francesco
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sabato 4 agosto 2007
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il rifiuto dell'estraneo
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Limpido teorema sul rifiuto dell'estraneo da parte di una comunita' chiusa: prima accolto, poi tollerato, infine respinto, il pastore francese fraternizza in qualche modo solo con il pazzo del villaggio, il cui suicidio finale sottolinea chiaramente la logica del film. Una logica circolare come il giro del vento: la mano che accende il fuoco in uno dei (troppi?) finali e' di un altro 'sognatore' che tentera' di spezzare gli schemi della societa'. Film strano, resta in mente, comincia come un western ('i compari' di altman?), mescola satira (i villeggianti estivi) e toni neri (la vecchia che si randella le dita), passa attraverso una scena-chiave (il dialogo in auto fra il protagonista e il musicista/attore), smonta il mito della fuga in montagna come evasione da un mondo ormai invivibile, del paesino incantato che piace tanto alla tv (quel giornalista in elicottero sa tanto di 'mela verde' o programmi del genere).
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Limpido teorema sul rifiuto dell'estraneo da parte di una comunita' chiusa: prima accolto, poi tollerato, infine respinto, il pastore francese fraternizza in qualche modo solo con il pazzo del villaggio, il cui suicidio finale sottolinea chiaramente la logica del film. Una logica circolare come il giro del vento: la mano che accende il fuoco in uno dei (troppi?) finali e' di un altro 'sognatore' che tentera' di spezzare gli schemi della societa'. Film strano, resta in mente, comincia come un western ('i compari' di altman?), mescola satira (i villeggianti estivi) e toni neri (la vecchia che si randella le dita), passa attraverso una scena-chiave (il dialogo in auto fra il protagonista e il musicista/attore), smonta il mito della fuga in montagna come evasione da un mondo ormai invivibile, del paesino incantato che piace tanto alla tv (quel giornalista in elicottero sa tanto di 'mela verde' o programmi del genere). E forse anche quello del ritorno alle radici. O forse, piu' semplicemente, parla di uomini e incapacita' di guardare oltre. Ci sono ingenuita', mi pare, ad esempio i limiti di certe produzioni con attori che attori non sono, ma anche una trama che prima si fa intuire e poi sorprende, molti spunti, scene assai belle (la fiaccolata di accoglienza, il gioco del nascondino per le vie deserte, la processione, il camino di fieno...). Oltre alla chiara intenzione di non provare a incantare lo spettatore malgrado il fascino dello scenario disponibile. Che non e' mai cartolina ma sempre parte attiva del racconto. Titoli di coda degni di nota: non avevo mai letto i ringraziamenti a chi ha fornito due capre e chi la voce per una telefonata... Da vedere, da discutere, da difendere.
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c.b.
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venerdì 18 maggio 2007
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il vento continua il suo giro...
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La storia si svolge nelle valli occitane del Piemonte. Protagonista è un ex professore francese, alla ricerca di un'esistenza secondo i tempi della natura per sè e la sua famiglia. L'uomo si è fatto contadino-pastore e viene a insediarsi a Chersogno. Uomo e natura: un equilibrio difficile in relazione in particolare allo sviluppo, ma anche un richiamo forte che accomuna molte persone scontente della loro vita ed alla ricerca delle sensazioni primordiali dell'esistere. La storia si sviluppa in una dimensione corale dove si distinguono due entità: il "paese" e la famiglia del pastore francese. Tra i temi posti in sottotraccia vi è certamente il rapporto di soddisfazione ed insoddisfazione che hanno i vari personaggi nei confronti della vita.
