I giorni dell'abbandono

Natalia Aspesi

Capita continuamente, ogni giorno: un marito (una moglie), se ne va di casa, lascia figli, moglie (marito) e non ha le parole per dirlo. Pero solo un uomo ha il coraggio di trovare una scusa così vaga: «Sono confuso, insoddisfatto, sento un vuoto di senso». Consiglio alla signora chiedere subito: «Questo vuoto di senso come si chiama, quanti anni ha?». Avrà certamente un nome, e sarà giovane, come nel film di Roberto Faenza in concorso alla Mostra. I fustigatori dicono: il cinema deve tener conto del pubblico giovane, e cosa vuoi che gli interessi un film come I giorni dell’abbandono,dove la graziosa quarantenne Margherita Buy che ha scelto la vita domestica per amore del marito e del due figli, viene abbandonata dal pelato marito Luca Zingaretti, e prima non ci crede, poi si dispera, e indigna, e ribella, e va fuori di testa, e si placa, e si ritrova; e alla fine incontra un altro uomo goffo ma artista che sa Comunicarle tenerezza e gioia. «Finsi di credergli e perciò ci amammo a lungo, nei giorni e nei mesi a venire, quieta-mente» dice la protagonista Olga alla fine del film.
Ma forse nei chiassosi multipiex ridondanti di popcorn ed effetti speciali, esiste anche un folto pubblico femminile, fatto di donne che, adorate o bidonate, s’appassionano comunque ai film d’amore e disamore, film come questo, sobrio e intelligente, non sentimentale, ben recitato e benissimo girato, ispirato al romanzo della misteriosa Elena Ferrante. Massima soddisfazione per le signore, perché l’uomo si ritroverà pure tra le braccia una bella e ridente ragazza di vent’anni, ma che brutta figura ci fa lui! Non sa dire la verità, rifiuta le spiegazioni, tarda a inviare l’assegno per i bambini, li trascura, arriva a sottrarre di nascosto gli orecchini dì famiglia regalati alla moglie perdonarli alla nuova innamorata. Però: «É una colpa non amare più?» dice Zingaretti, che pare abbia inventato lui la frase.
Deve esserci un risvolto autobiografico a questa storia così comune eppure ogni volta così unica, se dopo la fine delle riprese, il regista, che ha 62 anni, è caduto in depressione: «Per giorni non ho più parlato, per tre mesi non sono più uscito di casa. Ho tentato l’analisi ma non mi ha aiutato». Non lo avrebbe aiutato piantarla lì con il personale e tornare al famoso politico? «il mio film di satira politica sul potere democristiano, intitolato già allora nel ‘78, Forza Italia! (tra gli spietati autori, figuriamoci, c’era Carlo Rossella, oggi berlusconista devoto, ndr) mi è costato 20 anni d’ostracismo. Ispirandosi alla Lezione di anatomia di Rembrandt, il manifesto del film mostrava il cadavere dell’Italia circondato dalle facce dei dc, tra cui quella di Moro. Quando il presidente fu rapito, il manifesto e il film,che aveva raccolto 250 mila presenze in 30 giorni, furono giustamente ritirati: ma il film non fu mai più dato, solo una volta in tv e chi aveva osato fu cacciato. Nessuno ha mai ricordato come nel suo memoriale da prigioniero, Moro aveva scritto: “Se volete rendervi conto della spregiudicatezza della nostra classe politica, andate a vedere Forza Italia!». Adesso, dice Faenza, è arrivato il momento di girare “Forza Italia! 2”: «Non me la prenderò con i politici, ma con la parte infetta di noi Italiani che assiste alla degenerazione dl questo paese, alla sua fine, e non reagisce».
Da La repubblica, 7 settembre 2005


di Natalia Aspesi, 7 settembre 2005