L'Enfant - Una Storia d'Amore

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Un film di Luc Dardenne, Jean-Pierre Dardenne. Con Jérémie Renier, Olivier Gourmet, Déborah François, Jérémie Segard, Fabrizio Rongione Titolo originale L'enfant. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 95 min. - Francia, Belgio 2005. - Bim Distribuzione uscita venerdì 9 dicembre 2005. MYMONETRO L'Enfant - Una Storia d'Amore * * * - - valutazione media: 3,27 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

MISERIA E NOBILITA' Valutazione 4 stelle su cinque

di a


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martedì 20 dicembre 2005

“L’enfant” è l’ultima opera di Luc e Jean-Pierre Dardenne, ma potrebbe essere la seconda o la terza: la ripetitività della loro filmografia è proporzionale alla profondità di sguardo con cui affrontano un'unica tematica, la faticosa dialettica fra etica ed emarginazione sociale. L’essenzialità dell’argomentazione scaturisce dal rapporto esclusivo fra macchina da presa e personaggio: la prima pedina, accerchia, non lascia scampo al secondo, e, nel corso della storia, diventa l’interlocutore nascosto della sua vocazione al martirio, della perdizione e della riabilitazione finale. Il lungometraggio si concentra su un calvario individuale, ne illumina i particolari fisici e materiali più sgradevoli, ne è documento impassibile, lasciando solo nella conclusione trapelare un punto di vista privilegiato rispetto al mondo incolto e sprovveduto raccontato, uno spiraglio di luce appena intravisto, un traguardo di salute morale a cui arrivano a marce forzate tutti i diseredati figli delle pellicole dei Dardenne, un punto d’arrivo dove finalmente coincidono rettitudine e riscatto per l’umanità tutta compresa quella relegata dalla società nel baratro della miseria e del vuoto di valori. L’esemplarità delle vicende non si traduce mai in una tipizzazione schematica: Rosetta, Bruno, Sonia, sono fatti di lacrime e sangue, e con i loro sguardi, l’espressione dei volti, l’ afasia, l’ assenza di pensiero, sono un’incarnazione viva delle storture dei meccanismi stritolanti del nostro sistema di vita. I Dardenne non si sostituiscono a politici e sociologi nell’azzardare diagnosi sulla malattia e nel suggerire terapie, ma osservano la realtà e vedono creature inconsapevoli sottoposte quotidianamente a tortura e vanno a cercare il paradosso di un’anima, dell’amore, della bontà e dell’altruismo generoso proprio dove sembra non essercene ombra, fra i teppisti di piccolo calibro come Bruno. “L’enfant” finisce per essere una parabola, non fa molta differenza se religiosa o laica: la città degli uomini spoglia l’uomo della sua umanità, la città di dio, nel suo animo, gli consente di riscoprirla, tramite l’amore per sé e per gli altri. E la sacralità dell’individuo una volta nato, al di là e nonostante tutto, è la vera lezione del cinema dei fratelli belgi, un neonato in lacrime fasciato di azzurro, sballottato fra baracche e dormitori pubblici, in vendita, ne è simbolo lampante nella sua fragilità: consapevolezza del valore metafisico della propria esistenza, lo definiva Snell, commentando “Le supplici” di Eschilo, e, visto che siamo nel cuore dell’Europa, da questo punto di vista la pellicola è un campanello d’allarme per le società evolute. I Dardenne però non abbandonano il loro protagonista nell’abisso della ferinità e dell’insignificanza, gli danno il privilegio di un risveglio e di una coscienza: egli non ha padre, la madre lo lascia fuori dalla porta di casa, ed è lui a scoprire la responsabilità di essere padre e marito e il proprio inestimabile valore di persona nei legami affettivi con altre persone. Ma la tensione morale si respira ad ogni scena del film: si prenda l’interminabile sequenza del bambino ladro immerso nel fiume gelato, la si guarda inorriditi, e alla riprovazione per chi delinque o per le disuguaglianze che lo costringono, subentra un profondo senso di pietà per noi tutti, borseggiati e borseggiatori. Se Dio da qualche padre esiste, esso esiste soprattutto nel perdono e nel pianto.

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