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La storia si svolge nelle valli occitane del Piemonte. Protagonista è un ex professore francese, alla ricerca di un'esistenza secondo i tempi della natura per sè e la sua famiglia. L'uomo si è fatto contadino-pastore e viene a insediarsi a Chersogno. Uomo e natura: un equilibrio difficile in relazione in particolare allo sviluppo, ma anche un richiamo forte che accomuna molte persone scontente della loro vita ed alla ricerca delle sensazioni primordiali dell'esistere. La storia si sviluppa in una dimensione corale dove si distinguono due entità: il "paese" e la famiglia del pastore francese. Tra i temi posti in sottotraccia vi è certamente il rapporto di soddisfazione ed insoddisfazione che hanno i vari personaggi nei confronti della vita. Le loro scelte e i loro umori sono lo specchio di queste sensazioni. Non si cerca quindi di proporre riflessioni sull'ecologismo o su una fascinazione per filosofie New Age. C'è al contrario l'osservazione di uomini che nella briciola di tempo della loro esistenza cercano un'identità che gli corrisponda, credono di poterla gestire, costruire, la inseguono, la ricercano disperatamente; o di altri che non la identificano più, avendo fatto proprio il ruolo che gli schemi della società e le amarezze della vita gli hanno costruito attorno. In questa dimensione tutto appare sospeso, possibile ma allo stesso tempo definito. Affiora la sensazione del destino, come ricorda una piccola filosofia popolare citata da uno dei personaggi del film: "le cose sono come il vento, prima o poi ritornano". Gli eventi propongono una riflessione sulle scelte personali, su quelle che potranno caratterizzare il futuro, che potranno forse modificarlo per renderci intimamente più felici, in pace con noi stessi.
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mario
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domenica 28 ottobre 2007
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un italia chiusa che vive di un passato di fame
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condivido la maggiorparte delle reazioni degli spettatori.Io il film l'ho visto sta sera al Mexico di Milano, dove c'è da più di 100 giorni.
Invito tutti quelli che amano il cinema e la montagna di andarlo a vedere.
Si , per capirlo bisogna essere un pò montanari come me, piemontese per giunta.Vorrei portare qualche elemento di conoscenza. In Piemonte la coltura delle mucche è arte nobile e millenaria , mentre quella delle capre un pò meno. Le capre distruggono molto il territorio, mangiano anche gli alberi , mentre la mucca no.Le mucche hanno un costo molto elevato rispetto alle capre.
Lo scontro finale avviente tra un allevamento d'importazione, la capra , con quello locale della signora Emma , della mucca.
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condivido la maggiorparte delle reazioni degli spettatori.Io il film l'ho visto sta sera al Mexico di Milano, dove c'è da più di 100 giorni.
Invito tutti quelli che amano il cinema e la montagna di andarlo a vedere.
Si , per capirlo bisogna essere un pò montanari come me, piemontese per giunta.Vorrei portare qualche elemento di conoscenza. In Piemonte la coltura delle mucche è arte nobile e millenaria , mentre quella delle capre un pò meno. Le capre distruggono molto il territorio, mangiano anche gli alberi , mentre la mucca no.Le mucche hanno un costo molto elevato rispetto alle capre.
Lo scontro finale avviente tra un allevamento d'importazione, la capra , con quello locale della signora Emma , della mucca.
Nella società piemontese e nel cuneese in particolare ( si leggano i libri di Nuto Revelli) , la donna comandava la società era ed è la memoria della montagna.Lo scontro descritto nel film quindi a mio giudizio si svolge tra uno sradicato come il Berger francese e quel che rimane della vecchia cultura contadina ( Emma).
Dalle mie parti qualche giovane è ancora rimasto a fare la vita dei padri , magari aiutato da qualche bosniaca o da qualche tunisino .
Il francese invece viene da una società che ha perso le sue radici, che costruiscie centrali nucleari vicino alle montagne .E' un uomo in fuga, ateo , forse anarchico .Purtroppo l'unione tra questa nuova esigenza di ritornare alle origini dell'Europa ed il vecchio che rimane
è quasi impossibili, specie in Italia dove valgono ancora i localismi basati sulla proprietà , molto sentiti in Piemonte .
Un Italia quindi chiusa , ancora memore della fame e della miseria che aveva condannato all'emigrazione anche in Francia di migliaia di valligiani.Un Italia non vuole lasciare spazio al nuovo ed al diverso , e che è destinata a perdere in questo modo anche le sue origini . Mi sono chiesto più volte se esitano posti in montagna dove la gente sia più aperta , ma sono arrivato sempre alle conclusioni del film .No . E' un film quindi moloto realista , che però non da prospettive ,suggerimenti. Invece di esempi positivi ce ne sono .
Come dicevo si osserava la progressiva integrazione di pastori provenienti da varie parti del mondo in spazi ormai in abbandono.
