luca scialo
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giovedì 29 giugno 2023
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la tragedia della perdita di un figlio
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Nanni Moretti apre il Nuovo Millennio con un film che interrompe l'egemonia di film psico-politici che ha da sempre caratterizzato la sua filmografia. Qui tratta il delicato tema della perdita di un figlio, che devasta un genitore nell'intimo e nella vita pubblica. A partire dai rapporti con gli altri familiari. Qui Moretti è Giovanni, psicoloanalista che ascolta i propri pazienti in modo passivo, senza sferzarli e scuoterli, ma facendo sì che sia proprio l'ascolto la loro terapia. Proprio per recarsi a casa di uno di loro in profonda crisi (Silvio Orlando), rinuncia ad una corsetta con il figlio Andrea. Il quale così raggiungerà gli amici per fare immersioni. Evento che gli sarà fatale.
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Nanni Moretti apre il Nuovo Millennio con un film che interrompe l'egemonia di film psico-politici che ha da sempre caratterizzato la sua filmografia. Qui tratta il delicato tema della perdita di un figlio, che devasta un genitore nell'intimo e nella vita pubblica. A partire dai rapporti con gli altri familiari. Qui Moretti è Giovanni, psicoloanalista che ascolta i propri pazienti in modo passivo, senza sferzarli e scuoterli, ma facendo sì che sia proprio l'ascolto la loro terapia. Proprio per recarsi a casa di uno di loro in profonda crisi (Silvio Orlando), rinuncia ad una corsetta con il figlio Andrea. Il quale così raggiungerà gli amici per fare immersioni. Evento che gli sarà fatale. Giovanni finirà per detestare quel paziente e il suo lavoro in generale, ma proprio l'incontro con una ragazza che aveva scritto una lettera ad Andrea, anche per iniziare una possibile relazione, che gli infonderà nuova fiducia. A lui, come alla moglie Paola e all'altra figlia Irene. Pellicola credibile, un buon inframezzo che però resterà sostanzialmente tale nella sua carriera di regista-attore. Ripreso vent'anni dopo con il film "Tre piani", molto meno riuscito.
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marcobrenni
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martedì 8 febbraio 2022
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film di un moretti sorprendente
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Non sono d'accordo sulla critica della Stanziani laddove critica i giovani attori per la loro "pochezza e i dialoghi". Lei vuole i giovani di oggi come lei auspicherebbe, ma che non lo sono affatto nella realtà! Moretti ha colto perfettamente la loro incapacità emotiva, la superficialità, la loro inespressività dovuta probabilmente a un mondo alienato-distratto in cui non si riconoscono affatto. E pensare che è un film di oltre vent'anni fa ove non esitevano ancora gli smartphone o cellulari onnipresenti che sono i nuovi cordoni ombelicali dei nostri giovani: senza questi supporti tecnologici alienanti sono persi, non sanno più dialogare nemmeno fra di loro e provano dei sentimenti solo a sprazzi, a piccole dosi, ma poi subito dimenticati.
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Non sono d'accordo sulla critica della Stanziani laddove critica i giovani attori per la loro "pochezza e i dialoghi". Lei vuole i giovani di oggi come lei auspicherebbe, ma che non lo sono affatto nella realtà! Moretti ha colto perfettamente la loro incapacità emotiva, la superficialità, la loro inespressività dovuta probabilmente a un mondo alienato-distratto in cui non si riconoscono affatto. E pensare che è un film di oltre vent'anni fa ove non esitevano ancora gli smartphone o cellulari onnipresenti che sono i nuovi cordoni ombelicali dei nostri giovani: senza questi supporti tecnologici alienanti sono persi, non sanno più dialogare nemmeno fra di loro e provano dei sentimenti solo a sprazzi, a piccole dosi, ma poi subito dimenticati. Non so se Moretti fosse talmente geniale da precorrere i tempi, ma in questo film, descrivendo anche i giovani di oggi (!) vi è riuscito alla perfezione.
A me pare un eccellente film, forse il suo migliore e più profondo, studiato fino nei minimi dettagli. Bravissima anche Laura Morante (!) che è perfetta nel suo ruolo di madre addolorata fino all'estremo, ma pur sempre dignitosa e persino ancora affettuosa nonostante tutto. Lei se la cava molto meglio del marito Giovanni, che pure lui distrutto dal dolore, ne esce però male perdendo anche la sua professione. Non solo, ma col suo atteggiamento estraniato e sovente rabbioso-iracondo, è uno che rifiuta la realtà, il suo destino e quello dei suoi cari, rischiando pure di rovinare un matrimonio che sembrava perfetto. Nel film non si sa come andrà a finire, ma se si salverà il matrimonio e persino Giovanni, lo dovrà soprattutto alla moglie, straordinaria in tutti i sensi. Qui è la donna, la moglie e madre esemplare che sostiene meglio la tragedia famigliare che non il marito psicanalista ripiegato su sé stesso.
