Paradise Now

Redazione

Ci vuole una certa dose di coraggio, alcuni la definiscono sconsideratezza, per girare un film in un Paese occupato militarmente. Lo sa bene il quarantatreenne regista palestinese Hany Abu Assad. Durante le riprese del suo film Paradise Now, il primo girato nella West Bank, incentrato sulla storia di due giovani palestinesi pronti a diventare attentatori suicidi, un’esplosione - vera - ha quasi ucciso tre persone, a Nablus. Di qui la decisione di spostare il set a Nazareth, zona più sicura. Finanziato da investitori tedeschi, olandesi e francesi, il film, costato 1,8 milioni di dollari, racconta le vite senza via d’uscita dei giovani palestinesi. Vincitore all’ultima Berlinale del riconoscimento per la miglior pellicola europea, premiato da Amnesty International, passato in questi giorni anche al Festival di Toronto, esce a settembre in Francia e Germania e a novembre negli Usa e in Italia. L’aspetto più convincente del film sta nell’approccio più individuale che politico al conflitto israelo-palestinese. Se Private di Saverio Costanzo raccontava la vita quotidiana di una famiglia “occupata”, La sposa siriana descriveva i risvolti paradossali di un “matrimonio di confine” e Arna’s Children lo straordinario impegno personale di una donna israeliana tra i bambini di Jenin, Paradise now è il viaggio nelle menti di giovani confusi che cercano di alleviare il proprio senso di impotenza attraverso la violenza del suicidio. «Non esiste un prototipo di bomber suicida », dice Abu Assad. «Può essere un uomo, una donna, una persona molto religiosa o per nulla. Le motivazioni personali sono molto varie. Tutti però hanno a cuore una cosa sola: la liberazione del proprio Paese. Sono tutti convinti di non avere altra scelta: devono uccidersi insieme ai propri nemici». Abu Assad s’è preparato a questo film per tutta la vita. Nato a Nazareth nel ’61, in una famiglia palestinese di ceto medio, dopo la maturità si trasferì in Olanda dove si laureò in ingegneria iniziando a lavorare sugli aerei. Carriera interrotta 15 anni fa, quando gli venne chiesto di collaborare a un documentario. Lavorando con le immagini, ricordò il potente impatto avuto su di lui dal primo film visto a cinque anni, un western: «I cavalli sembravano così reali che quando hanno puntato verso di me, mi sono nascosto! E alla fine sono andato dietro lo schermo per capire da dove fossero usciti». Dopo il relativo successo del suo precedente film, Rana’s Wedding (2002), che narra le vicende di una donna palestinese in corsa perenne contro il tempo e la vita di tutti i giorni per potersi sposare, proprio grazie alla forza della prima stesura di Paradise Now Assad è stato accettato a un workshop di scrittori, prima, e registi, poi, dal Sundance Institute. La sua carriera, il doppio passaporto israeliano-olandese, le sue radici palestinesi hanno trasformato il desiderio di realizzare un film sulla recente storia del suo popolo, in una sorta di “dovere” da compiere. Come, qui a fianco, racconta lui stesso.
Da D di Repubblica, 17 settembre 2005


di Redazione, 17 settembre 2005