Forse la storia raccontato al funerale dello scemo del villaggio è un segnale , un inviot ad aprirsi al modo di queste lande sempre più desolate e ridotte a giardini per turisti, che vivono solo di nostalgia e fasti , per così dire, del passato, forse sogni di una realtà che invece era assai più dura am che si deve nascondere per pudore.
Buona visione.
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daniele
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mercoledì 17 ottobre 2007
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dal vancouver international film festival
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Ho assistito a due proiezioni al Festival Internazionale del Cinema a Vancouver, in British Columbia. Molti titoli in programma; eppure in cuor mio ho deciso subito, seppure su suggerimento di una persona che e' a conoscenza delle mie origini alpine: "The Wind Blows Round". La scelta era dovuta in parte alle mie radici, un piccolo villaggio nel cuore delle Alpi, un tempo (non troppo lontano) calato in una dimensione estranea a quella del mondo virtuale e globalizzato in cui ci stiamo vertiginosamente proiettando. In parte al desiderio ed alla curiosita' di vedere un film italiano in lingua italiana all'estero. Di osservare le reazioni degli spettatori. In parte perche' attratto da qualche cosa, che tuttavia mi sfuggiva.
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Ho assistito a due proiezioni al Festival Internazionale del Cinema a Vancouver, in British Columbia. Molti titoli in programma; eppure in cuor mio ho deciso subito, seppure su suggerimento di una persona che e' a conoscenza delle mie origini alpine: "The Wind Blows Round". La scelta era dovuta in parte alle mie radici, un piccolo villaggio nel cuore delle Alpi, un tempo (non troppo lontano) calato in una dimensione estranea a quella del mondo virtuale e globalizzato in cui ci stiamo vertiginosamente proiettando. In parte al desiderio ed alla curiosita' di vedere un film italiano in lingua italiana all'estero. Di osservare le reazioni degli spettatori. In parte perche' attratto da qualche cosa, che tuttavia mi sfuggiva. Ed alla fine della proiezione ho cercato subito con lo sguardo il regista, presente in sala, perche' desideravo ringraziarlo per aver dato un contributo al cinema, alla cultura, per aver portato questo film in una citta' internazionale, dinamica, multietnica, ma molto giovane e percio' bisognosa di percepire qualcosa di originario, ma diverso dalla immensa foresta che regnava sovrana qui, meno di due secoli fa, mai vissuta se non dalle popolazioni indigene. E per avermi dato la possibilita' di stabilire una connessione con le cose che prima o poi ritornano...Ci si aspetta un mondo idilliaco e fiabesco. La colonna sonora lo richiama. La famiglia in arrivo nel villaggio che trasuda serenita' e bellezza lo evoca. La scelta di un cambiamento radicale. La spontaneita' ed il fuoco del calore umano nell'accoglienza dei forestieri. Il lavoro, i giochi, le corse, la vita scandita nel villaggio e negli alpeggi. Ma fiaba non e'.L'accettazione del nuovo e del diverso e' compito difficile per l'uomo in genere, soprattutto in un mondo in cui le montagne sostituiscono gli orizzonti.E in un mondo in cui le abitudini e tradizioni sono radicate.A volte fa piacere saperlo, radicato e' un termine in disuso; a volte mi disorienta conoscere continuamente persone in cui non trovo una connessione con delle radici,origini. Tornando alla fiaba che non e', vi scorgiamo debolezze umane, il tradimento, la difficolta' della convivenza, della condivisione di spazi, il legame con i propri beni materiali, lecito ma a volte insano. Nella fiaba che non e' compare un uomo, il "tonto" del villaggio, che percepisce qualche cosa di nuovo e gentile e vola con spirito rinnovato lungo i pendii scoscesi dei monti. Ma la sua sensibilita' d'animo, non piu' alimentato dalla gentilezza, lo condurra' a privarsi della sua esistenza, nella fiaba che non e'. "I appreciated the movie, I really liked it, but it was too sad, but not for the suicide, cheating, etc... ", il commento di una spettatrice canadese. Forse si, una venatura di tristezza c'era nella fiaba che non e'. Mi chiedo pero' come il regista avrebbe potuto evitarlo senza stravolgere i contenuti. Comunque si, tutte le cose prima o poi tornano...ed il vento fa il suo giro.
