La seconda notte di nozze

Natalia Aspesi

Il film di Pupi Avati è la terza e ultima opera italiana di questa Mostra, la meno pretenziosa, la più carina, ed è tratta da un suo piccolo romanzo dallo stesso titolo. (Oscar Mondadori). Chi c’era, in quel primo dopoguerra tanto lontano, ha dimenticato, a chi non c’era pare forse esagerata tanta penuria: quando era ancora una conquista soddisfare quotidianamente i bisogni primari, un riparo se non una casa, il cibo, lavarsi, scaldarsi, anche fare la pipì.
L’importante è sopravvivere, anche per il giovane spilungone Neri Marcorè, che ha la vocazione italiana alla furbizia e al raggiro, prototipo dei furboni di oggi: ruba l’argenteria in casa di una pseudofidanzata, offre la mamma vedova e ancora piacente in cambio di uno spinterogeno, e per non andare a vivere in un vagone bestiame la convince a partire con l’auto rubata verso il Sud, dove in una maestosa masseria vicino a Bari, vivono i parenti del marito morto. Là si mangia, là c’è una severa antica abbondanza, là c’è un cognato che fa l’artificiere e che, in quanto grullo e generoso, ha il volto molle e i gesti goffi di Antonio Albanese.
Avati è un esperto incantatore, e ha convinto una star internazionale dell’opera come Katia Ricciarelli, solitamente oberata da pellicce e gioielli nella realtà, da protagonismi prima baudiani poi antibaudiani sui giornali rosa, e sul palcoscenico da ruoli di seduttrice verdiana o rossiniana, a lasciarsi andare dentro golfini sdruciti, ciabatte, il bel volto docile e semplice affaticato dai guasti della vita, per essere una donnina avvilita cui non resta che l’ultima scheggia di antica grazia come baratto per campare. Nessuna vera attrice ultracinquantenne sarebbe stata commovente come lei, quando tratta col futuro sposo l’invisibile confine che li dovrà dividere nel letto matrimoniale o quando si lascia convincere dalle terribili zie (Marisa Merlini e Angela Luce, memoria del nostro grande cinema), a farsi esorcizzare. A fine proiezione, in Sala Grande, il film di Avati ha avuto dodici minuti di applausi.
Da La Repubblica, 10 settembre 2005


di Natalia Aspesi, 10 settembre 2005