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giulio andreetta
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domenica 20 settembre 2020
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un nanni moretti inedito e intimista
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Si tratta di una pellicola piuttosto insolita, e per certi versi controcorrente rispetto al consueto impegno sociale e politico del regista. Una piacevole sorpresa, direi... Questo film potrebbe a mio avviso essere considerato tra i migliori di Moretti, anche per la sua prova d'attore, molto convinta e partecipata, ma mai sopra le righe. La storia è semplice, un padre che deve affrontare una delle prove più tragiche e dolorose che l'esistenza possa sottoporgli, la perdita del figlio. Ciò su cui la pellicola si concentra maggiormente è questo tentativo immane, difficilissimo, del portare a compimento l'elaborazione del lutto. E la cinepresa, direi in modo quasi neorealista, descrive questo tentativo che Moretti affronta con la moglie (una bravissima Laura Morante) e la figlia (Jasmine Trinca).
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Si tratta di una pellicola piuttosto insolita, e per certi versi controcorrente rispetto al consueto impegno sociale e politico del regista. Una piacevole sorpresa, direi... Questo film potrebbe a mio avviso essere considerato tra i migliori di Moretti, anche per la sua prova d'attore, molto convinta e partecipata, ma mai sopra le righe. La storia è semplice, un padre che deve affrontare una delle prove più tragiche e dolorose che l'esistenza possa sottoporgli, la perdita del figlio. Ciò su cui la pellicola si concentra maggiormente è questo tentativo immane, difficilissimo, del portare a compimento l'elaborazione del lutto. E la cinepresa, direi in modo quasi neorealista, descrive questo tentativo che Moretti affronta con la moglie (una bravissima Laura Morante) e la figlia (Jasmine Trinca). Ma il film è veramente espressione di una raffinatezza estetica che non travalica mai nell'esagerazione, o nell'ostentazione del dolore. Da lodare anche la prova d'attore dello stesso regista, che interpreta la parte di un affermato psicoanalista. Molto interessante e poetica l'idea del finale. 4 Stelline
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emanuele 1968
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sabato 13 aprile 2019
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un buon film
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Moto attuale, molto intelligente, molto fine, sicuramente basato su vita reale, il film offre tanti spunti di riflessione, ottimo nei cineforum, come dico spesso un perché non c'è, le cose succedo, perché non si sa, noi ce la mettiamo tutta, poi la vita purtroppo..........
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stefanocapasso
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domenica 8 ottobre 2017
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una strategia di uscita dal lutto
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Giovanni vive ad Ancona con la moglie Paola e i due figli adolescenti Andrea ed Irene. Psicoanalista, svolge il suo lavoro con passione e il dovuto distacco. La loro è una famiglia serena, c’è fiducia affetto e dialogo tra tutti.
Andrea nella sua irrequietezza adolescenziale a volte eccede, e proprio durante una escursione subacquea, muore.
Il dramma familiare viene vissuto da ognuno in modo diverso portando il sistema ad una crisi profonda.
Il tema della perdita, e in particolare di una tra le più dolorose, è affrontato da Nanni Moretti con rigore, senza sentimentalismi e allo stesso tempo con grande efficacia. Il lutto viene rappresentato dai piccoli gesti quotidiano di ognuno dei protagonisti, e lo smarrimento dei protagonisti è lo stesso smarrimento che ho provato da spettatore.
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Giovanni vive ad Ancona con la moglie Paola e i due figli adolescenti Andrea ed Irene. Psicoanalista, svolge il suo lavoro con passione e il dovuto distacco. La loro è una famiglia serena, c’è fiducia affetto e dialogo tra tutti.
Andrea nella sua irrequietezza adolescenziale a volte eccede, e proprio durante una escursione subacquea, muore.
Il dramma familiare viene vissuto da ognuno in modo diverso portando il sistema ad una crisi profonda.