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fabrizio cirnigliaro
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mercoledì 3 febbraio 2010
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tolleranza zero
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Pellicola girata con un basso budget, meno di 500.000 euro, e distribuito in pochissime sale, il film è riuscitoa diventare un piccolo cult movie, grazie soprattutto al passaparola e ai premi e riconoscimenti ottenuti nei vari festival. Nonostante quest’opera sia totalmente in contrasto con le tendenze del cinema italiano degli ultimi anni.
Il vento fa il suo giro non è una storia di teenager, non è ambientato nel 68 o nei momenti “caldi” della storia italiana, inoltre quasi tutti gli attori non sono professionisti, e i dialoghi sono in 3 lingue: italiano, francese e occitano.
Quasi metà del film infatti è sottotitolato.
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Pellicola girata con un basso budget, meno di 500.000 euro, e distribuito in pochissime sale, il film è riuscitoa diventare un piccolo cult movie, grazie soprattutto al passaparola e ai premi e riconoscimenti ottenuti nei vari festival. Nonostante quest’opera sia totalmente in contrasto con le tendenze del cinema italiano degli ultimi anni.
Il vento fa il suo giro non è una storia di teenager, non è ambientato nel 68 o nei momenti “caldi” della storia italiana, inoltre quasi tutti gli attori non sono professionisti, e i dialoghi sono in 3 lingue: italiano, francese e occitano.
Quasi metà del film infatti è sottotitolato. La regia non sbaglia un inquadratura, non si ha l’impressione di assistere ad un’opera prima.
Gli abitanti hanno nostalgia del passato, e sono incapaci anche solo di immaginare un futuro per la loro comunità.
Non perdono occasione per ricordare e celebrare il rito del Rueido, con cui si intende il tempo in cui ognuno aiutava l’altro per il bene comune ed il suo bene personale, e poi hanno un comportamento opposto nei confronti degli “altri”.
Solo lo “scemo del villaggio” entrerà totalmente in sintonia con la famiglia francese, ma quando decideranno di lasciare il paese, il vuoto nella vita del ragazzo sarà impossibile da colmare.
La difficoltà dell’inserimento dello straniero in un a piccola comunità, la chiusura delle persone nei confronti del prossimo, la tendenza ad escludere sempre il diverso,
lo spopolamento dei piccoli borghi, sono gli argomenti principali trattati in questa pellicola, che offre molti spunti di riflessione
Il vento fa il suo giro è lo specchio dell’Italia racchiuso in un paese di un centinaio di abitanti.
Mentre per Fausto, occitano doc, “ Un popolo per essere se stesso deve salvaguardare la propria cultura, parlare la propria lingua. È la lingua che dice che delle persone hanno vissuto insieme per un migliaio di anni”, per Philippe invece“ La cultura nasce dalla convivenza, vivere insieme, giorno dopo giorno”
Per molto lo straniero, nel piccolo paese come nelle grandi città, è visto come una minaccia: per la nostra cultura, per le nostre tradizioni, perché tolgono il lavoro agli italiani, alla gente del posto. Altri invece sono più cauti nei confronti dello straniero, sono tolleranti. Ma come dice Pier “ A me la parola tolleranza non piace. Se tu devi tollerare qualcuno non c’è il senso di eguaglianza”
Queste parole riescono a trasformare uno slogan sfruttato dalla propaganda di guerra in un sogno utopistico.
Tolleranza zero
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angelo 48
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martedì 1 gennaio 2008
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una parabola moderna sulla tematica del "diverso"
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Discepolo di Olmi, e si sente, con una freschezza oggi rara. Il film è una riflessione molto amara sulla vita, sulle persone, sulla incapacità di accettazione del diverso. Esemplare la figura dello "scemo del villaggio" che vive ai margini, tollerato, ma non amato. Il pastore francese, a sua volta "diverso", nuovo arrivato nella piccola comunità sperduta tra le montagne (in un dialogo con il musicista dice che la parola tolleranza non gli piace, perchè implica una non totale condivisione ed amore verso l'altro) è capace di accoglierlo con amicizia nella sua casa. Quando il pastore è costretto ad abbandonare il villaggio per l'impossibilità di farsi accettare, il povero "scemo del villaggio" pone termine alla sua esistenza ed i compaesani partecipano in massa, ipocritamente, al suo funerale.
