Oliver Twist

Lietta Tornabuoni

Oliver Twist, pubblicato da Charles Dickens a puntate sul “Bentley’s Miscellany” nel 1837-38, è un classico della letteratura inglese, un romanzo lacrimoso e bello, a lieto fine, sulle sventure patetiche di un orfano di nove-dieci anni nella Londra del primo industrialismo. Roman Polanski, 72 anni ne ha tratto un film impeccabile, fatto benissimo, con un protagonista bambino scelto con speciale sagacia (è Barney Clark, angelico, antipatico e struggente), una ricostruzione d’epoca perfetta, tagli indispensabili di sottostorie parentetiche o minori, e una caratteristica molto intelligente.
Il film infatti non censura né sfuma la componente di crudeltà del romanzo (fame, viaggi a piedi nudi nel gelo, frustate e/o bastonate, cenci, coetanei beffardi e violenti, prepotenze e rimproveri ingiusti, rapimento, parole dure, cane feroce, assassinio). Usa invece questa crudeltà per conservare alla vicenda quel fondo di spavento che la fa somigliare alle fiabe nere e che affascina quindi la psicologia vittimista dei bambini, dei ragazzi non cresciuti, degli adulti puerili.
Questo meccanismo viene applicato da Polanski per salvaguardare fedeltà e importanza al romanzo attraverso il tempo. Si capisce che le sventure ottocentesche di Oliver Twist sono nulla al confronto delle sevizie a cui vengono sottoposti i bambini del Duemila: ogni giorno o quasi spettatori grandi e piccoli si trovano alla televisione di fronte a bambini morti in Iraq, bambini morenti per fame, epidemie, mutilazioni o abbandono, bambini soldato in Africa, bambini di strada in America latina, bambini prostituiti, bambini lavoratori sfruttati, bambini ladri o spacciatori. Immagini simili sono molto più impressionanti dei maltrattamenti subiti da Oliver Twist: ma se le sue disavventure vanno oltre il realismo, arrivano alla favolistica onirica, nulla potrà indebolirle né cancellarle.
Da L’Espresso, 28 Ottobre 2005


di Lietta Tornabuoni, 28 Ottobre 2005