Parole d'amore

Paolo D'Agostini

Bisognerebbe discutere su quanto siano una prova d’intelligenza le gare di spelling che pare vadano perla maggiore negli Usa. Ma soprattutto il ridicolo è che nel doppiaggio italiano tutta la costruzione su cui si regge la storia perde completamente di senso: la difficoltà per un bambino o per un ragazzino di lingua inglese sta nel risalire dalla pronuncia alla scrittura, mentre in italiano le parole si pronunciano come si scrivono. Non sembri pedante cominciare da qui. Parole d’amore ricavato dal romanzo “La stagione delle api” di Myla Goldberg (Fazi) non decolla nemmeno a calci. Gere è antipatico e noioso nelle vesti di un borioso docente di studi religiosi, che ammorba tutta la famiglia con le sue fissazioni. Il figlio maggiore, pur di non sentirlo più, si fa “arancione” in realtà per spassarsela con una deliziosa adepta, mentre la piccola Eliza rimane incastrata nella rete facendosi allenare dal genitore frustrato a caccia di compensazioni. Dovrebbe comunicare, il film, tanti alati pensieri sul valore delle parole. Ma è soltanto uno sbadiglio infinito.
Da La Repubblica, 23 dicembre 2005


di Paolo D'Agostini, 23 dicembre 2005