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Discepolo di Olmi, e si sente, con una freschezza oggi rara. Il film è una riflessione molto amara sulla vita, sulle persone, sulla incapacità di accettazione del diverso. Esemplare la figura dello "scemo del villaggio" che vive ai margini, tollerato, ma non amato. Il pastore francese, a sua volta "diverso", nuovo arrivato nella piccola comunità sperduta tra le montagne (in un dialogo con il musicista dice che la parola tolleranza non gli piace, perchè implica una non totale condivisione ed amore verso l'altro) è capace di accoglierlo con amicizia nella sua casa. Quando il pastore è costretto ad abbandonare il villaggio per l'impossibilità di farsi accettare, il povero "scemo del villaggio" pone termine alla sua esistenza ed i compaesani partecipano in massa, ipocritamente, al suo funerale. La capacità di aiutarsi l'un l'altro, di "darsi una mano", non è più dote del nostro mondo dedito al consumismo e drammaticamente impoverito di valori morali. Il villaggio in montagna sembra ormai poter solo aspirare ad un futuro di oasi per turisti in cerca di emozioni ed in cui ci sentiamo un po' tutti identificati. Forse uno spiraglio di speranza nella sequenza finale, in cui un giovane del villaggio si reca nella dimora abbandonata ed accende il fuoco nella stufa, consapevole del gelo che tutto avvolge quando non si è più capaci di amare.
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(di samuele)
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martino76
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sabato 12 novembre 2011
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grande messaggio da un film semplice
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La prima sensazione è di distacco perché il film è girato in piena montagna, in ambienti che apparentemente hanno poco da dire. Ma anche nella solita vita di paese alcun piccoli eventi hanno tanti messaggi da trasmettere.
L’arrivo di una nuova famiglia in un paese rurale di montagna fa emergere tutte le imperfezioni dell’animo umano; curiosità, diffidenza, pregiudizio, malvagità, vigliaccheria e infine indifferenza.
Il messaggio è ancora più forte perché girato in luoghi, quelli di montagna del nord Italia come del resto può esserlo il paesino sperduto del sud Italia, che per loro natura tendono a chiudersi nel loro mondo fatto di tradizioni ,di bigottismo, alzando barriere verso tutto ciò che è novita.
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La prima sensazione è di distacco perché il film è girato in piena montagna, in ambienti che apparentemente hanno poco da dire. Ma anche nella solita vita di paese alcun piccoli eventi hanno tanti messaggi da trasmettere.
L’arrivo di una nuova famiglia in un paese rurale di montagna fa emergere tutte le imperfezioni dell’animo umano; curiosità, diffidenza, pregiudizio, malvagità, vigliaccheria e infine indifferenza.
Il messaggio è ancora più forte perché girato in luoghi, quelli di montagna del nord Italia come del resto può esserlo il paesino sperduto del sud Italia, che per loro natura tendono a chiudersi nel loro mondo fatto di tradizioni ,di bigottismo, alzando barriere verso tutto ciò che è novita. E’ questo il processo di involuzione che regredisce l’uomo.
Uno dei momenti più bello del film è il dialogo che si tiene in auto tra il francese e il musicista. All’affermazione del musicista che dice: “il popolo per essere se stesso deve continuare a salvaguardare la propria cultura parlare la propria lingua, E’ la lingua che dice che delle persone hanno vissuto assieme per molto tempo”, il francese risponde : “ No! La cultura nasce dalla convivenza. Nel vivere insieme, giorno dopo giorno.. cosa ti è rimasto della tua cultura ? la nostalgia?”
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fabal
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giovedì 9 gennaio 2014
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l'essere e il voler essere
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Philippe, ex professore transalpino, decide di trasferirsi in un paese delle valli del Monviso per dedicarsi alla pastorizia. Parte degli autoctoni, già diffidenti nell'accogliere un forestiero, comincia a trovare motivi (e pretesti) di lite: dagli sconfinamenti delle capre, alla violazione di proprietà. Il soggiorno di Philippe si fa sempre più difficile, finché la situazione non degenera.
La coraggiosa ambientazione del film, con tanto di lingua madre sottotitolata, non deve ingannare: per quanto "sferico" (e autoreferenziale) possa essere, Il vento fa il suo giro non è la solita apologia della nicchia. Né si perde nei retorici dualismi tra micro e macrocosmo culturale, l'uno genuino l'altro degenerato.