Il tema della perdita, e in particolare di una tra le più dolorose, è affrontato da Nanni Moretti con rigore, senza sentimentalismi e allo stesso tempo con grande efficacia. Il lutto viene rappresentato dai piccoli gesti quotidiano di ognuno dei protagonisti, e lo smarrimento dei protagonisti è lo stesso smarrimento che ho provato da spettatore. La mancanza di risposte e l’ineluttabilità degli eventi della vita fanno sentire estremamente fragili. L’esperienza del dolore porta in contatto con nuove profondità dell’anima e cosi diventa possibile sentire più vicino il dolore degli altri. La pratica professionale di Giovanni in qualche modo ne guadagna in un primo tempo, ma poi l’estrema vicinanza ai sentimenti dei pazienti diventa insostenibile. La crisi profonda dei singoli componenti del sistema famiglia diviene crisi dell’intero gruppo e diventa necessario operare una trasformazione, che passa attraverso la giusta collocazione del ricordo e del sentimento ad esso legato. Nel caso del film, una ragazza che aveva avuto un breve incontro con Andrea diviene il mezzo per operare questa trasformazione, divenendo il simbolo del passato e del futuro legato al ricordo del figlio.
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great steven
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lunedì 31 ottobre 2016
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liscio in superficie, ma straripante di ricchezze.
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LA STANZA DEL FIGLIO (IT, 2001) di NANNI MORETTI. Con NANNI MORETTI, LAURA MORANTE, GIUSEPPE SANFELICE, JASMINE TRINCA, STEFANO ACCORSI, SILVIO ORLANDO, TONI BERTORELLI, CLAUDIO SANTAMARIA, SOFIA VIGLIAR, RENATO SCARPA, ROBERTO NOBILE, DARIO CANTARELLI, ROBERTO DE FRANCESCO, STEFANO ABBATI
Giovanni è uno psicanalista cinquantenne molto stimato nella sua professione e felicemente sposato con Paola, che gestisce una casa editrice. Insieme hanno avuto due figli, che ora sono adolescenti: Irene, appassionata di pallacanestro, e Andrea, fra i cui interessi si annoverano i fossili e il mare. La vita famigliare trascorre serena e tranquilla, e si mostra in una perfezione idilliaca grazie all’armonia che vi regna, ai pasti consumati insieme con gaiezza e al clima favorevole che arreca beneficio a tutti i suoi membri.
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LA STANZA DEL FIGLIO (IT, 2001) di NANNI MORETTI. Con NANNI MORETTI, LAURA MORANTE, GIUSEPPE SANFELICE, JASMINE TRINCA, STEFANO ACCORSI, SILVIO ORLANDO, TONI BERTORELLI, CLAUDIO SANTAMARIA, SOFIA VIGLIAR, RENATO SCARPA, ROBERTO NOBILE, DARIO CANTARELLI, ROBERTO DE FRANCESCO, STEFANO ABBATI
Giovanni è uno psicanalista cinquantenne molto stimato nella sua professione e felicemente sposato con Paola, che gestisce una casa editrice. Insieme hanno avuto due figli, che ora sono adolescenti: Irene, appassionata di pallacanestro, e Andrea, fra i cui interessi si annoverano i fossili e il mare. La vita famigliare trascorre serena e tranquilla, e si mostra in una perfezione idilliaca grazie all’armonia che vi regna, ai pasti consumati insieme con gaiezza e al clima favorevole che arreca beneficio a tutti i suoi membri. Finché non accade l’inatteso: una domenica mattina Giovanni vorrebbe che Andrea venisse con lui a fare jogging, e il ragazzo inizialmente rinuncia all’immersione che aveva in programma per quel giorno, ma all’improvviso il dottore riceve una telefonata da un suo paziente in cattive condizioni e deve annullare la corsa, così Andrea va ad immergersi presso una grotta sottomarina e muore in seguito ad un banale incidente con le bombolette d’ossigeno. Il dolore che colpisce il padre, la madre e la sorella è immenso. Ognuno dovrà fare i conti con le proprie responsabilità, e le sofferenze metteranno a dura prova anche gli affetti più radicati e profondi. Perfino sul lavoro, Giovanni si accorge di non avere più quella prestanza e quell’attenzione che riusciva ad applicare con tanto savoir-faire in precedenza. Finché non compare Arianna, una ragazza coetanea di Andrea che il figlio scomparso aveva conosciuto anni prima in un campeggio: per la famiglia, sembra rispuntare un barlume di speranza in cui nessuno aveva dapprima investito. Accompagnando lei e il fidanzato girovago ad una fermata d’autobus in Liguria, la famiglia si affezionerà a questi due giovanissimi sconosciuti e, camminando sul litorale genovese mentre il loro autobus diretto in Francia si allontana, otterrà lo scopo di ricominciare un’esistenza all’insegna dell’ottimismo e a dimenticare un passato doloroso. Vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes 2001, a ben ventitré anni di distanza dall’ultimo successo italiano (L’albero degli zoccoli) alla kermesse cinematografica francese, insieme al Gran Premio Speciale della Giuria. Film che pone al proprio centro la storia di una famiglia, devastata dalla morte inaspettata e lancinante del suo componente più giovane, rievocato