Babbo bastardo

Marco Giusti

Il primo nemico di Bad Santa, o Babbo Bastardo, come si intitola in Italia il film diretto da Terry Zwigoff e interpretato da uno straordinario Billy Bob Thornton, è la melassa dei film tutti uguali che ci ha abituato a vedere Hollywood. Il secondo è il politicamente corretto adattato ai rapporti fra adulti bianchi e bambini, gente di colore e diversi che vediamo negli stessi film. Il terzo è il Natale dei buoni sentimenti e dei suoi melliflui alleati.
Fra le regole dei grandi magazzini americani dove uomini adulti devono interpretare per trenta giorni all’anno l’amabile figura di Babbo Natale ci sono quella beve come una spugna, parla male, ruba, non ha rispetto per nessuno, a cominciare dai bambini. Per non parlare dei diversi, come il suo socio in affari, nano e nero, truccato da elfo, sfidando i buoni sentimenti e i codici non dichiarati di autocontrollo dei film americano medio.
Ovviamente Il gioco è che alla fine dei film questo Babbo Bastardo, dopo aver bevuto qualsiasi cosa e aver scassinato la cassaforte dei grandi magazzini dove lavorava, diventerà buono toccato dall’ingenuità di un ridicolo ragazzino grasso che insiste a vederlo come vero Santa Claus. Questa curiosa commedia ultradark, uscita con un tripudio di lodi della critica lo scorso anno in patria e poi portata con minor successo al Festival di Cannes, vanta tutta una serie di riferimenti culturali profondamente americani e più sofisticati di quanto si possa pensare. Merito dei Coen, ma anche di Terry Zwigoff, regista patito di vecchi blues e fumetti, che ci aveva dato Crumb 1994), documentario pluripremiato dedicato a Robert Crumb, il papa di Fritz il gatto, e Ghost town (2000), sofisticatissima commedia ispirata a un celebre fumetto di Dan Clowes.
E merito di Glenn Ficarra e John Requa, i due sceneggiatori di Come cani e gatti. Per il personaggio di Willie T. Soke, cioè il Bad Santa ubriacone di Billy Bob Thornton, che in un primo tempo avrebbero dovuto interpretare Bill Murray o Jack Nicholson, i Coen hanno parlato di Wallace Beery, ma pensiamo anche al grande comico degli anni 30 W.C. Fields, quello che dichiarava che «chi odia animali e bambini non può essere dei tutto cattivo», o al Babbo Natale ubriaco che incontra Jack Lemmon in L‘appartamento di Billy Wilder.
Per I rapporti tra adulti e bambini, ii modello principale dl Willie è forse quello dl Walter Matthau allenatore di una squadra dl baseball dl mocclosi in Che botte se incontri gli orsi di Michael Ritchie, uno dei film preferiti dei Coen, dei quale Ficarra e Requa hanno già scritto un remake per la regia di Richard Linklater. Ma non scordiamo tutte le variazioni «cattive» di Babbo Natale, dallo Scrooge dickensiano al Grinch dei Doctor Seuss, il più grande scrittore per bambini americani, citato nel film (lo legge la vecchia nonna rimbecillita del bambino grasso), dai Bad Santa dei cartoon della Warner anni 30 al Jack Skeletron di Nightmare before Christmas di Tim Burton.
In fondo Hollywood, che non ha un rispetto cattolico per il Natale, ha sempre giocato sulla possibilità di smltizzare o ridicolizzare Babbo Natale. Certo che stavolta si è un po’ esagerato ed è meglio non portarci i bambini piccoli. Sono stati infatti calcolati ben 70 «vaffanculo», 74 «merda», 31 «culo», 10 «puttana». Quasi un record. Senza pensare che Willie T. Soke non è il solo personaggio simpaticarnente sgradevole del film. Il suo socio, il nano nero Tony Cox, un fantastico minuscolo attore attivo fin dai tempi dei Ritorno dello fedi, è la vera mente diabolica della banda, ed è pronto a liquidare Babbo Natale dopo l’ultimo colp0. Il capo della sicurezza dei grandi magazzini, interpretato dal volgarissimo comico nero televisivo Bernie Mac, scopre il piano dei due scassinatori, ma è pronto a tacere in cambio di metà del bottino. La fidanzata di Wille, una barista interpretata da Lauren Graham, sta con lui perché adora far l’amore con Babbo Natale. Perfino il padre dei bambino grasso è un truffatore finito in prigione. Non esistono buoni in questa commedia eccessiva diretta da Teny Zwigoff con un occhio da specialista di cartoon e di fumetti, ma anche questi disgraziati cattivi di provincia sono trattati con un po’ d’amore e di passione. Del resto sta proprio qui la differenza tra Babbo Bastardo e le mille inutili commedie che ci propinano ogni giorno gli americani. Zwigoff costruisce ogni personaggio, anche il più piccolo, con una dignità, una originalità, una complessità molto rara per Hollywood.
Anche il buffo direttore dei grande magazzino, interpretato da John Ritter al suo ultimo ruolo (alla sua memoria è dedicato Il film), ha momenti di grande comicità quando si ritrova a scivolare nel politicamente scorretto nei confronti dei suo socio nero e minuscolo. Anche se si tratta di un film su commissione, Zwigoff dimostra di non aver abbandonato un gusto e una cultura da regista indipendente e, come hanno scritto molti giornali americani, ha dimostrato una grande qualità, di «non aver accettato compromessi e di non aver fatto prigionieri». E di essere molto, molto divertente.
Da Il Venerdì di Repubblica, 19 novembre 2004


di Marco Giusti, 19 novembre 2004