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Philippe, ex professore transalpino, decide di trasferirsi in un paese delle valli del Monviso per dedicarsi alla pastorizia. Parte degli autoctoni, già diffidenti nell'accogliere un forestiero, comincia a trovare motivi (e pretesti) di lite: dagli sconfinamenti delle capre, alla violazione di proprietà. Il soggiorno di Philippe si fa sempre più difficile, finché la situazione non degenera.
La coraggiosa ambientazione del film, con tanto di lingua madre sottotitolata, non deve ingannare: per quanto "sferico" (e autoreferenziale) possa essere, Il vento fa il suo giro non è la solita apologia della nicchia. Né si perde nei retorici dualismi tra micro e macrocosmo culturale, l'uno genuino l'altro degenerato. Il microcosmo che Diritti descrive è una realtà chiusa senza alcuna pretesa di martirio, in cui ipocrisia e diffidenza fanno parte di quella purezza autistica tanto quanto le mucche e i pascoli. L'arrivo delle capre, che non mangiano solo erba ma anche arbusti e scorze d'albero, non può che turbare il paese. Philippe afferma di non gradire la parola "tolleranza", in quanto presuppone la diseguaglianza degli individui: gli abitanti di Chersogno a malapena accettano i turisti, che rimangono pur sempre "gente di città". Il passo che vorrebbe fare Philippe, invece, è più profondo, e la resistenza della comunità non può nemmeno essere definita intollerante. E' la semplice, incolmabile voragine tra due mondi, in cui anche il fare riflessioni filosofiche sull'uguaglianza è segno di una differenza di fondo, quale c'è tra l'essere e il voler essere parte di una comunità. Ma lungi dall'esaltarne l'autenticità, Il vento fa il suo giro non risparmia qualche stoccata graffiante: l'anziano che, intervistato dalla tv, parla di una comunità in cui tutti si aiutano e pensano al bene reciproco, desta qualche maligno sorriso. Anche perché, nello stesso momento, in paese accade una disgrazia.
L'opera di Diritti non solo non mistifica il proprio oggetto, ma sembra non condividere né l'impossibile progetto di Philippe (deleterio anche per la sua famiglia), né l'ostinazione dei locali. Lo stile narrativo è documentaristico con qualche excursus drammatico, scandito dalle belle musiche. L'efficacia delle riprese garantisce buona qualità estetica e soprattutto sonora, sebbene risulti pesante nelle lunghe conversazioni.
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stefano capasso
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mercoledì 4 giugno 2014
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tradizione e rinnovamento
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Philippe e la sua giovane famiglia, vivono nei Pirenei francesi e sono alla ricerca di una nuova terra dove stabilirsi. Chersogno, piccolo villaggio montano piemontese di tradizione occitana, li accoglie tra diffidenze e gelosie e qualche incoraggiamento di chi intravede in loro la speranza di una nuova rinascita del paese.
Il tentativo di convivenza tra il pastore che fa il lavoro che i padri dei locali avevano sempre fatto e la comunità locale, ormai solo guardiana di quelle tradizioni destinate ad estinguersi in favore del turismo, dura poco. Troppo forti i contrasti tra gente di montagna poco incline al dialogo e sospettosa per natura.
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Philippe e la sua giovane famiglia, vivono nei Pirenei francesi e sono alla ricerca di una nuova terra dove stabilirsi. Chersogno, piccolo villaggio montano piemontese di tradizione occitana, li accoglie tra diffidenze e gelosie e qualche incoraggiamento di chi intravede in loro la speranza di una nuova rinascita del paese.
Il tentativo di convivenza tra il pastore che fa il lavoro che i padri dei locali avevano sempre fatto e la comunità locale, ormai solo guardiana di quelle tradizioni destinate ad estinguersi in favore del turismo, dura poco. Troppo forti i contrasti tra gente di montagna poco incline al dialogo e sospettosa per natura. In un crescendo di episodi spiacevoli, complice anche qualche ingenua superficialità di Philippe il contrasto diviene insanabile e i francesi sono costretti a lasciare il paese che vivrà un epilogo drammatico
“Il vento fa il suo giro” di Giorgio Diritti portando l'attenzione su questa storia semplice, descrive il conflitto tra due esigenze contrapposte: quella di conservare e quella di costruire, Perché si possa conservare una tradizione, una cultura è necessario costruirla e viverla ogni giorno, rinnovandola.