soprattutto attraverso la memoria dei bei momenti passati insieme, le emozioni positive convissute e anche le occasioni perdute, più che armonizzato mediante una recitazione non articolata in flashback e continui riferimenti al passato. Moretti ha raggiunto una maturità artistica che dà i suoi frutti nella contrapposizione narrativa fra la rappresentazione della disperazione e il racconto accorato della desolazione che permea tutti i rapporti umani basati sull’amore, sulla simpatia, sull’amicizia e sul mutuo scambio di sensazioni e sentimenti, trovando un punto d’appoggio nella mano soffice con cui l’attore-regista affronta la descrizione di un mondo in apparenza paradisiaco e incontaminabile, ma a conti fatti assai distruttibile anche con una determinata facilità e rendibile oscuro, deplorevole, deludente e inquietante da un qualsivoglia evento luttuoso. Un mondo popolato di sindromi, disturbi e malattie e da quelle persone (specialmente i pazienti di Giovanni) che ne sono affetti, e ne soffrono giorno dopo giorno senza trovare una via di scampo se non quella di agguantare evasivamente un appiglio evanescente che li illuda di aver afferrato una serenità interiore, magari pervasiva sulle prime, ma pronta a svanire nel nulla al primo fuoco incrociato di ritorno del male che li divora e sgranocchia da dentro. Ottimi i metodi psicologici usati dagli sceneggiatori (lo stesso regista coadiuvato da Linda Ferri e Heidrun Schleef) per non cadere nella banalità nella narrazione di un dolore collettivo che diventa anche ricerca della felicità, desiderio speranzoso di identificarsi con i genitori (visti come modelli), cammino intrapreso sulla strada della piena realizzazione personale e percorso imboccato in virtù dei valori intrinseci e delle ambizioni che si son sempre posti come faro illuminante dall’inizio al termine di una passione ben coltivata. Numerosi i riferimenti letterari, filmici e artistici in generale che nel film si annidano come bolle di una schiuma in una vasca ricolma, fra cui la poesia Le dita del piede di Raymond Carver, ma ci sono collegamenti, a detta di alcuni recensori dell’opera, anche col cinema di Krzysztof Kieslowski e Don Siegel. Di pregevole levatura le parti dei comprimari, fra cui un introverso S. Orlando, uno S. Accorsi preda di impulsi sessuali incontrollati, un giovanissimo C. Santamaria nei panni del commesso del negozio di articoli acquatici e R. Scarpa nel ruolo del preside che comunica al padre psicanalista del furto avvenuto nel laboratorio di scienze. Tutt’altro che pesante, anzi istruttivo ed educativo a piene mani, insegna molto anche al pubblico degli adulti, e rappresenta una pellicola formativa di considerevole spessore che va esaminata ed apprezzata anche per mezzo del veicolo che adopera per giungere al cuore degli spettatori: evita, in altre parole, di asciugarne gli occhi, ma di riempirli di lacrime per invogliare al cambiamento, per spingere a non guardare indietro e incentivare al superamento costruttivo delle sofferenze che arricchiscono un animo, anziché impoverirlo e svuotarlo di significati.
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terencemallick
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mercoledì 1 giugno 2016
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immenso moretti
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fabio57
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martedì 1 dicembre 2015
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triste moretti
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Angosciante come mai, Moretti firma un film doloroso, sia per il tema trattato che per la sua rappresentazione.Io preferisco il regista sarcastico e umorista di Ecce Bombo o in tempi recenti quello profetico di "Habemus papam"tuttavia non posso non riconoscere la stoffa di un vero talento del cinema italiano.Jasmine Trinca è bravissima.Il nostro si ripeterà con "Mia madre" che ancora affronta una tragedia.
Auguriamoci che questo filone si sia così esaurito.
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dario
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lunedì 20 aprile 2015
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sopra le righe
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Non si capisce la venerazione per Moretti che è, evidentemente, anche una auto-venerazione. Questo film è palesemente finto. Le emozioni, i sentimenti, sono urlati con pudore patinato, sono evidenziati e al contempo nascosti da una grossolana furbizia. Moretti insegue l'estetica, non la sostanza delle cose. Vuole far vedere, esibirsi senza partecipare. Nominare, non affermare. Non sa andare in fondo, osa ma non ce la fa. Il suo è un provincialismo irritante perché pretenzioso. Un velo pietoso sulle recitazioni, specialmente sulla sua. Sembra uno stoccafisso saccente (come se fosse possibile), un automa superbo. E' modesto anche come cineasta, ne balbetta il linguaggio.
