Lemony Snicket - Una serie di sfortunati eventi

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Un film di Brad Silberling. Con Jim Carrey, Emily Browning, Liam Aiken, Kara Hoffman, Shelby Hoffman.
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Titolo originale Lemony Snicket's A Series of Unfortunate Events. Fantastico, Ratings: Kids+13, durata 108 min. - USA, Germania 2004. uscita venerdì 18 marzo 2005. MYMONETRO Lemony Snicket - Una serie di sfortunati eventi * * * 1/2 - valutazione media: 3,81 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Marco Giusti

La Repubblica

E poi dicono che i ragazzi di oggi non leggono più come una volta. Il successo internazionale dei libri di Lemony Snicket, ora diventati anche un film, Lemony Snicket. Una serie di sfortunati eventi, diretto da Brad Silberling e interpretato da Jim Carrey nel ruolo del terribile conte Olaf, dimostra l’opposto. E non si può dire che la lettura delle opere del misterioso autore, dietro al quale si nasconde, oltre al trentacinquenne Daniel Handler di San Francisco, un caso editoriale da 27 milioni di copie, sia così ovvia. No, Lemony Snicket, al quale nel film dà voce e immagine Jude Law, è un giovane e raffinato letterato che battezza i suoi personaggi con nomi di grandi maestri.
Così i tre orfanelli preda delle brame del conte Olat (visto che solo grazie a loro riuscirà ad arraffare un tesoro di eredità) si chiamano Baudelaire, Klaus, Violet e Sunny come i protagonisti del (vero) caso Von Bulow. Il buffo bancario che gestisce le proprietà dei ragazzi, interpretato nel film dal caratterista inglese Timothy Spail, si chiama Poe. Non solo. Il pessimo conte, che si crede un grande del teatro, è costruito a imitazione delle star eccessive degli anni 20 e 30, da John Barrymore a Conrad Veidt, e si trasforma come Lon Chaney. Ovviamente, nel film, grazie a Jim Carrey, Olaf diventa qualcosa di ancor più complesso. Carrey, riprende decine di cattivi del cinema, della tv e della pubblicità e li frulla in un personaggio di continua instabilità che, come certi prototipi del romanzo americano, dal Confidence man di Herman Melville allo sfuggente seduttore della Lolita di Nabokov, vive solo nel continuo mescolamento di personalità per entrare in «confidenza» con chi ha di fronte.
Olaf/Carrey diventa così il viscido signor Stefano, aspirante erpetologo, o l’ambiguo Capitano Sham, invenzioni degne del miglior Peter Sellers. La situazione del malvagio a caccia di orfanelli, ispirata al Fagin dickensiano e al Robert Mitchum angelo del male del capolavoro di Charles Laughton La morte corre sul fiume, permette al narratore di mandare avanti la storia e di mettere in scena il lato più esibizionista del conte.
Proprio il fatto che sia un attore mediocre, un trombone, svela il divertimento della situazione e la sua forza parodistica. In fondo anche i più celebri villain disneyani degli anni Trenta, dal Lupo Cattivo al Gatto e la Volpe, avevano movenze e voci di piccole star del vaudeville. Un percorso di malvagi dai denti affilati che ci porterà fino al Jack Nicholson di Shining di Stanley Kubrick. Gli autori del film sono perfettamente consapevoli di questo tipo di operazione sull’immaginario americano. Anzi, grazie alla produzione combinata della Nickelodeon, casa di produzione di cartoon innovativi della tv (Red e Stimpy, ecc.) che nel 1999 si assicurò i diritti della saga, della Dreamworks e della Paramount, il gioco si fa davvero alto. Anche perché il film, ideato sui primi tre episodi di Lemony Snicket, nato per volontà di Barry Sonnenfeld (regista di La famiglia Addams e Men in Black, in questo caso produttore esecutivo) e la produzione di Scott Rudin, ricostruisce per l’occasione il grande staif tecnico di Sleepy Hollow di Tim Burton. Stesso direttore della fotografia, il messicano Emmanuel Lubezki, stesso scenografo, Rick Heinrichs, stessa costumista Colleen Atwood. Ne viene fuori un impasto visivo assolutamente originale rispetto ai miliardari Harry Potter. Perché nel film, a differenza dei romanzi, non si esalta solo il gotico americano legato a maestri della grafica come Edward Gorey, che le tavole di Brett Helquist già citavano, o l’horror hollywoodiano degli esordi, ma si percorrono strade curiose che portano al recupero di elementi moderni. Come le limousine anni Cinquanta e Sessanta (la cecoslovacca Tatra 603 adatta ad alti funzionari del Partito, o la Chrysler Imperial Limo di Olaf), o l’architettura inizio secolo di Boston.
Ne viene fuori qualcosa di nuovo, ma che ci sembra mantenga un’unità stilistica, anche perché è del tutto coerente con l’interpretazione un po’ antica un po’ moderna di Jim Carrey. Dei film che ha diretto Brad Silberling, tutti originali e contaminati da fin troppe idee diverse, a cominciare da Casper, storia del fantasmino animato anni ‘50, alla curiosa rilettura degli angeli di Wim Wenders, La città degli angeli, al mélo Moonlight Mile con Jake Gyllenhaal e Dustin Hoffman, che farà un piccolo cammeo anche in Lemony Snicket, è questo il più completo e riuscito. Anche perché gioca su un materiale letterario forte e già contaminato, e vanta una struttura narrativa chiara, un po’ da serial del muto, con il cattivo a caccia degli orfanelli e questi che devono risolversela da soli, con la loro intelligenza, nelle peggiori situazioni. Come a dire che sono proprio questi sfortunati eventi a farli crescere. Del resto sono loro gli unici personaggi positivi della saga e del film, visto che gli adulti risultano ingenui e paurosi, come la zia Josephine di Meryl Streep e lo zio Monty di Billy Connolly, esperto di serpenti. Così questo male assoluto impersonato da Jim Carrey è ciò di cui i Baudelaire hanno bisogno per diventare grandi.
Il diventare grandi, con tutto il suo dolore, è addirittura messo in scena nella rappresentazione teatrale che ha ideato Olaf per de-predare i ragazzi. E proprio su un palco che sposerà per finzione ma anche per davvero la quattordicenne Violet, interpretata dalla bellissima Emily Browning, mentre il fratellino Klaus, Liam Aiken, che abbiamo già visto in Era mio padre di Sam Mendes, cercherà di salvarla. Questa scena, giocata sul doppio livello di teatralità buffonesca e di vero orrore per una sessualità anticipata e offesa (addirittura le nozze con un vecchio cattivo), ben dimostra il livello di sfida di Silberling e dello stesso Lemony Snicket.
Non siamo cioè nell’horror semplificato e infantile della saga dl Harry Potter, non ci sono mostri o situazioni fantastiche, qui il terrore, pur mediato dalla teatralità, è adulto e dà improvviso confronto con la brutalità del mondo. Un terrore che i ragazzi dei nostri anni, bombardati dalla violenza degli eventi della nostra realtà e non da una serie di «eventi sfortunati», sembrano purtroppo conoscere fin troppo bene.
Da Il Venerdì di Repubblica, 18 marzo 2005


di Marco Giusti, 18 marzo 2005

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