I locali di Chersogno che pure amano la loro terra e la loro storia sono ormai così distanti dalle loro origini da non rendersi conto che la loro, è la veglia ad un moribondo. Philippe e la sua famiglia, sembrano non cogliere il valore e l’importanza del senso di identità di chi l’accoglie, e pur facendo quello che si è sempre fatto in montagna vengono presi per stravaganti o addirittura un pericolo per l’equilibrio dei valligiani.
E come recita il sindaco nella preghiera che chiude il film, perché un cadavere si risvegli occorre che tutti vogliano risvegliarlo, e che sia compiuto il giro del vento, che riporta tutto come era al principio. In sostanza i cicli devono avere il loro termine e naturale e completo perché si possano riaprire
E' poetico ed avvincente il film, narrato con l’occhio discreto e austero di chi quelle terre le conosce bene, e che parla quel linguaggio. E se ad una prima lettura sembra un film che racconta un rifiuto verso uno straniero, guardando più a fondo emerge la descrizione di una difficoltà. Quella dei locali montanari che vivono la frustrazione di chi vede sfuggire un identità e una tradizione antica e di grandi valori. Che uno straniero pur se pieno di buone intenzioni non può comprendere, rischiando di essere l’ennesimo esempio delle nuove tendenze culturali che vogliono colonizzare tutto quello che è ancora disponibile.
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weach
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mercoledì 6 ottobre 2010
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il timore di condividere
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Il vento fa il suo giro
In una a realtà montana della alpi occidentali italiane si porta in scena il silenzio della montagna , i tempi lenti di integrazione del pensiero, il pensiero di diffidenza verso il diverso , verso chi non è “parte “ di una piccola comunità montana di anziani .
Parlerei dell’intolleranza che ha radici nel silenzio e nel saltuario confronto con chi non è come noi; un intolleranza che nasce come già detto dalla difficoltà espandere il proprio essere senza timori .
Razzismo altro non è che questo sentimento di diffidenza ,poco propenso al confronto ,per paura del confronto stesso, perché si teme di non essere all’altezza di sostenere” uno scambio reciprocamente vantaggioso”.
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Il vento fa il suo giro
In una a realtà montana della alpi occidentali italiane si porta in scena il silenzio della montagna , i tempi lenti di integrazione del pensiero, il pensiero di diffidenza verso il diverso , verso chi non è “parte “ di una piccola comunità montana di anziani .
Parlerei dell’intolleranza che ha radici nel silenzio e nel saltuario confronto con chi non è come noi; un intolleranza che nasce come già detto dalla difficoltà espandere il proprio essere senza timori .
Razzismo altro non è che questo sentimento di diffidenza ,poco propenso al confronto ,per paura del confronto stesso, perché si teme di non essere all’altezza di sostenere” uno scambio reciprocamente vantaggioso”.
La regia si concentra su di una piccola comunità montana, sui primi piano, sui silenzi , sulla parola stretta dell’ idioma locale ., su queste parole che escono a stento perché abituate raramente ad espandersi.
Poi la natura che incombe e domina su tutto ; appare un uomo è più proiettato verso l’introspezione ; poco propenso a “rischiare” un contatto.
L’occasione del confronto si verifica anche in questa piccola comunità di montagna ,piena di anziani ,quando un pastore di origine francese , con la sua famiglia ,decide di insediarsi nella zona .
Ma “la cultura nasce dalla convivenza “e “dal coraggio dia andare contro le tradizioni per fare quello che si vuole fare” quindi bisogna essere coraggiosi .
L’”intruso” , prima accolto con indecisione , poi viene messo sotto giudizio severo dalla maggioranza della comunità creandosi le condizioni definitive di non accettazione , sino alla definitiva dipartita dell’ ”Intruso” che non deve diventare parte e non può condividere
Gli strumenti della dipartita sono i soliti;vedere negli altri tutti i nostri difetti con un atteggiamento di intolleranza “ castigarli senza pietà.”
Bel film , vero , sulla solitudine delle culture minori che si vogliono chiudere in se stesse per non perdere la propria identità colturale nel contatto con il “nuovo”.
Weach illuminati
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