La casa del diavolo

Senza humour non c'è horror

L'horror (inseguire, torturare, uccidere, dissanguare) visto come uno dei divertimenti esistenziali quali il sesso, le droghe, l'offesa sarcastica agli altri, le trasgressioni. L'eterna lotta tra Bene e Male, naturalmente: ma l'ipotetico Bene, rappresentato da uno sceriffo feroce, si rivela abietto, mentre l'ipotetico Male, rappresentato da una famiglia ribellista, risulta piuttosto simpatico. Il conflitto tra sceriffo e famiglia Farfly risale a La casa dei 1.000 corpi, di cui La casa del diavolo è il seguito.
L'obsoleta novità (pare un film dei Settanta) si ripete anche nello stile. Il regista Rob Zombie, un musicista, mette da parte i languori e le nebbie, i primi piani artistici; le scene terribili riflesse negli occhi o in una pozza d'acqua, insomma tutti i lirismi e le pretese eleganze degli horror contemporanei, soprattutto asiatici. Sceglie uno stile sporco, un mix delle immagini dei diversi generi: la cialtroneria sudicia del porno, la promiscuità disgustosa dei film di rapina, l'insopportabile grottesco dei film su circo o luna-park. Sommati, questi stili danno un risultato forte, violento, orribile e insieme nostalgico. Il regista (come fece Dashiell Hammett con il poliziesco) ha insomma sottratto l'horror all'onirismo soave, per restituirlo ai luoghi oscuri della città e della mente dove esso può venir praticato.
L'horror tradizionale si mescola all'umorismo macabro. Due morti vengono pure picchiati selvaggiamente. Case abbandonate sono piene di cadaveri o di vivi malati della disastrosa "diarrea esplosiva". L'osceno sceriffo punta la pistola sul pube di una bionda: «È un avvertimento».
Da L'Espresso 1 giugno 2006


di Lietta Tornabuoni,