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(di amedeo gavazzi)
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m.raffaele92
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domenica 10 novembre 2013
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come raccontare il dolore in modo magistrale
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Era ora (diciamocelo, suvvia) che Nanni Moretti smettesse di fare politica e cominciasse a fare vero cinema.
Perché questo è vero cinema, che scaturisce da una profonda e difficile scelta: raccontare il dolore, senza se e senza ma. L’operazione è riuscita in modo magistrale e ha come esito il miglior film di Moretti di sempre.
“La stanza del figlio” stupisce in primo luogo per la sua semplicità: di messinscena e di racconto.
Ne viene fuori un’opera diretta e concisa, asciutta ma mai gessata o fredda.
Come si racconta allora il dolore?
Lo si racconta nella scena in cui Nanni Moretti, al funerale del figlio, sente il rumore del trapano che avvita la sua tomba: lo sguardo dell’attore/regista fissa il vuoto e questo rumore forte, incessante e insopportabile, gli penetra nell’anima come una lama.
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Era ora (diciamocelo, suvvia) che Nanni Moretti smettesse di fare politica e cominciasse a fare vero cinema.
Perché questo è vero cinema, che scaturisce da una profonda e difficile scelta: raccontare il dolore, senza se e senza ma. L’operazione è riuscita in modo magistrale e ha come esito il miglior film di Moretti di sempre.
“La stanza del figlio” stupisce in primo luogo per la sua semplicità: di messinscena e di racconto.
Ne viene fuori un’opera diretta e concisa, asciutta ma mai gessata o fredda.
Come si racconta allora il dolore?
Lo si racconta nella scena in cui Nanni Moretti, al funerale del figlio, sente il rumore del trapano che avvita la sua tomba: lo sguardo dell’attore/regista fissa il vuoto e questo rumore forte, incessante e insopportabile, gli penetra nell’anima come una lama. Questo è il dolore puro: un dolore silenzioso, che scoppia dentro e che dà vita a una sequenza di rara perfezione linguistica, seppur moralmente insostenibile.
Questo racconto di decostruzione e ricostruzione prosegue e vede il disgregarsi delle singole vite di una famiglia distrutta (il padre che abbandona il proprio ruolo di psicanalista è il punto più evidente di questa disgregazione), salvo poi riconciliarsi (ma Nanni Moretti ci lascia un sottilissimo margine di dubbio, anche se possiamo in linea di massima propendere per una riconciliazione finale) a seguito di una lettera del tutto inaspettata.
Questo finale è accorto e non banale, perché sarebbe potuto finire nel più mieloso dei modi, mostrando ad esempio la famiglia in un caloroso abbraccio reciproco come ultima sequenza prima dei titoli di coda.
Invece no: i tre protagonisti sono distanti l’uno dall’altro, eppure non sono mai stati così vicini.
Forse, a seguito di quel che è successo, questa fase di “temporanea rottura” era inevitabile (sembra dirci il regista), ma per quanto i tre protagonisti tornino infine a credere l’uno nell’altro e ad appoggiarsi l’uno all’altro per continuare ad andare avanti, nulla potrà mai riscattare la perdita e resterà sempre quel vuoto che non può essere e non sarà mai colmato.
Apro una piccola parentesi (non posso tacerlo) sull’efficacia che ha in questa sequenza l’uso della canzone di Brian Eno “By This River” (già udita verso metà film), malinconica e straziante.
Palma d’Oro a Cannes nel 2001. Questo epiteto può costituire un interessante spunto di riflessione. Si pensi infatti che il film italiano che ha vinto a Cannes prima di questo è stato “L’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi, nel 1978. Guardando a quest’ultimo, così come alla quasi totalità dei film che hanno vinto il sudato premio negli ultimi anni, notiamo come ad essere premiate siano opere assolutamente e stupefacentemente semplici, tanto da potersi definire quasi essenziali.
L’ho detto prima e lo ribadisco ora: ciò che rende questo film così prezioso è una chiarezza espositiva che fa della propria sobrietà un carattere essenziale e un punto vincente; una pellicola che si tiene anni luce distante da un qualsiasi accenno ci commozione forzata o ricercato patetismo.
Ciò viene attuato in modo così sapiente che, nonostante il tema trattato, lo spettatore non sarà in grado di versare neppure una lacrima (è paradossale e sembra incredibile, ma vedere per credere), ma allo scorrere dei titoli di coda avrà incassato un pesantissimo colpo allo stomaco dal quale sarà difficile riprendersi. Avrà però vissuto parallelamente un’esperienza con (nella) quale sarà difficile non confrontarsi, grazie a un film che sarà impossibile da dimenticare.
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