
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Titolo originale Wallace & Gromit - The Curse of the Were Rabbit. Animazione, Ratings: Kids, durata 94 min. - Gran Bretagna 2005. uscita venerdì 3 marzo 2006. MYMONETRO Wallace & Gromit - La maledizione del coniglio mannaro * * * - - valutazione media: 3,37 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Arianna Finos

Il Venerdì di Repubblica

Bristol. Il cuore della stop-motion britannica batte all’interno di un anonimo capannone alla periferia industriale di Bristol, duecento chilometri da Londra, L'impatto esterno è un po’ deludente, ma basta entrare nell’atrio minuscolo per lasciarsi alle spalle l’aria grigia di pioggia e ritrovarsi in un pianeta colorato, fantastico, divertente. Questa è la sede della storica Aardman Animation, 250 tra animatori e impiegati, 30 set capaci di agire in contemporanea, quintali di speciale plastilina ultraresistente, brevettata col nome di «aardmix».
Qui sono nate quelle Galline in fuga che sono volate verso incassi stratosferici e il duo inventato da Nick Park, vincitore di tre Oscar, che in Inghilterra è considerato una vera istituzione: Wallace & Gromit. Il grande pubblico italiano sta per incontrarlo in La maledizione del coniglio mannaro, nelle sale dal 3 marzo. A dare il benvenuto ai visitatori, in bella mostra in una bacheca, ci sono proprio i padroni di casa: i pupazzi di un uomo dall’aria buffa e del suo cane. Dei due, Wallace è l’umano: pelato, ghiotto di formaggio, perennemente in panciotto e farfallino, con l’hobby delle invenzioni e una mente svagata. Gromit, invece, è il cane. Non parla, ma si esprime con sguardi eloquenti, specie quando deve rimediare alle bizzarie del padrone. È decisamente lui il più sveglio.
I ragazzini inglesi sono loro amici da 16 anni, dal primo corto in plastilina Una fantastica gita, subito volato oltreoceano come candidato all’Oscar. Fu battuto, quella volta, da un’altra creazione di Park, Creature comforts, ma Wallace & Gromit si aggiudicarono negli anni successivi ben due statuette. E tra un paio di settimane potrebbe arrivare quella per Il coniglio mannaro, diretto da Park insieme a Steve Box, dato come favorito nella competizione che lo affianca a La sposa cadavere di Tim Burton e al Castello errante di Howl di Hayao Miyazaki. In questo film, in vista dell’attesissima fiera annuale dell’ortaggio gigante, l’organizzatrice, la bella Lady Tottinqton, ingaggia Wallace e Gromit per tenere a bada, senza però usare la forza, i conigli che potrebbero mangiarsi tutto. Wallace è colto da colpo di fulmine per la bella aristocratica dai capelli rossi che, nella versione originale, ha la voce di Helena Bonham Carter, ma deve vedersela con il di lei pretendente, il tronfio Victor Quartermain (doppiato da Ralph Fiennes), deciso a risolvere la questione conigli a colpi di fucile. «Per la storia ci siamo ispirati agli horror con Frankenstein, vampiri, lupi mannari», racconta Park.
Il film è costellato di riferimenti cinefili più o meno evidenti: la scena in cui il coniglio mannaro insegue il vicario in chiesa cita Un lupo mannaro americano a Londra, il finale è ispirato a King Kong. «La sfida maggiore» spiega il cinquantenne Park, seduto in una piccola sala riunioni, alle spalle, su un ripiano, le statuette dell’Oscar opacizzate dal tempo, «era riprodurre su larga scala il mondo di Wallace e Gromit, quel loro modo di essere così tipicamente inglese». Le immancabili tazze da tè, l’ingegnoso sistema meccanizzato che porta Wallace dal letto al tavolo della colazione passando per lavaggio e vestitura, le trovate esilaranti come i quadri appesi in salotto con gli occhi lampeggianti in caso di allarme. Un mondo di incredibile umorismo e fantasia partorito dalla mente di Nick Park, la cui messa in scena è rigorosamente fatta a mano.
«Il novanta per cento di quel che si vede sullo schermo è frutto del lavoro artigianale, solo pochi effetti digitali hanno contribuito a creare, per esempio, pioggia e nebbia» assicura. A testimonianza di questo ci sono le decine di stanze piene di’ tavoli in cui ciascuno degli artigiani lavora, all’interno degli studi di Bristol: una ragazza confeziona una minuscola scatola rossa di formaggio, poggiandola poi su una pila di altre cinquanta. Ecco centinaia di ortaggi: carote, melanzane, zucchine, carciofi troneggiare sui ripiani, perfino dozzine di foglie, che faranno parte del giardino di Lady Tottington. L’aristocratica di plastilina ha una stanza sua, ce ne sono varie versioni, tutte graziosamente abbigliate, con accanto tante piccole bocche rosse dalle diverse espressioni che l’animatore, ad ogni parola, deve staccare e sostituire, stando attento a non lasciare sbavature di colla. L’impronta del pollice, invece si può vedere sui personaggi: per la Aardman è un segno di riconoscimento. C’è anche una piccola stanza- museo riservata alle star di casa. Qui sono conservate alcune parti del set di Galline in fuga: il cortile, il recinto in filo spinato, il modello di Rocky, il gallo da circo scambiato per eroe dalle pennute della fattoria-lager. Nel reparto «azione» i set sono divisi da teli bianchi, ogni animatore lavora alla sua scena: durante le riprese il ritmo di produzione è di cinque secondi di pellicola a settimana. La mini telecamera inquadra il pupazzo protagonista: a suggente le espressioni e i movimenti giusti, quando Gromit è protagonista, c’è un monitor in cui lo stesso Nick Park mima l’azione canina. Del resto l’identificazione dell’autore è più con il cane (all’inizio era un gatto) che con l’umano, ci confessa il re timido di questo regno della stop-motion, realizzazione di un sogno iniziato a 14 anni nella piccola mansarda della sua casa, un sogno che oggi lo porta verso il quarto Oscar.
Da Il Venerdì di Repubblica, 24 febbraio 2006


di Arianna Finos, 24 febbraio 2006

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